L’Istat inglese ammette: aumento dei rischi per le giovani donne che hanno ricevuto Astrazeneca o J&J. Altri studiosi, però, mostrano che il problema riguarda tutti gli under 29, inclusi quelli col booster. E i numeri della Florida confermano l’anomalia.
L’Istat inglese ammette: aumento dei rischi per le giovani donne che hanno ricevuto Astrazeneca o J&J. Altri studiosi, però, mostrano che il problema riguarda tutti gli under 29, inclusi quelli col booster. E i numeri della Florida confermano l’anomalia.Non è che nel Regno Unito fiocchino le statistiche sugli effetti avversi dei vaccini Covid. E quando escono, le autorità mettono le mani avanti: non ci sono evidenze di pericoli per l’intera popolazione, il rapporto rischi/benefici depone comunque a favore delle somministrazioni… Però, i dati li tirano fuori. A differenza del nostro Nicola Magrini, si preoccupano che a morire non sia la gente, piuttosto che il vaccino. Così, adesso, persino l’Istat inglese (Office for national statistics) si è vista costretta ad ammettere che c’è la «prova di un aumento nei decessi cardiaci tra le giovani donne dopo una prima dose di vaccini non a mRna», cioè Astrazeneca e Johnson&Johnson, «con il rischio che risulta 3,5 volte più alto nelle 12 settimane successive alla vaccinazione, rispetto al rischio di più lungo termine». Sono i risultati dell’indagine appena pubblicata e basata su rilevazioni che coprono il periodo 8 dicembre 2020-25 maggio 2022, per i ragazzi di età compresa tra 12 e 29 anni. L’Ons sottolinea che non ci sono «forti evidenze di un aumento nel rischio di morte cardiaca o di morte per tutte le causa dopo la vaccinazione nei giovani uomini», ma che il monitoraggio proseguirà. Al contrario, essersi infettati con il Sars-Cov-2 sarebbe, sì, associato a un maggior pericolo di morire per attacchi di cuore o altre cause. E «il rischio è più alto in coloro che non erano vaccinati al momento del tampone». In più, gli esperti di sua maestà notano che «il sottogruppo che ha ricevuto i vaccini non a mRna aveva più probabilità di essere clinicamente vulnerabile e potrebbe essere a maggior rischio di eventi avversi» in seguito alle inoculazioni. Già qui, invero, c’è qualcosa che non torna: le punturine anti Covid dovevano servire anzitutto a proteggere i fragili. Come mai, invece, li fanno ammalare? Ma c’è di più. La dottoressa Clare Craig, del gruppo Hart, associazione che Oltremanica indaga da più di un anno sugli effetti collaterali cardiaci delle iniezioni nei giovani, ha incrociato tutti i dati e ha pubblicato un grafico molto eloquente. Lo riproduciamo qui in pagina. Un caveat: mentre le rilevazioni sui vaccinati coprono l’intero intervallo temporale, fino a fine maggio dello scorso anno, i numeri sui decessi dei positivi al Covid si fermano a dicembre 2021. Quando, cioè, il 30% della popolazione di riferimento era stato infettato. Poco male. Emerge lo stesso un aspetto inquietante: a partire dalla settimana due, sono più i morti under 29 che hanno ricevuto una dose, di quelli non vaccinati. Poi, tra la terza e la quarta settimana, pure i bidosati e i tridosati iniziano a morire di più dei non vaccinati contagiati. Peraltro, da una variante che nella stragrande maggioranza dei casi non era Omicron, comparsa soltanto a metà dicembre 2021 e rivelatasi meno aggressiva. Una domanda sorge spontanea. A primavera 2021, fu sospesa la somministrazione dei vaccini non a mRna nei più giovani; chi si è sottoposto ai richiami, con quale farmaco è stato inoculato? Forse, con Pfizer o Moderna? La Craig stima che, a 12 settimane dalle punture, si sono verificate 120 morti in eccesso. Ovvero, lo stesso numero di quelle attribuite al solo Covid, per la fascia d’età considerata dall’Ons, nel 2020. Sono statistiche che vanno analizzate con prudenza, senza trarre conclusioni affrettate e tenendo conto del dibattito che contrappone due interpretazioni divergenti: quella «ufficiale», delle autorità pubbliche, secondo le quali l’allarme era limitato a una porzione ristretta di individui, cioè le ragazze che avevano ricevuto uno shot di Astrazeneca o di Janssen; e quella dei ricercatori indipendenti, secondo i quali le statistiche dicono altro e i riscontri sugli effetti avversi non sono così circoscritti. La scienza, in fondo, funziona in questo modo: con la massima diffusione dei dati e il dibattito libero, franco, purché argomentato, tra addetti ai lavori. Magrini & C. dovrebbero prendere nota: quando c’è di mezzo la salute, la priorità è un’informazione corretta e completa, non riluttante e frammentaria, interessata a tutelare la reputazione di un farmaco anziché l’incolumità di chi lo assume. Va riconosciuto che, a corroborare la lettura meno ottimistica della Craig, ci sono le dettagliate statistiche raccolte in Florida. Il Sunshine State, in effetti, qualche mese fa ha deciso di sconsigliare i vaccini agli under 40. Le cifre messe insieme a ottobre 2022 parlano chiaro: la quota di dipartite per problemi al cuore, nella fascia 18-24 anni, è passata dal 36,2 del periodo di controllo al 71,4% dei 28 giorni posteriori alle iniezioni antivirus. E tra 25 e 39 anni, il balzo è stato altrettanto impressionante: dal 18,9 al 45,3%. Nemmeno all’estero è facile destare dal torpore le agenzie regolatorie. Ma dai barlumi di verità si è arrivati quasi a un quadro completo. Perché in Italia permane tanto imbarazzo? Ora la palla - ce lo auguriamo - passa al Parlamento e alla sua commissione d’inchiesta.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
Un mio profilo è stato cancellato quando ho pubblicato dati sanitari sulle pratiche omoerotiche. Un altro è stato bloccato in pandemia e poi eliminato su richiesta dei pro Pal. Ne ho aperto un terzo: parlerò dei miei libri. E, tramite loro, dell’attualità.
Se qualcosa è gratis, il prodotto siamo noi. Facebook è gratis, come Greta è pro Lgbt, pro vax, anzi anti no vax, e pro Pal. Se sgarri, ti abbatte. Il mio primo profilo Facebook con centinaia di migliaia di follower è stato cancellato qualche anno fa, da un giorno all’altro: avevo riportato le statistiche sanitarie delle persone a comportamento omoerotico, erroneamente chiamate omosessuali (la sessualità è una funzione biologica possibile solo tra un maschio e una femmina). In particolare avevo riportato le statistiche sanitarie dei maschi cosiddetti «passivi».
A Fuori dal coro Raffaella Regoli mostra le immagini sconvolgenti di un allontanamento di minori. Un dramma che non vive soltanto la famiglia nel bosco.
Le persone sfollate da El Fasher e da altre aree colpite dal conflitto sono state sistemate nel nuovo campo di El-Afadh ad Al Dabbah, nello Stato settentrionale del Sudan (Getty Images)
Donald Trump torna a guardare all’Africa. Il presidente americano si è infatti impegnato ad agire per cercare di portare a termine il sanguinoso conflitto civile che agita il Sudan da oltre due anni.
«Pensavo fosse solo una cosa folle e fuori controllo. Ma ora capisco quanto sia importante per te e per molti dei tuoi amici qui presenti il Sudan. E inizieremo a lavorare sul Sudan», ha dichiarato l’inquilino della Casa Bianca, rivolgendosi al principe ereditario saudita, Mohammad bin Salman. Ricordiamo che la guerra civile in corso è esplosa nell’aprile del 2023 tra le Forze armate sudanesi e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces. Secondo The Hill, «più di 150.000 persone sono morte nel conflitto, circa 14 milioni sono state sfollate e si prevede che circa metà della popolazione di 50 milioni di persone soffrirà la fame quest'anno».






