2020-11-25
Troppi segreti sui vaccini
Prima abbiamo dovuto sorbirci le balle del premier e di Roberto Speranza, che vantavano acquisti mai fatti. Adesso non solo non si possono sapere i termini contrattuali, ma tengono nascosti anche i nomi dei rappresentanti di governo che negoziano con le varie aziende.La storia dei vaccini ormai è più oscura del terzo segreto di Fatima. Non perché, come teme il virologo Andrea Crisanti, si conosca poco o nulla di come e fino a che punto sia stato testato, ma in quanto riuscire a scoprire quando arriverà la cura che ci dovrebbe rendere immuni, quanto costerà e chi stia trattandone l'acquisto ormai è diventato impossibile, perché la faccenda è un affare di Stato e come tale top secret. Il nostro Antonio Grizzuti ha provato a venirne a capo in ogni modo, interpellando il ministero della Salute e pure gli uffici di Bruxelles che si occupano di reperire le miracolose fiale, ma nonostante gli sforzi non ha cavato un ragno dal buco. Alle sue domande si è trovato davanti un muro invalicabile, con risposte invariabilmente uguali: non possiamo dire niente.E dire che fino a pochi mesi fa, quando il ricercatissimo farmaco che doveva proteggerci dal coronavirus era ancora di là da venire, al governo erano stranamente loquaci. A metà giugno fu lo stesso ministro Roberto Speranza ad annunciare di aver sottoscritto, insieme ad altri ministri Ue, un accordo per comprare da una multinazionale 400 milioni di dosi destinati a tutta Europa. Una balla che Giuseppe Conte avvalorò con la solita sicumera, lasciando intendere che il vaccino sarebbe arrivato a brevissimo. Via Twitter, infatti, il premier cinguettò: «All'Italia, che è stata la prima in Europa a conoscere da vicino questo virus, oggi è stato riconosciuto di essere tra i primi Paesi a dare una risposta adeguata. E anche con questa notizia oggi dimostriamo che vogliamo essere in prima linea nell'approvvigionamento di un vaccino, nella ricerca e nelle terapie che allo stato risultano più promettenti». Insomma, eravamo avanti a tutti gli altri. O questo, per lo meno, era ciò che Speranza e Conte lasciavano credere cinque mesi fa. Interpellati da Grizzuti, cronista pignolo a cui piace verificare di persona numeri e retroscena prima di scrivere, i dirigenti del dicastero della Salute erano invece caduti dalle nuvole, ammettendo di non aver firmato nulla e precisando che la questione era interamente nelle mani della Ue. Una smentita netta sia delle dichiarazioni del ministro che dei cinguettii del presidente del presidente del Consiglio. I quali però, con il passare delle settimane e, ahinoi, l'arrivo della seconda ondata di coronavirus, sono tornati a spargere certezze sull'imminente arrivo della soluzione finale contro il Covid. Era il 20 ottobre quando il premier rassicurò gli italiani dicendo che le prime dosi del vaccino sarebbero giunte a inizio dicembre. Mentre Speranza, all'inizio di novembre, fece trapelare attraverso le pagine di Repubblica di un incontro avvenuto alla fine di ottobre con i massimi dirigenti della Pfizer per l'acquisto e la distribuzione delle dosi che dovrebbero immunizzare la popolazione. In realtà, nonostante le molte dichiarazioni tranquillizzanti, al momento della disponibilità delle fiale si sa esattamente ciò che si conosceva a giugno, cioè niente. Al punto che, dopo aver preconizzato a ottobre che la cura sarebbe stata disponibile in Italia già all'inizio di dicembre, l'altra sera, dalla Gruber, Giuseppe Conte è stato costretto a dire che le prime dosi si vedranno in Italia alla fine di gennaio.In realtà, anche l'ultima previsione del premier appare ottimistica, perché la maggioranza degli esperti ritiene credibile la disponibilità del farmaco negli ospedali solo in primavera. Tuttavia non siamo costretti a segnalare solo i continui rinvii di una cura di cui al momento nessuno dispone, ma anche la nebbia che circonda l'approvvigionamento del miracoloso farmaco. Perché se da un lato le parole di ministri e premier sono rassicuranti, quando si entra nei dettagli tutto diventa un po' meno certo. Tanto per cominciare non è affatto tranquillizzante che, mentre altri Paesi abbiano provveduto a dotarsi di celle frigorifere in grado di conservare il vaccino, l'Italia - che può contare su una ditta specializzata nella catena del freddo a meno 80 gradi - ancora non si sia neppure posta il problema. Soprattutto, non consente di dormire tra due guanciali il fatto che nessuno sappia dire con certezza chi si stia occupando dell'acquisto delle dosi necessarie a proteggere le persone. Al momento si sa soltanto che la distribuzione sarà affidata a Domenico Arcuri, il che, visti i precedenti, può essere solo garanzia di fallimento. Quanto ai costi, il super commissario al momento avrebbe sganciato 94 milioni e altri 400 sono stati messi a bilancio per le future spese. Ma anche in questo caso, viste le spese delle mascherine e dei banchi, la dotazione non appare congrua e si rischia un consuntivo assai più salato. In pratica, sulla cura che dovrebbe salvarci si sa meno di niente, né per quanto riguarda le somme, né per ciò che attiene alle procedure. Un mistero da cui potrebbe salvarci un altro tipo di vaccino, ovvero una cura che debelli Conte e la sua corte.
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