2018-05-27
Gli insulti tedeschi svegliano l’Italia. L’ambasciatore striglia lo «Spiegel»
Le bordate dei giornali stranieri fanno uscire dal torpore un Paese ancora bloccato sui nomi per il governo Il nostro diplomatico a Berlino scrive al settimanale: «Attaccare un intero popolo è una strada pericolosa».Limitiamoci solo alle ultime 36 ore. Il plotone d'esecuzione dei mainstream-media internazionali non smette di sparare, una raffica dopo l'altra. New York Times: «I populisti si prendono Roma».L'Economist: «Conte? Un dead man walking, servo di due padroni», con vignetta del primo ministro nei panni di Arlecchino. Lo Spiegel: «Italia scroccona». Copertina dell'inserto settimanale della Frankfurter Allgemeine Zeitung con un'altra vignetta feroce (e perfino vagamente razzista): l'Italia paragonata a un bus sull'orlo del burrone guidato da un energumeno che fa il gestaccio dell'ombrello. E, oltre che dai media, le bordate arrivano pure dai pesi massimi della politica tedesca. Ieri si è espresso il commissario Ue al Bilancio, Günther Oettinger, collega di partito della Merkel: «Le regole sono chiarissime», ha dichiarato. «I criteri vanno rispettati. Se questo non accade, ci saranno colloqui molto seri con l'Italia. Anche il governo greco alla fine si è attenuto ai diritti e ai doveri dell'eurozona».Davanti a tutto questo, mentre prosegue la lapidazione preventiva di Paolo Savona, come unico segno di dignità nazionale è per lo meno giunta una lettera dell'ambasciatore italiano a Berlino, Pietro Benassi, che ha scritto allo Spiegel protestando per il fatto che l'attacco «sembra indirizzato verso un intero popolo, è una strada pericolosa». Tra l'altro, ci sono (almeno) due punti che non tornano. Primo: se ci fosse un no definitivo a Savona, sarebbe la certificazione di un Paese commissariato e sotto tutela estera, che non può scegliersi liberamente il ministro dell'economia. Secondo: molti degli altri nomi in gioco (qualunque sia il giudizio di ciascuno su di loro) sono tutto tranne che «populisti»: Enzo Moavero è un eurolirico, starei per dire un «euroayatollah», un montiano di ferro, un feticista delle attuali regole Ue; l'ambasciatore Giampiero Massolo, per estrazione e carriera, è tutto tranne che un ribelle antisistema.Ma incuranti di questo e sprezzanti del ridicolo, i giornaloni, molti quirinalisti (o ventrilo-quirinalisti) e i soliti commentatori-commendatori, forse ispirati in alto loco, continuano a ripetere la loro scomunica verso Paolo Savona. La cosa è francamente surreale: come La Verità spiega dall'inizio di questa vicenda, Savona è probabilmente il più autorevole economista italiano, ha un curriculum di raro prestigio, è stato un sincero europeista, e forse lo è ancora: nel senso che continua a credere negli ideali dei fondatori dell'Europa. Ma non crede più alle attuali regole europee e vorrebbe contribuire a cambiarle, per non fare dell'Ue il giardino di casa della Germania. Come si possa essere messi all'indice per tesi di simile buon senso resta incomprensibile. Ma davvero, nell'Italia del 2018, è stato reintrodotto il crimine di blasfemia? Davvero c'è una caricatura del Tribunale dell'Inquisizione che individua gli eretici, chiede abiure, e altrimenti li manda al rogo? Davvero non è possibile mettere in discussione alcuni parametri e standard dell'attuale Ue perché sono diventati altrettanti dogmi?Dobbiamo esserci davvero ridotti male se l'intolleranza e il dogmatismo del nostro dibattito istituzionale e mediatico sono giunti a questo punto. Ma torniamo al punto. Forse non c'è solo l'Unione europea come «capo d'imputazione» contro Savona. C'è anche un altro argomento, che a mio avviso lo rende ancora più credibile: l'ostilità verso di lui della Banca d'Italia, altra istituzione che Savona conosce bene. E Bankitalia conosce lui, che molto spesso (con competenza e preveggenza) ne ha individuato gli errori, condivisi tra via Nazionale e i governi degli ultimi anni: l'accettazione dei tempi e dei modi del bail in, la scarsa capacità di negoziare in Europa regole favorevoli all'Italia in materia di unione bancaria, e soprattutto la pretesa di mantenere due poteri che costituiscono un vero conflitto d'interessi in capo a Bankitalia, e cioè i poteri di vigilanza e quelli di risoluzione delle crisi. In pochissimi abbiamo difeso e rilanciato le motivate osservazioni di Savona su questo punto: se la Banca d'Italia con una mano vigila sulle banche e con l'altra dispone soluzioni per le loro crisi, è evidente che possa essere indotta, in seconda battuta, a coprire i suoi stessi errori commessi nella fase della vigilanza, o possa essere portata a soluzioni «politiche», discrezionali, arbitrarie. Meglio dunque separare i due poteri. Apriti cielo! Il solo fatto di sostenere queste tesi rende Savona (e tutti noi) eretici da mandare al rogo.Un ultimo avviso agli inquisitori. Quando Giordano Bruno fu arso in Campo d' fiori, gli fu anche applicata una mordacchia affinché non potesse parlare. Sarà bene che riflettano: quando gli italiani ascolteranno Paolo Savona dalla sua viva voce, scopriranno che il «mostro» non è affatto «mostruoso», ma è un uomo ragionevole, di buon senso, che cerca intese convenienti per l'Italia e non guerre con il resto del mondo. Sarà un'altra figuraccia per gli inquisitori. E per chi li ispira.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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