2021-10-09
La Polonia non vuole il pilota automatico Ue
Bomba dalla Corte costituzionale di Varsavia: «Gli atti normativi di Bruxelles varranno solo se compatibili con la Costituzione». Euroburocrati e sinistra italiana invocano la «Polexit». Ma la prima a minare il primato del diritto europeo era stata la Germania.C'è una Corte costituzionale in Polonia. Giovedì, i giudici di Varsavia hanno sentenziato che gli articoli 1 e 19 del Trattato sull'Unione europea, i quali stabiliscono, in alcuni ambiti, la preminenza del diritto comunitario su quello nazionale, sono incompatibili con la legge polacca. Ogni sentenza della Corte di giustizia europea e ogni atto normativo dell'Ue, per essere applicato in Polonia, dovrà essere compatibile con la Costituzione.A nulla è valso il lavorio diplomatico con cui Bruxelles ha tentato di ricondurre i giudici del Tribunale costituzionale, tutti di nomina parlamentare, a più miti consigli. La loro decisione è arrivata nello stesso giorno in cui Varsavia e Budapest mettevano il veto alle conclusioni del Consiglio europeo sulla Giustizia, in polemica con le misure su bullismo anti Lgbt e «famiglie arcobaleno». Sdegnati David Sassoli, presidente dell'Europarlamento, il commissario alla Giustizia, Didier Reynders, il nostro sottosegretario agli Affari Ue, Enzo Amendola, e il suo omologo francese, Clément Beaune, che ha evocato «il rischio di un'uscita de facto» della Polonia dall'Unione. Il governo di Mateusz Morawiecki si è limitato a confermare «il primato del diritto costituzionale sulle altre fonti del diritto». Andrebbe riferito alla Consulta italiana, che ha legittimato persino i dpcm di Giuseppe Conte. Il quale ha definito la sentenza «una follia», anche se «qualche politico è entusiasta». A chi si riferisse l'ha chiarito Enrico Letta, che ha accusato la Polonia di minare «alle fondamenta la struttura giuridica della costruzione europea». Il segretario dem ha rigirato la frittata contro Giorgia Meloni: «Il sovranismo antieuropeo», ha tuonato, «non è slogan e folklore come qualcuno pensa». Senza aggrapparsi allo spettro del fascismo, la numero uno della commissione, Ursula von der Leyen, ha comunque insistito: «Tutte le sentenze della Corte di giustizia sono vincolanti e la legge Ue ha il primato sulla legge nazionale. Useremo tutti i poteri che abbiamo ai sensi dei Trattati per assicurarlo». In realtà, sono anni che i Paesi dell'Europa occidentale agitano grimaldelli contro i «Babau» di Visegrád: ad esempio, l'«opzione nucleare», cioè l'ipotesi di sospendere alcuni diritti di uno Stato membro, qualora esso violi i valori fondamentali dell'Unione. Stranamente, i presunti abusi riguardano unioni e adozioni gay, immigrazione, o, in quest'ultima occasione, la riforma della giustizia, che minaccerebbe l'indipendenza delle toghe polacche. Nessuno fiata per il dumping salariale, con cui Varsavia e le altre nazioni dell'Europa orientale attraggono le delocalizzazioni (il caso più recente è la Riello, che lascerà l'Abruzzo per Torun, lungo le sponde della Vistola). Le minacce, però, non si sono concretizzate. Anzi, i Paesi dell'Est continuano a essere beneficiari netti dei contributi comunitari. E pure stavolta, l'unico strumento di pressione in mano a Bruxelles sono i 58,7 miliardi di euro destinati a Varsavia dal Recovery fund, che non sono stati ancora sbloccati. La «Polexit», poi, altro non sarebbe se non la volontà di sottrarsi alla logica del «pilota automatico». Evidentemente, un popolo che ha già patito due dominazioni ha il nervo scoperto, in tema di limitazioni della propria indipendenza. Ma a chi si straccia le vesti, bisogna ricordare che a fornire per primo l'esempio, sancendo la primazia delle leggi domestiche su quelle dell'Ue, è stata la scaltra Germania.A maggio 2020, i giudici di Karlsruhe avevano stabilito che il programma di acquisto di titoli di Stato, varato dalla Bce di Mario Draghi, esulava dalle competenze dell'Eurotower: un atto «ultra vires». La Corte costituzionale tedesca aveva intimato all'istituto di Francoforte di dimostrare che gli obiettivi del Quantitative easing erano proporzionati agli effetti collaterali su debiti pubblici, risparmi, pensioni e prezzi del mercato immobiliare. Altrimenti, Berlino avrebbe dovuto ritirare il sostegno finanziario all'impresa della Bce. Lo scorso giugno, per quella sentenza, la Commissione ha aperto una procedura d'infrazione. Contestando esattamente la violazione del primato del diritto Ue e il mancato rispetto delle competenze della Corte di giustizia. All'epoca del verdetto di Karlsruhe, c'era già chi lanciava l'allarme: il giudizio poteva costituire un precedente pericoloso per chi sognasse di svincolarsi dai lacciuoli dell'Unione. Non si registrò indignazione per il «sovranismo antieuropeo» e fascista, né alcun analista evocò una «Germanexit». Il solito Letta, ora, mette le mani avanti: ciò che accadde un anno fa è diverso, perché la sentenza di Varsavia è «di principio» e piace ai camerati Meloni, Orbán e Le Pen, mentre quella tedesca «è rimasta senza seguiti». Minacciava solamente di sconquassare il piano di aiuti che aveva impedito il tracollo dell'euro…Il punto è che l'ipocrisia paga: meglio sottomettersi formalmente e poi applicare le regole a seconda delle esigenze. Come fanno la Germania, la Francia e, da ultimo, financo la vassalla Italia. Che era vincolata, dal Regolamento Ue sul green pass, a non discriminare chi sceglie di non vaccinarsi. E che, invece, se n'è infischiata. Per la gioia del segretario pd.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 18 settembre con Carlo Cambi
La commemorazione di Charlie Kirk in consiglio comunale a Genova. Nel riquadro, Claudio Chiarotti (Ansa)
Il food è ormai da tempo uno dei settori più di tendenza. Ma ha anche dei lati oscuri, che impattano sui consumatori. Qualche consiglio per evitarli.