2020-12-16
«Pop Vicenza, condannate Zonin a 10 anni»
Requisitoria del pm nel processo (ormai a un passo dalla prescrizione) per aggiotaggio e ostacolo all'autorità di vigilanza: rischiano anche un ex consigliere e due ex vice direttori. Domani si decide sul futuro di Mps: matrimonio o controllo statale.A cinque anni dal crac della Popolare di Vicenza, poi rilevata da Intesa Sanpaolo nel 2017, ieri sono arrivate le prime richieste di condanna. Tutte a rischio prescrizione. Mentre il processo per bancarotta non è ancora iniziato.Il 23 novembre del 2015 il presidente Gianni Zonin aveva rassegnato le sue dimissioni dopo quasi vent'anni alla guida della banca. Ieri, il pubblico ministero di Vicenza, Luigi Salvadori, ha chiesto per l'ex banchiere – classe 1938 - una condanna a dieci anni di reclusione. Il procedimento, per i reati di aggiotaggio, ostacolo all'autorità di Vigilanza e falso in prospetto, riguarda l'azzeramento del valore delle azioni dell'istituto in mano a poco meno di 120.000 soci. Il pm ha chiesto di condannare anche gli altri imputati e per loro ha chiesto pene di otto anni e sei mesi per gli ex vice direttori generali Emanuele Giustini e Paolo Marin, di otto anni e due mesi per l'ex consigliere Gianmarco Zigliotto e otto anni per l'ex vice direttore generale, Andrea Piazzetta. A gennaio la parola passerà ai difensori dei sei imputati e la sentenza dovrebbe arrivare in primavera. A giugno, Zonin aveva rilasciato dichiarazioni spontanee leggendo in due udienze un dossier di 66 pagine. L'ex numero uno dell'allora più potente banca del Nordest ha respinto con forza ogni addebito, dichiarandosi certo di «aver dato prova dell'insussistenza dei fatti» o dell'«estraneità a essi». Ha ribadito di essere sempre stato all'oscuro delle operazioni baciate, che hanno mandato sul lastrico centinaia di famiglie e, come aveva già fatto nell'udienza precedente, ha puntato l'indice sui manager che si sono succeduti alla guida dell'istituto. Definendosi in aula un «imprenditore agricolo non competente in materia finanziaria», dopo aver ceduto quote, aziende e terreni ai figli. In pratica, tutto il patrimonio. Il quadro accusatorio della procura ritrae invece Zonin «come un presidente tutt'altro che di sola rappresentanza». I pm hanno ricordato tutti gli episodi che nel corso del tempo avrebbero dovuto come minimo far insospettire l'ex numero uno della Pop Vicenza rispetto soprattutto alla massiccia presenza delle operazioni baciate. «La banca non stava ignorando dei campanelli d'allarme, ma un vero e proprio concerto», ha puntualizzato il sostituto procuratore. I piccoli risparmiatori rimasti coinvolti nel crac speravano in una richiesta più dura. E attendono ancora di essere compensati. Il governo ha stanziato complessivamente un miliardo e mezzo di euro di ristori nel Fir – il Fondo indennizzo risparmiatori - per rimborsare gli ex azionisti traditi anche dalle ex popolari venete. A oggi agli ex soci sono arrivati 3.300 bonifici per complessivi 4,6 milioni di euro di indennizzi con una media di 1.393 euro per ogni pratica. La macchina dei rimborsi non procede proprio spedita visto che si stanno evadendo circa 600 domande al mese. Il processo a Zonin e al crac della ex Popolare di Vicenza dimostra che i tempi della giustizia non sono quelli della finanza. Lo sanno bene anche a Siena dove il salvataggio del Monte dei Paschi fa i conti proprio con le cause e i risarcimenti legati all'inchiesta giudiziaria sull'acquisto di Antonveneta e sui contratti derivati sottoscritti per finanziare l'operazione. L'istituto di Rocca Salimbeni resta stretto nella presa fra Bce, Dg Comp e Tesoro e a seguito delle perdite di bilancio 2020 dovrà mettere in campo una ricapitalizzazione per rafforzare il patrimonio stimata attorno ai 2,5 miliardi. Serve però una fusione per evitare che il nuovo assegno staccato dal Mef (1,7 miliardi la sua quota-parte) venga classificato come aiuto di Stato e quindi da restituire.Domani si riunirà il cda per varare il nuovo piano strategico predisposto da Oliver Wyman e Mediobanca che conterrà le varie opzioni. O un matrimonio o una soluzione cosiddetta stand alone, spinta dall'amministratore delegato Guido Bastianini e preferita dai grillini che vogliono lasciare la banca sotto il controllo dello Stato. Sul tavolo ci sarà anche un nuovo taglio di costi per 500 milioni e il mantenimento della maggior parte dei dipendenti e del marchio anche in caso di fusione o acquisizione. Non solo. Secondo indiscrezioni rilanciate ieri dal Messaggero, per affrontare il contenzioso da 10,2 miliardi il Mef starebbe pensando di trasferire i crediti legali a Fintecna che ha esperienze specifiche ma che avrebbe anche un contratto di servicing con responsabilità in solido e quindi in condivisione con l'istituto senese. Un limite oltre il quale non è possibile spingersi e che va comunque concordato con il nuovo partner. Intanto, del futuro del Monte dei Paschi si potrebbe parlare oggi nel faccia a faccia tra Bce e banchieri all'esecutivo dell'Abi dove parteciperà il capo della Vigilanza di Francoforte (ed ex numero uno di Eba) Andrea Enria. Sempre oggi verrà inoltre presentato il testo del nuovo piano d'azione adottato dalla Commissione europea per affrontare il nuovo accumulo di crediti deteriorati nei bilanci che consentirà alle banche di continuare a dare credito a imprese e famiglie.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)