2021-10-28
L’Ue vuole la Polonia in ginocchio. Multa da un milione di euro al giorno
Mateusz Morawiecki e Ursula Von Der Leyen (Ansa)
La Corte di giustizia accusa il governo di tentare di controllare i giudici. La sanzione, la più dura mai inflitta a uno Stato membro, è a favore della Commissione. La reazione di Varsavia: «È una punizione e un ricatto».Ennesimo scontro tra l'Unione europea e la Polonia. Ieri, la Corte di giustizia europea ha inferto al Paese una multa di un milione di euro al giorno per non aver sospeso la sezione disciplinare della propria corte suprema. In particolare, la Corte di giustizia ha affermato in un comunicato che questa sanzione pecuniaria risulterebbe «necessaria per evitare un danno grave e irreparabile all'ordinamento giuridico dell'Unione europea e ai valori su cui si fonda tale Unione, in particolare quello dello Stato di diritto». Ricordiamo che tale sezione fosse stata creata nel 2017 e che, secondo i critici, risulterebbe uno strumento per subordinare la magistratura polacca al potere politico. In questo quadro, la Commissione europea aveva intentato ricorso contro Varsavia ad aprile 2020, mentre la Corte di giustizia ha decretato lo scorso luglio una sospensione ad interim della sezione disciplinare. Decisione a cui la Polonia non si è di fatto conformata: un elemento, questo, che ha spinto la stessa Commissione a invocare delle «sanzioni finanziarie» contro il Paese lo scorso settembre. La multa di ieri si è rivelata uno schiaffo particolarmente energico: secondo Politico, si tratta infatti della sanzione più dura mai comminata dalla Corte di giustizia europea a uno Stato membro dell'Unione. Le reazioni polacche non si sono fatte attendere. «L'Unione europea è una comunità di Stati sovrani governati da regole chiare. Mostrano una chiara divisione delle competenze tra l'Ue e gli Stati membri. La questione della regolamentazione dell'organizzazione della magistratura è di competenza esclusiva degli Stati membri», ha twittato ieri il portavoce del governo polacco, Piotr Müller. «Il governo polacco», ha aggiunto, «ha parlato pubblicamente della necessità di introdurre cambiamenti in questo settore che ne garantissero l'efficace funzionamento. La via delle punizioni e dei ricatti verso il nostro Paese non è la via giusta. Questo non è un modello secondo cui l'Unione europea dovrebbe funzionare: un'unione di Stati sovrani». Ancora più duro si è mostrato il viceministro della Giustizia polacco, Sebastian Kaleta, che ha definito la decisione della Corte di giustizia europea come espressione di «usurpazione e ricatto». La corte suprema polacca era finita al centro della polemica anche dopo che, a inizio ottobre, aveva emesso una sentenza, secondo cui alcuni regolamenti europei non sarebbero compatibili con la carta fondamentale del Paese. Una posizione, questa, che ha innescato polemiche e divisioni in seno all'Unione europea: divisioni che sono emerse chiaramente nel corso dell'ultimo Consiglio europeo. Se i leader di Irlanda, Belgio e Paesi Bassi hanno criticato la Polonia sulla questione, quest'ultima ha invece incassato il sostegno dell'Ungheria.Non è del resto la prima volta che la Corte di giustizia europea si esprime duramente contro Varsavia. Il mese scorso, l'organo aveva infatti comminato alla Polonia un'altra multa dal valore di 500.000 euro al giorno per la mancata chiusura della controversa miniera di Turow: secondo la Repubblica ceca quel sito avrebbe infatti degli impatti ambientali disastrosi nell'area di confine tra i due Paesi. Tale elemento aveva quindi spinto Praga, lo scorso febbraio, ad avviare un contenzioso legale con Varsavia. Una Varsavia che tuttavia non ha mai mostrato intenzione né di procedere alla chiusura né di pagare la sanzione giornaliera: la sentenza della Corte europea aveva del resto portato i minatori polacchi a condurre delle proteste, mentre il governo locale ritiene quel sito di fondamentale importanza in termini di approvvigionamento energetico.In questo clima teso, la Commissione europea ha inviato una lettera a Varsavia alcuni giorni fa, chiedendo delle delucidazioni sulla questione. «Posso confermare che in una lettera del 19 ottobre la Commissione europea ha chiesto alla Polonia di fornire informazioni su come intenda applicare le misure ad interim [in riferimento alla cessazione dell'attività della miniera di Turow]. In mancanza delle evidenze della cessazione dell'attività la Commissione inizierà a richiedere i pagamenti a intervalli regolari», ha di recente affermato il portavoce della Commissione europea, Tim McPhie. In questo quadro, Bloomberg News aveva riportato l'altro ieri che l'esecutivo europeo starebbe considerando l'ipotesi di bloccare versamenti finanziari alla Polonia del valore di circa 18 milioni di euro. Ora, questa situazione complessiva rischia di incorrere in due tipi di problema. Il primo è di principio: ha realmente senso vincolare un valore come il rispetto dello Stato di diritto al pagamento di una multa (per quanto onerosa possa essere)? In secondo luogo, si scorge un tema di natura geopolitica. Non è infatti da escludere che questa linea così dura dell'Unione europea nei confronti della Polonia possa spingere quest'ultima ad avvicinarsi ulteriormente alla Cina. Il 19 ottobre, The Diplomat ha sottolineato che, nonostante un atteggiamento cauto e alcuni oggettivi problemi, Varsavia abbia di recente lentamente rafforzato i propri legami con Pechino. Se la pressione dovesse aumentare, non è del tutto improbabile che la Polonia possa seguire in futuro sempre più l'esempio dell'Ungheria che, negli ultimi anni, ha notevolmente intensificato i suoi rapporti con il Dragone. Ricordiamo inoltre che la penetrazione politico-economica cinese in Grecia sia stata in buona sostanza una conseguenza della crisi economica in cui Atene piombò dal 2009 e della linea dura che fu imposta dall'Europa su quel fronte. Insomma, il rischio è che queste turbolenze spacchino l'Unione europea sotto il profilo geopolitico, portando indirettamente acqua al mulino di Pechino. Bruxelles dovrebbe riflettere attentamente su questo inquietante scenario.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
Continua a leggereRiduci
Mark Zuckerberg (Getty Images)
A Fuori dal coro Raffaella Regoli mostra le immagini sconvolgenti di un allontanamento di minori. Un dramma che non vive soltanto la famiglia nel bosco.
Le persone sfollate da El Fasher e da altre aree colpite dal conflitto sono state sistemate nel nuovo campo di El-Afadh ad Al Dabbah, nello Stato settentrionale del Sudan (Getty Images)