2020-02-14
Più passerelle che piazze: gli stilisti ora dettano la linea alla sinistra chic
Emma McIntyre/Getty Images/Lacma
Dal razzismo alla lotta contro il cambiamento climatico passando per le battaglie Lgbt, i grandi marchi dell'alta moda sono l'avanguardia del pensiero progressista. Che ha sostituito L'Unità con Vogue.Avete notato come, da un po' di tempo a questa parte, la moda metta letteralmente in scena l'ideologia che la sinistra vuole imporre? Società forzatamente multiculturale, globalismo, gender, femminismo, emergenza climatica… I vestiti sembrano diventati tazebao ricoperti dei desiderata progressisti: se uno si perde l'ultimo tweet di Zingaretti o della Boldrini, può tranquillamente cercare su Internet qualche immagine di una recente sfilata e vi ritroverà l'intera visione dei progressisti italiani (e occidentali più in generale).Ne abbiamo avuto un esempio perfino al festival di Sanremo, dove il cantante Achille Lauro si è presentato sul palco indossando abiti firmati da Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, che ha commentato al riguardo: «Achille Lauro è una persona dotata di una grandissima sensibilità, creatività e con un grado di libertà che mi attrae molto. Avevamo già collaborato prima di questa straordinaria esperienza e mi aveva da subito affascinato per la sua grande personalità. Collaborare con lui per Sanremo è stata una conseguenza naturale». Michele, per chi non lo sapesse, è lo stesso che lo scorso anno ha realizzato una collezione inneggiante alla legge 194 e all'aborto libero, e che poche settimane fa ha presentato le sue ultime creazioni. In passerella ha fatto sfilare uomini vestiti da bambini come atto d'accusa contro la «mascolinità tossica». Lo stesso tema che Achille Lauro ha voluto portare a Sanremo, giocando sull'identità sessuale «non binaria», come va di moda dire. Il festival si è trasformato così in una gigantesca passerella pubblicitaria per il brand, che prontamente ha rilanciato le creazioni di Michele sui propri profili social. Stessa cosa ha fatto Achille Lauro, senza mai utilizzare gli hashtag «advertising» (per la sponsorizzazione a pagamento) o «prodotto fornito da» (per quella gratuita), come previsto dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato affinché chiunque abbia un seguito social importante non faccia pubblicità occulta ingannando i follower.Funziona sempre così: dietro l'ideologia e le belle parole sui «diritti» si nasconde il business. Anzi, la politica diventa sempre più uno strumento per garantirsi visibilità e introiti. Non a caso Alessandro Michele, appena finito il festival, ha dichiarato a Repubblica: «Lauro è come se fosse sceso in piazza a protestare, solo che invece di farlo sotto casa sua è andato dritto in Parlamento». Già: la sfilata chic ha sostituito le marce in strada. Più che scendere in piazza, si procede sul red carpet.Diventa sembra più evidente quale sia il target di riferimento progressista: non certo gli operai che certi abiti non se li possono permettere nemmeno in fotografia, e che alle sfilate non sono neanche invitati. Piuttosto, le «narrazioni» utili a costruire l'egemonia culturale si rivolgono alle classi agiate. Oggi i veri punti di riferimento dell'ideologia liberal sono riviste patinate come Vanity Fair - portavoce delle istanze Lgbt - o addirittura Vogue. L'ultimo numero di Vogue Italia, per esempio, sembra una specie di manifesto antisovranista. Tra articoli dedicati ai «nuovi italiani» di origini straniere e tirate sul razzismo che sarebbe capillarmente diffuso nel nostro Paese, sembra di leggere Repubblica, e non un giornale di moda.I temi sono sempre gli stessi: difesa delle minoranze, antirazzismo militante, campagne arcobaleno, neo femminismo, lotta al cambiamento climatico… Abbiamo citato le sfilate di Gucci, ma non è certo l'unico marchio che si presti all'ideologizzazione dell'abito, anzi. “E se le donne governassero il mondo?" era la scritta che campeggiava al Musée Rodin di Parigi mentre sfilava la collezione donna della griffe Dior a fine gennaio. Autrice dell'originalissimo interrogativo è Judy Chicago, artista femminista. Le sue «domande» hanno ritmato la sfilata, ricamate su stendardi: «Se le donne governassero il mondo, ci sarebbe la violenza?»; «La Terra sarebbe protetta?»: «Esisterebbe la proprietà privata?»... Certo, perché ovviamente l'artista impegnata disdegna la proprietà privata, e infatti collabora con un marchio di alta moda… Inoltre, Judy Chicago è nota per lo più grazie a opere che ostentano forme triangolari alludenti alla vagina. Se un artista uomo ostentasse continuamente il sesso maschile grideremmo al maniaco, ma se lo fa una donna, ecco il nuovo Michelangelo.Persino Armani ha fatto qualche concessione al buonismo imperante: il marchio Reamix, Emporio Armani Riciclato, utilizza tessuti riciclati e lo slogan, stampato perfino sui giacchetti, dice «I'm saying yes to recycling». Cioè dico sì al riciclo: sotto, naturalmente, campeggia la griffe.Che il mondo intellettuale e creativo sia sempre stato schierato per lo più a sinistra non è certo cosa nuova. Oggi, tuttavia, sembra che non siano partiti e movimenti a dettare l'agenda agli stilisti. Piuttosto il contrario: pare che gli stilisti operino come avanguardia del pensiero liberal, il quale al contempo sfrutta le sfilate come veicolo di propaganda. La moda ha anticipato quasi tutte le tendenze della politica contemporanea: l'ossessione per la diversità e il politicamente corretto, la fissazione con i temi arcobaleno, adesso le battaglie green. Tutti cavalli di battaglia delle grandi multinazionali. Funziona proprio come in passerella: le aziende decidono e i politici, in buon ordine, si limitano a sfilare.
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