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Volodymyr Zelensky (Ansa)
Il leader ucraino ieri ha visto Starmer, Merz e Macron a Londra, poi Costa e Von der Leyen a Bruxelles. Ribadita la volontà di non cedere il territorio occupato. Donald: «Un po’ deluso, non ha letto il piano di pace».
Dopo che la maratona dei colloqui tra la delegazione ucraina e quella statunitense non ha segnato una svolta decisiva, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, sempre più alle strette, ha iniziato il tour europeo tra Londra, Bruxelles e Roma alla ricerca di una «visione comune» sul piano di pace in Ucraina. Che la tensione tra la Casa Bianca e Kiev sia palpabile è evidente dalle dichiarazioni del presidente americano, Donald Trump. Il tycoon si è detto infatti «deluso» dal fatto che Zelensky «non abbia letto la proposta» americana di pace, dopo i tre giorni di colloqui in Florida tra gli ucraini Rustem Umerov e Andrii Hnatov e gli americani Steve Witkoff e Jared Kushner.
Se Trump crede che «la Russia sia d’accordo» con il piano, non nutre invece le stesse speranze verso il leader di Kiev, non ritenendolo «pronto». D’altro canto, Zelensky avrebbe visionato solamente ieri i dettagli della proposta, incontrando di persona il capo della delegazione ucraina, Umerov, a Londra. Il leader di Kiev ha però già messo le mani avanti in un’intervista a Bloomberg: servono ancora ulteriori discussioni su «questioni delicate», tra cui le garanzie di sicurezza e i territori. Zelensky ha infatti sottolineato: «Ci sono le visioni degli Stati Uniti, della Russia e dell’Ucraina. Non abbiamo una visione unitaria sul Donbass»
«Stiamo considerando di cedere territori? Non abbiamo alcun obbligo legale di farlo, secondo la legge ucraina e il diritto internazionale. E non ne abbiamo nemmeno l’obbligo morale», ha ribadito in serata il leader ucraino. Peraltro, dicendosi disposto a incontrare Trump a Washington, ha rivelato che l’Ucraina sta insistendo su un accordo separato sulle garanzie di sicurezza degli alleati occidentali. E tra le garanzie di sicurezza rientra anche «l’adesione dell’Ucraina all’Ue» che non può prescindere dal dialogo con Bruxelles. Con l’obiettivo quindi di aggiornare gli alleati europei sull’ultimo round di negoziati, Zelensky è stato accolto a Londra dal premier britannico, Keir Starmer. Che ha radunato a Downing Street anche il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Friedrich Merz. Prima di iniziare il vertice, il quartetto ha rilasciato alcune dichiarazioni che oscillano tra diplomazia e frecciatine verso gli Stati Uniti. Il presidente ucraino ha sollecitato «l’unità tra Europa, Ucraina e Stati Uniti». A ribadire che sull’Ucraina deve decidere Kiev è stato Starmer, che però ha parlato anche di «progressi». Macron ha invece lanciato una stoccata al tycoon: «Abbiamo molte carte nelle nostre mani», un esplicito riferimento alle affermazioni di Trump delo scorso febbraio, quando nello Studio ovale aveva detto a Zelensky: «Non hai le carte» per vincere la guerra. Macron ha anche aggiunto che «il problema principale è la convergenza» con gli Stati Uniti. Ancora più esplicito è stato Merz, che si è detto «scettico» su alcune proposte americane. Il presidente ucraino, al termine della riunione, senza menzionare le questioni territoriali, ha reso noto che è stata «concordata una posizione comune sull’importanza delle garanzie di sicurezza e della ricostruzione». Ha poi comunicato che il piano con le proposte europee e ucraine sarà pronto entro oggi: una volta esaminato sarà condiviso con Washington. Al vertice tra i quattro è anche seguita una videoconferenza con altri leader europei, tra cui Giorgia Meloni, che incontrerà Zelensky oggi a Roma. In una nota diffusa da Palazzo Chigi si legge che il premier ha sottolineato «l’importanza dell’unità di vedute tra partner europei e Stati Uniti» per arrivare alla pace. «Fondamentale» prosegue la nota «è aumentare il livello di convergenza su temi che toccano gli interessi vitali dell’Ucraina e dei suoi partner europei, come la definizione di solide garanzie di sicurezza e l’individuazione di misure condivise a sostegno dell’Ucraina e della sua ricostruzione». E prima di arrivare a Roma, Zelensky nella serata di ieri è stato a Bruxelles per incontrare il presidente del Consiglio Europeo, António Costa, il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il segretario generale della Nato, Mark Rutte.
Sulle trattative, Mosca ha chiesto di essere informata «sui risultati del lavoro» tra gli Stati Uniti e l’Ucraina. Ma ha anche lanciato un monito verso l’Ue, tramite il rappresentante speciale del presidente russo Vladimir Putin, Kirill Dmitriev: «La squadra di Biden» ha «spinto l’Ue sulla strada sbagliata». Se vuole «salvarsi» è arrivato il momento «di ascoltare Trump». Però un summit tra il tycoon e Putin dovrà attendere almeno il 2026: a renderlo noto è il portavoce russo, Dmitry Peskov, spiegando che non sono in corso i preparativi per un vertice.
Intanto, la Procura generale della Russia ha formalizzato le incriminazioni dirette ai vertici ucraini per «genocidio contro la popolazione di Donetsk e Luhansk». Nella lista degli accusati non compare Zelensky, ma sono presenti Umerov, l’ex capo di gabinetto, Andryi Yermak, l’ex presidente, Petro Poroshenko, l’ex premier, Denys Shmyhal, e l’ex capo di stato maggiore delle forze armate, Valery Zaluzhny.
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Elon Musk e Donald Trump (Ansa)
Confesso di non capire perché in Italia ci si indigni tanto per le parole di Donald Trump e Elon Musk sull’Unione europea. Può non piacere che il presidente americano parli della fine della civiltà del vecchio continente.
E possono sembrare sopra le righe le frasi del padrone di Tesla a proposito un presunto quarto Reich, ovvero di un regime che limita le libertà. Tuttavia, a prescindere dal gradimento che possono suscitare le dichiarazioni provocatorie dei due, è abbastanza evidente che la Ue e in generale l’economia europea rischiano di fare una brutta fine. Un tempo i Paesi europei erano non soltanto la culla della civiltà, ma soprattutto il cuore dell’industria, della finanza e dell’innovazione. Da parecchio il baricentro si è però spostato ad ovest, in America, tant’è che nel vecchio continente dall’inizio del nuovo millennio non è sorto quasi nulla e, soprattutto, non ci sono invenzioni che possano lasciar pensare a un cambiamento del modello produttivo.
E quando non sono gli Stati Uniti a battezzare gli unicorni, ovvero le start up che in breve conquistano il mercato, ci sono la Cina e i Paesi dell’Est asiatico. Dunque, perché scandalizzarci se qualcuno parla di declino dell’Unione e critica il nostro modello economico e le nostre politiche?
Trump e Musk certo non sono campioni di simpatia e probabilmente anche per il modo in cui si esprimono suscitano reazioni avverse. Ma nei fatti anche altri, che non possono essere considerati pregiudizialmente contrari alla Ue, dicono le stesse cose. Prendete Jamie Dimon, ovvero il gran capo di Jp Morgan, amministratore delegato di una banca d’affari che da sempre lavora con i governi occidentali. Sabato sera al Reagan National Defense Forum ha messo in guardia l’Unione europea dicendo che ha «un vero problema»” e spiegando che sta «allontanando le imprese, gli investimenti e l’innovazione». Un’improvvisa pugnalata alla schiena? No, la conferma di un giudizio che era già stato espresso con la lettera agli azionisti di inizio 2025, quando Dimon aveva parlato di «una serie di problemi da risolvere». Il capo di Jp Morgan potrebbe essere ritenuto un inguaribile pessimista a proposito del futuro che attende l’Europa. Ma a sorpresa anche Jim Farley, amministratore delegato della Ford Motor Company, esprime giudizi non proprio lusinghieri a proposito della leadership Europa. In un intervento pubblicato dal Financial Times il numero uno del colosso automobilistico americano sostiene che l’Europa sta mettendo a rischio il futuro della propria industria automobilistica. Niente di nuovo, a dire il vero, dato che dubbi sulle scelte della Ue a proposito del settore li esprimiamo pure noi da anni. Ma Farley non è un opinionista, bensì il rappresentante di uno dei grandi player di quella che per anni è stata la principale catena di montaggio industriale del mondo. L’auto ha fatto girare l’economia e attorno alle quattro ruote è stata costruita la crescita. Se all’improvviso i veicoli europei inchiodano e il settore rischia di uscire di strada per effetto di alcune scelte politiche è evidente che i contraccolpi potrebbero essere devastanti.
Qualcuno potrebbe osservare che sia Dimon che Farley sono americani e dunque rappresentano il mondo che ha espresso sia Trump che Musk. Eppure a pensarla così non sono soltanto i banchieri e gli industriali a stelle e strisce, ma anche gli amministratori delegati delle principali industrie europee. Secondo un’indagine citata dalla britannica Reuters fra i numeri uno dei colossi del vecchio continente, fra i quali aziende come Basf, Vodafone e Asml, gli Stati Uniti sono assolutamente preferibili per fare investimenti rispetto alla Ue. Le motivazioni della scelta non sono politiche ma economiche: il 45% crede che puntare sugli Usa garantisca migliori ritorni rispetto alla Ue e il 38% ha dichiarato che in Europa investirà meno di quanto pianificato appena sei mesi prima. In altre parole, i vertici delle principali imprese europee non hanno fiducia nell’Unione.
A questo punto si può prendersela finché si vuole con i discorsi irridenti di Trump e pure con i giudizi sarcastici di Musk, ma se i protagonisti di banche e imprese, americane e comunitarie, dicono che a Bruxelles qualche cosa non va, forse dovremmo fare una riflessione. Soprattutto dopo aver dato uno sguardo alla bilancia commerciale europea, da cui risulta che il nostro import dalla Cina continua ad aumentare. Dopo l’introduzione dei dazi voluti da Trump, Pechino ha visto calare drasticamente le esportazioni verso gli Usa ma ha compensato abbondantemente con quelle verso la Ue. In pratica, noi siamo sempre più dipendenti dalla Repubblica popolare cinese, il che non è esattamente un bel segnale, visto che il Dragone non è un ente di beneficienza ma un Paese governato da una dittatura post comunista. Secondo Massimo D’Alema intrattenere rapporti con Xi Jinping è utile, ma se va bene a un tizio che dalla difesa del proletariato è passato senza soluzione di continuità al settore difesa e armamenti, occupandosi di piazzare corvette e caccia a Paesi non proprio democratici, c’è qualche cosa che non va. E i primi a doversi preoccupare non sono Trump o Musk ma noi.
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Già millenni fa si «ciancicavano» gomme, ricavate dalla corteccia di certi alberi. In Italia arrivano dopo la Seconda guerra mondiale. Con zucchero o senza, rivestite o medicate, ecco la guida per orientarsi.
Si potrebbe pensare che la gomma da masticare sia una creazione contemporanea, in realtà, pensate, «ciancicavano» gomma già… i Maya! Ebbene sì, i Maya masticavano abitualmente palline di gomma con due scopi, pulire i denti e tenere a bada la fame. La gomma da masticare dei Maya era ben diversa da quelle attuali in primo luogo perché era totalmente naturale.
Essi, infatti, incidevano il tronco della Manilkara chicle e raccoglievano la sostanza che ne colava, per poi bollirla fino al raggiungimento della consistenza giusta per appallottolarla in pezzetti da masticare. La parola chicle è il nome in lingua nahuatl della pianta da cui i Maya estraevano la gomma, la Manikara chicle, appunto, che è una pianta angiosperma dicotiledone della famiglia delle Sapotaceae diffuse nei Paesi dell’America centrale e in Colombia, un bell’albero sempreverde dalla grande chioma che arriva fino a 40 metri di altezza, presente dalla messicana Veracruz fin le coste atlantiche della Colombia. L’albero della Manikara chicle cresce nelle foreste, fino a 1.100 metri sul livello del mare, pensate, e non solo i Maya ne masticavano le palline, ma, in un certo senso, anche noi. Il nome che comunemente si dà in Piemonte alla gomma da masticare, cicles, deriva proprio dal nome di questa pianta, arrivato da noi attraverso una marca di gomme da masticare americana negli anni appena successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Da cicles deriva anche cicca, altro modo di chiamare colloquialmente il chewing gum. E proprio dalla corteccia della Manikara chicle e da altre piante congeneri nasce questo lattice che in passato si usava come unica materia prima gommosa (e naturale) per preparare le gomme da masticare. Le tesi sul passaggio dalla gomma naturale masticata dai Maya a quella di produzione occidentale sono varie. Secondo alcuni, la gomma da masticare occidentale nasce per riciclare quantitativi di quel lattice dei Maya esportato negli Usa, però senza successo. Nel 1845, il generale messicano Santa Ana, in fuga a New York dopo un colpo di Stato che lo aveva esautorato dal potere, propone all’imprenditore Thomas Adams una partita di chicle, che però non supera il processo di vulcanizzazione e non va bene per l’uso industriale. Così Adams pensa di aggiungere sciroppo di zucchero e un aroma (ovvero sassofrasso o liquirizia) e nel 1866 lancia il bon bon da ciancicare sul mercato alimentare, col nome di Adams - New York Chewing gum. Chewing gum significa letteralmente gomma masticante, cioè masticabile, ossia da masticare. La gomma da masticare si fa strada nel cuore e soprattutto nelle bocche degli americani: nel 1885 l’imprenditore di Cleveland William J. White sostituisce lo sciroppo di zucchero con lo sciroppo di glucosio, più performante nella miscelazione con altri ingredienti, e aromatizza con quello che poi diventerà l’archetipo assoluto della gomma da masticare, anche perché rinfresca l’alito, la menta piperita. Nel 1893 William Wrigley crea due nuove gomme da masticare, la Spearmint e Juicy fruit. Secondo altre tesi, prima di Thomas Adams il primo a commerciare una gomma da masticare, ottenuta però dalla linfa di abete rosso, fu John B. Curtis, che nel 1848 produsse la State of Maine Pure Spruce Gum, una ricetta segreta che oltretutto non brevettò mai. La gomma da masticare arriva in Europa, coi soldati americani, durante la Prima Guerra Mondiale, in Francia. Da noi, arriva con la Liberazione che pone fine alla Seconda Guerra Mondiale. Per un po’ di tempo gli italiani masticano americano. Poi, il dolcificio Perfetti di Lainate, nato infatti nel 1946, inizia a produrre chewing gum italiano con il nome, giustamente americano, Brooklyn. Il formato non è sferico ma a lastrina, lo slogan noto a tutti, «la gomma del ponte», sottinteso di Brooklyn, insomma la gomma americana.
Oggi più che mai, ma ben prima di oggi, più o meno a partire dagli anni Sessanta, il chewing gum abbandona la sua fattezza totalmente naturale e diventa sintetico, del tutto o in gran parte sintetico. È un po’ il destino di tutto: nel caso della gomma da masticare il motivo è che in questo modo la produzione costa meno e poi la sinteticizzazione della materia prima sopperisce alla rarefazione degli alberi di sapodilla. Il chicle sintetico è fatto con polimeri sintetici, in particolare gomma butadiene-stirene e acetato di polivinile. Di solito, giusto il 15-20% circa della gomma usata è ancora fatta di lattice di sapodilla (oppure di jelutong, l’albero da lattice Dyera costulata diffuso nelle foreste del Sudest asiatico). A questa base gommosa si aggiungono aromi, edulcoranti e additivi, come lo xantano, che rendono il chewing- gum odierno più elastico del suo antenato Maya. E infatti ciancichiamo a tutto andare, la stima di consumo mondiale è di circa 350 miliardi di gomme da masticare all’anno, circa 30 milioni in Italia.
D’altronde, c’è un chewing gum per ogni occasione. I chewing gum in commercio oggi sono divisibili in quattro gruppi: con lo zucchero, senza lo zucchero, chewing gum rivestiti e chewing gum medicati. Nei primi abbiamo quasi l’80% di peso in zuccheri, come saccarosio e sciroppo di glucosio. Il chewing gum senza zucchero contiene polioli naturali come sorbitolo, xilitolo, eritritolo, dolcificanti naturali a basso contenuto calorico, basso rischio cariogenico e e basso indice glicemico, oppure dolcificanti sintetici ad alta intensità come l’aspartame, il sucralosio, l’acesulfame K. Le gomme da masticare rivestite sono quelle col ripieno e quelle medicate sono, invece, addizionate di sostanze nutritive o composti farmaceutici, per promuovere funzioni specifiche del nostro organismo e prevenire alcuni disturbi, come le gomme antinausea per il mal d’auto e le gomme alla nicotina per la disintossicazione dal fumo. Queste ultime, naturalmente, non devono essere usate in circostanze diverse da quelle per cui nascono.
Ma masticare gomme fa bene o fa male? Se guardiamo all’antenato della gomma da masticare, sicuramente masticare materie di estrazione naturale, in primo luogo resine, è una prassi umana radicata e volta ad uno scopo innanzitutto curativo. Pensate che nel sito neolitico di Kiriekki, in Finlandia, i ricercatori hanno di recente rinvenuto un pezzo di resina risalente al terzo millennio prima di Cristo, ricavato da corteccia di betulla, con segni di denti ben visibili. Anche i greci del V secolo a.C. usavano masticare resine di lentisco. I nostri antenati masticavano resine per estrarne i fenoli, che hanno proprietà antinfiammatorie. Non masticavano solo resine: i malesi masticavano noci di betel, etiopi e yemeniti il qat del Corno d’Africa, i Maya, appunto, palline di chicle. Oggi, continuiamo a masticare. Dopo cioccolatini e caramelle, il chewing gum è il terzo piccolo boccone dolce preferito al mondo, naturalmente non si ingoia e l’apporto calorico è certamente inferiore a quello di cioccolatini e caramelle, quindi molti masticano il terzo, anziché mangiare i primi due per stare a dieta.
Masticare il chewing gum può avere aspetti positivi. Se dopo un pasto o uno snack non abbiamo modo di lavare i denti con spazzolino e dentifricio, rischiamo che la diminuzione del valore del PH della placca conseguente al pasto intacchi smalto e dentina aumentando il rischio di carie. Per alzarlo, allora, e riportarlo a livelli di normalità si può masticare chewing gum senza zucchero, in questo modo stimoliamo la produzione di saliva, la cui aumentata quantità nel cavo orale ha l’effetto di riportare il PH della placca dentaria a un valore normale, debellando il rischio carie. Particolarmente adatto pare essere il chewing gum senza zucchero con xilitolo, del quale è stata appurata la capacità di inibire la crescita dei batteri che, lasciati invece liberi, possono demineralizzare lo smalto e la dentina, favorendo la nascita della carie. La produzione extra di saliva aiuta questo effetto preventivo della carie del chewing gum con xilitolo, perché la saliva contiene enzimi ed anticorpi che hanno un effetto antibatterico naturale. La saliva ha anche l’effetto di rimineralizzare e quindi rafforzare lo smalto dentario. Masticare il chewing gum dopo un pasto fuori casa poi ha un effetto detergente sui denti. Masticare il chewing gum ha un effetto rinfrescante sull’alito, tuttavia questo non si può considerare un intervento curativo a lungo termine nel caso si soffra di alitosi stabile, che va indagata e curata alla radice. Idem la pulizia dei denti, non si può certamente considerare la masticazione del chewing gum equivalente a lavare i denti con lo spazzolino e poi a passare il filo interdentale. La masticazione del chewing gum non dovrebbe superare i 15-20 minuti e massimo per 3 chewing gum al giorno. Se si esagera, invece, si rischia di creare problemi all’articolazione della mascella e ai muscoli della bocca e delle guance. Inoltre, essendo le gomme da masticare contemporanee estremamente adesive rispetto a quella di sola origine naturale, si rischia di tirare via otturazioni dentali, se se ne hanno, e creare problemi ad altre presenze nella bocca come ponti, protesi e apparecchi (soprattutto in quest’ultimo caso, non si deve masticare la gomma). Sembra poi che masticare chewing gum aiuti la concentrazione.
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