2022-04-21
Pillola del 5° giorno libera per le minorenni
Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso delle associazioni pro vita contro il prodotto abortivo EllaOne. Intanto negli Stati Uniti la California sta discutendo una proposta di legge avanzata dai dem che, se approvata, potrebbe rendere non punibile l’infanticidio.Facilitare l’aborto. È questo l’imperativo che, a livello internazionale, pare dominare aule politiche e tribunali. Se n’è avuta conferma nelle scorse ore, con le 13 pagine di sentenza con cui il Consiglio di Stato si è pronunciato su EllaOne, la cosiddetta pillola dei cinque giorni dopo, stabilendo come sia «legittimo» venderla «senza prescrizione anche alle minorenni». I giudici di Palazzo Spada hanno così confermato quanto deciso nel giugno 2021 dal Tar del Lazio. Con quella decisione, erano state, infatti, già rigettate le istanze di alcune associazioni pro vita che avevano presentato ricorso contro la delibera 998/2020 dell’Agenzia italiana del farmaco. Un provvedimento con il quale, come chiarito un comunicato dell’agenzia stessa, l’Aifa aveva stabilito non essere «più necessario l’obbligo della prescrizione medica per dispensare alle minorenni l’ulipristal acetato (EllaOne), il farmaco utilizzato per la contraccezione di emergenza fino a cinque giorni dopo il rapporto».Il mondo pro life era, quindi, ricorso alla giustizia amministrativa che però, ieri, si è pronunciata in modo definitivo, con il Consiglio di Stato che ha rigettato tutte le istanze. Nello specifico, i giudici si sono soffermati su due aspetti: il rapporto tra consenso informato e farmaci e la natura, definita contraccettiva e non abortiva, di EllaOne. Relativamente al primo, il Consiglio di Stato, confermando le osservazioni del Tar, ha sottolineato come la dispensazione delle specialità medicinali e dei farmaci da banco, dunque non soggetti a prescrizione medica, vada esclusa «dal novero dei trattamenti sanitari in senso stretto che coinvolgono tutta una serie di questioni specifiche, tra cui quella del consenso e, più in generale, della relazione tra medico e paziente».Le sentenza ha pure precisato che, nel caso portato all’attenzione dei giudici, «non viene in rilievo un atto medico somministrato a un paziente, che deve scegliere, previa prestazione di consenso personale, libero, esplicito, consapevole, specifico, attuale e revocabile in ogni momento, bensì di volontaria assunzione di un farmaco». Ma per il farmaco, chiosa il pronunciamento, «le autorità sanitarie non hanno previsto la prescrizione medica, qualificando lo stesso come farmaco da banco». Il tema del consenso informato, insomma, per i giudici, proprio non si pone.Per quanto riguarda la differenza tra farmaco abortivo e farmaco contraccettivo, il Consiglio Stato ha ribadito come la decisione di Aifa sia stata assunta sulla base di «studi scientifici», da cui emerge che «il farmaco EllaOne non deve essere confuso con il regime farmacologico usato per l’interruzione volontaria della gravidanza» e che «il meccanismo d’azione del farmaco è antiovulatorio, vale a dire che agisce prima dell’impianto dell’embrione».«Il punto è che EllaOne non agisce solo come contraccettivo d’emergenza», ha commentato Jacopo Coghe, portavoce di Pro vita & famiglia, «ma ha dei possibili effetti abortivi in caso l’ovulo sia già fecondato». In effetti, ci sono pubblicazioni che confermano questo aspetto. Come quella pubblicata dagli studiosi Bruno Mozzanega ed Erich Cosmi, nel 2011, sull’Italian Journal of Obstetrics nel quale, con riferimento proprio a EllaOne, si evidenziava come, per l’assunzione di questa pillola, possa sì «invocarsi un’azione anti ovulatoria e anti concezionale», ma essa sia significativa quando la donna ha minori possibilità di concepire, perché si è ancora lontani dal momento ovulatorio; in altre circostanze «si avrà esclusivamente un’azione anti annidamento», e cioè abortiva. Ma di tali valutazioni, evidentemente, il Consiglio di Stato non ha tenuto conto.C’è almeno da augurarsi, tornando all’impegno instancabile dell’internazionale abortista, che le cose possano andare meglio in California, dove i pro life sono in allarme per un disegno di legge che, se approvato, potrebbe spalancare le porte addirittura all’infanticidio.Il riferimento è all’Assembly bill 2223 che libera da «ogni responsabilità o sanzione civile o penale» chiunque possa, con le sue azioni, risultare collegabile a un esito infausto di una gravidanza, inclusi il caso di aborto o di «una morte perinatale». Lo scopo ufficiale del disegno di legge, presentato dalla democratica Buffy Wicks, è risparmiare alle gestanti grane legali in caso la loro gravidanza finisse male. Il punto, come rilevato da Lila Rose, attivista di LiveAction, è che la parola perinatale «non è definita nel disegno di legge, e può essere usata sia per indicare i bambini un mese prima della loro nascita, sia i bambini fino a 28 giorni dopo la loro nascita».Il legislatore californiano è, dunque, sulle le orme di quello del Maryland, dove, a fine marzo, il senatore democratico Will Smith ha depositato una proposta di legge che, se passasse, non consentirebbe alcuna sanzione, addirittura neppure un’indagine, sulle morti precoci dei bambini. Un tema già doloroso di suo, su cui la politica progressista, per ora solo americana, sta mostrando un inquietante interesse.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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