2021-10-26
La Polonia resiste al ricatto di Bruxelles
Il premier polacco Mateusz Morawiecki (Ansa)
Resta alta la tensione tra Varsavia e Unione europea. In ballo, i 36 miliardi del Recovery, fermi da mesi. Ma Morawiecki tira dritto: «Se l'Ue avvia la terza guerra mondiale, ci difenderemo con tutti i mezzi necessari. No alle trattative con la pistola alla testa».A una settimana dall'infuocato scambio di accuse durante la seduta dell'Europarlamento a Strasburgo, non accenna a raffreddarsi il clima rovente sull'asse Varsavia-Bruxelles.Ci ha pensato il premier polacco Mateusz Morawiecki - forse rafforzato dalla mancata assunzione di iniziative formali da parte del recente Consiglio europeo - a mostrare la schiena dritta un'intervista rilasciata al Financial Times.Alla domanda se la Polonia potesse esercitare il diritto di veto su decisioni chiave della Ue, come il pacchetto sui cambiamenti climatici, la risposta è stata netta: «Se la Commissione comincia la terza guerra mondiale, difenderemo i nostri diritti con tutte le armi a nostra disposizione […] Siamo già discriminati e oggetto di diktat, ma se ciò dovesse peggiorare dovremo riflettere a fondo sulla nostra strategia».Ieri pomeriggio, quando il portavoce del premier polacco ha precisato che le parole del premier erano «solo un'iperbole», l'agenzia Ansa ha definito tale precisazione una «marcia indietro». Ma non c'è nemmeno bisogno di contestualizzare le parole di Morawiecki per concludere che non si è mai sognato di scatenare alcuna guerra e quindi non c'è stata alcuna marcia indietro, come maliziosamente si è voluto commentare in Italia.Qui c'è una disputa che coinvolge, come arma di ricatto, 36 miliardi del Recovery Fund destinati alla Polonia (24 miliardi di sussidi e 12 di prestiti), il cui piano è stato presentato il 3 maggio e che ancora giace presso gli uffici della Commissione che avrebbe dovuto valutarlo e approvarlo entro due mesi. Siamo a quasi 6 mesi e ormai il ricatto appare palese. A quei miliardi si aggiungono i circa 18 (12 netti) che la Polonia dovrebbe ricevere annualmente dal bilancio ordinario 2021-2027 della Ue. Una massa di denaro pari a circa il 9% del Pil polacco. Trattenere - illegalmente, sostiene Morawiecki - quei fondi equivale a scatenare un conflitto di una durezza paragonabile a quella di una guerra mondiale. Il premier polacco ha aggiunto che non intende nemmeno negoziare con «la pistola puntata alla tempia», riferendosi alla decisione della Commissione presa a settembre, con la quale ha imposto alla Polonia una multa per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione delle sentenze della Corte di Giustizia relative al blocco della riforma del sistema giudiziario polacco.Rincarando la dose, Morawiecki ha aggiunto che la vera violazione è proprio l'ingiustificato ritardo della Commissione nell'esborso dei fondi e «più aumenta il ritardo e più evidente è la prova della discriminazione e dell'approccio a suon di diktat usato dalla Commissione». Ma la Polonia - il cui Pil è meno di un terzo di quello italiano - ha una straordinaria leva a disposizione per fronteggiare adeguatamente la Ue: può indebitarsi in una moneta che emette e controlla e Morawiecki sottolinea proprio questa aspetto, affermando che «non ci arrenderemo e non rinunceremo alla nostra sovranità a causa di queste pressioni. Stiamo già facendo ricorso ai mercati per finanziare i piani di investimento post pandemia e sopravviveremo fino all'arrivo dei fondi Ue». Da Varsavia arriva anche un ramoscello d'ulivo sul tema che ha esasperato il conflitto già latente con la Commissione. Infatti, Morawiecki si è impegnato a modificare entro fine anno le controverse norme sulla sezione disciplinare della Corte Suprema, bloccate dalla Corte di Giustizia a luglio, che avevano poi portato alla sentenza della Corte polacca del 7 ottobre. Era stata proprio la presunta parzialità di tale organo a minare, secondo la Ue, l'indipendenza del sistema giudiziario polacco. Da qui la sentenza della Corte polacca che aveva ripetuto un'ovvietà nota a tutte le Corti Costituzionali nazionali da decenni: il diritto europeo è valido fintanto che non confligge con la Costituzione di uno Stato. E se la Ue pretende di dettare legge in materie (come l'ordinamento del sistema giudiziario) che non sono state attribuite alla competenza esclusiva della Ue, allora deve fare un passo indietro. Quindi raccontare la vicenda - come stanno facendo ormai da settimane i giornaloni italiani - in termini di supremazia del diritto Ue su quello nazionale è un errore tecnico madornale in cui tutti sono caduti, non sempre in buona fede. Il diritto Ue non esiste, ma trova vita e spazio solo nell'ambito di quanto concesso dal diritto nazionale. Più robusta è invece la contestazione della svolta autoritaria del governo polacco e della conseguente violazione dei valori dell'articolo 2 del Tue, tra cui lo Stato di diritto. Che è però un concetto nebuloso non codificato. Prova ne è il fatto che la procedura per contestarne alla Polonia la violazione, partita a dicembre 2017, è impantanata, anche perché non c'è la richiesta unanimità. È altrettanto mal posto il tema della «Polexit», usato come cortina fumogena per nascondere la giustificata resistenza polacca all'invasione del diritto Ue. Morawiecki ha ribadito che «l'88% dei polacchi desidera far parte della Ue, metà dei quali sono elettori del nostro partito. Difenderemo fieramente il ruolo della Polonia nella Ue». Questa vicenda dovrebbe avere un'ampia eco in Italia per un semplice ed essenziale motivo: la Polonia sta dimostrando che nella Ue non c'è alcuno spirito solidaristico ma solo un confronto basato sui rapporti di forza. E in tali confronti si agisce evitando di assumere posizioni subalterne e di fideistica adesione a principi che, peraltro, non sono nemmeno quelli scolpiti nella nostra Costituzione. Si negozia e si difendono gli interessi del Paese, come fanno da sempre tutti gli Stati membri. Tranne uno.