2024-03-27
Italia 1960-1979: il Pop Beat italiano in mostra a Vicenza
True
È la splendida cornice della Basilica Palladiana di Vicenza a ospitare (sino al 30 giugno 2024) una mostra coloratissima e unica nel suo genere, che racconta - attraverso 100 opere di 35 artisti diversi - il fenomeno dell’arte Pop Beat in Italia dal 1960 al 1979. Un progetto importante e trasversale, che spazia dalla pittura alla scultura, dai video alla letteratura, specchio di un ventennio cruciale per il nostro Paese, vivace e ricco di fermenti.Una giraffa alta oltre due metri, verdi alberelli in plexiglass, un cubo gigante sospeso sulle teste dei visitatori, specchi, segnali stradali, lavori fati di bottoni e passamanerie. A dominare, il colore. A regnare, la «leggerezza » e il divertimento. Perché in questa mostra, proprio come recita parte del titolo, ognuno è «libero di sognare»…La mostra di cui sto parlando è POP/BEAT - Italia 1960-1979, un’esposizione originale e unica nel suo genere, un progetto sul «sentire comune» interamente dedicato all’esperienza Pop/Beat italiana dagli inizi degli anni ’60 al termine dei ’70. Adatta ad un pubblico variegato e trasversale (dalle scolaresche agli addetti ai lavori), questa mostra ha il potere di regalare suggestioni immediate e «popolari», senza perdersi in eccessivi concettualismi, ma nemmeno nella superficialità: semplicemente, passando di sala in sala, ognuno è libero di cogliere ciò che vuole, sente e comprende. Ci si può fermare alle apparenze o andare oltre. Si, perché l’esposizione vicentina, che come afferma il curatore - il noto artista astrattista veneziano Roberto Floreani - «… sviluppa l’immaginario di tutte le generazioni , incantando come in una wunderkammer spettacolare…» si presta anche ad un’altra chiave di lettura, più profonda e meno immediata, che è quella della scoperta (o ri-scoperta) della Beat Generation italiana. Pop e Beat. Due facce della stessa medaglia che però non sono la stessa cosa. Prendendo - ma solo per un attimo…- come riferimento gli Stati Uniti, dire Pop (art) significa dire Andy Warhol, parlare di Beat (generation) significa parlare di Lawrence Ferlinghetti. Genio artistico il primo, guru letterario il secondo. Negli stessi anni, in Italia, a rappresentare l’arte pop Mario Schifano ( insieme a Mimmo Rotella, Enrico Baj, Lucio Del Pezzo, Umberto Mariani); esponente di punta della beat generation tricolore Nat Scammacca (leader dell’Antigruppo siciliano, movimento culturale underground di estrema sinistra in chiara polemica con la Beat salottiera del Gruppo ’63, legato all’influenza dei grandi editori del nord e dei concorsi letterari, molto meno attento alle pulsioni popolari), considerato dallo stesso Ferlinghetti «il miglio poeta beat italiano». Ecco, questa mostra, che attraverso libri, scritti e video originali offre un ampio e inedito spaccato dell’attività di Scamacca e del gruppo dei siciliani, può essere l’occasione giusta per conoscere - o approfondire - una parte forse poco nota della nostra cultura fra gli anni ’60 e ’70 e, soprattutto, può rispondere alla domanda sul perché il pop e il beat italiano sia così distante, autonomo e diverso da quello Stellestrisce (che a sua volta deriva da quello inglese….), per molti anni indicato come dominante. La risposta, per certi aspetti, è semplice: l’unicità e la statura assoluta della Pop art italiana , sensibile alla tradizione artistica nazionale e a quella dell’avanguardia futurista, si è alimentata con un «nutrimento che veniva dal basso », protagonista dei mutamenti sociali, politici e culturali del ’68, avvenuti nelle piazze, nelle strade, nelle fabbriche e nelle università. Distante, quindi, dalla Pop degli artisti e letterati americani, vezzeggiate star, interpreti dei prodotti di consumo della società di massa amplificati dalla pubblicità.La mostra, opere e artisti Provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private, in un’alternanza di opere di grande formato spettacolarizzate da un’ampia sezione di sculture, in mostra lavori di Valerio Adami, Franco Angeli, Enrico Baj, Paolo Baratella, Roberto Barni, Gianfranco Baruchello, Gianni Bertini, Umberto Bignardi, Alik Cavaliere, Guglielmo Achille Cavellini, Mario Ceroli, Lucio Del Pezzo, Fernando De Filippi, Bruno Di Bello, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Piero Gilardi, Sergio Lombardo, Roberto Malquori, Renato Mambor, Umberto Mariani, Gino Marotta, Titina Maselli, Fabio Mauri, Aldo Mondino, Ugo Nespolo, Pino Pascali, Concetto Pozzati, Mimmo Rotella, Sergio Sarri, Mario Schifano, Giangiacomo Spadari, Tino Stefanoni, Cesare Tacchi, Emilio Tadini. Anche se l’elenco è lungo (per alcuni anche noioso…) nominare tutti questi artisti è doveroso, perché ogni opera esposta ha una peculiarità diversa e nessuna attrae e incuriosisce meno di un’altra: dalla Coppia e dal Buste de femme au chapeau di Enrico Baj alla Mensola in rosso di Lucio Del Pezzo, dal magnifico Ritratto di Paul Klee di Enrico Di Bello al Mais di Piero Gilardi, passando per la Cleopatra di Mimmo Rotella e il trittico superlativo di Umberto Mariani, realizzato nel 1968 ed esposto riunito per la prima volta proprio in questa mostra vicentina. Un progetto espositivo vario e importante, che ricontestualizza la natura stessa della Pop e della Beat italiane e che, attraverso i suoi artisti - così originali, rispetto agli americani, nella loro ricerca stilistica, da non sentirsi a volte nemmeno etichettabili come pop - percorre un tragitto che dalla Libertà di sognare approderà fatalmente alla Fine del sogno degli anni di piombo, gli anni della disillusione e della diffusione delle droghe pesanti, messe in scena in tutta la loro crudezza al Festival di Castelporziano nel 1979, il primo Festival dei Poeti.... E della fine del sogno.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 10 novembre con Carlo Cambi