2021-10-05
Piccolo manuale di autocritica per rimettere in pista la destra
Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Ansa)
Occorre concentrarsi sull'elettore, presentato come un bifolco evasore dalla sinistra: non basta intercettarlo ma bisogna tendergli la mano su tasse e lavoro. Poi occorre destare i partiti dal torpore generato da Mario Draghi.Esce stamattina in libreria un mio libro al quale tengo particolarmente, e ringrazio La Verità per questa preziosa opportunità di presentarlo in anteprima. Il titolo è - per così dire - programmatico: Per una nuova destra. E il sottotitolo offre alcuni indizi esplicativi: «Antitasse, pro libertà, dalla parte dei dimenticati dalla sinistra». Ci sarà tempo per esaminare a fondo il risultato delle amministrative, sia nei prossimi giorni sia - a bocce definitivamente ferme - dopo i ballottaggi. Ma una domanda s'impone sin da ora: come si spiega il mistero di uno schieramento che, secondo tutti i sondaggi, in caso di voto politico nazionale, avrebbe tra gli 8 e i 10 punti di vantaggio sugli avversari (cioè stravincerebbe), ma che non sembra in grado di scaricare a terra questa potenza, o almeno questa potenzialità? Davanti a questo rebus, Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia hanno due strade. La prima (che mi permetto di sconsigliare) è quella di una lunga, chiassosa e inconcludente lite condominiale, nel tentativo di occultare o distribuire le colpe. La seconda (a cui il libro intende contribuire) è invece quella di concedersi un lusso a cui il centrodestra rinuncia da troppi anni: un dibattito di fondo su cosa questa coalizione voglia davvero essere, e su quali elettori intenda rappresentare. È mia convinzione che ci sia una immensa working class (intesa nel senso più largo: imprese e lavoratori) che guarderebbe naturalmente da questa parte ma che non sempre si sente adeguatamente difesa. Certo, il centrodestra dice spesso cose condivisibili in economia, e quegli elettori sanno bene quanto la sinistra delle tasse e del sospetto contro il settore privato sia di per sé un'insidia: ma quasi mai autonomi e partite Iva hanno visto il centrodestra fare una battaglia campale e definitiva per loro. I forgotten men italiani sono lì: l'Italia delle piccole imprese, dei proprietari di immobili, degli autonomi, delle partite Iva, con i loro dipendenti e collaboratori. Tutti esposti al vento della crisi, quasi mai protetti dagli ombrelli dei sussidi e degli interventi pubblici (di cui invece devono sopportare il costo) e per giunta irrisi e sbeffeggiati come evasori. Oltre che presentati dalla sinistra, dai mainstream media e dai soliti intellettuali come ignoranti, come belve rabbiose, praticamente degli hooligans da tenere a bada (e da mandare a votare il meno possibile per le elezioni politiche generali). Il libro ha un atteggiamento onesto e rispettoso verso Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi. Ma con la stessa onestà riconosce ciò che manca nell'attuale centrodestra. La destra ama da anni attaccare il politicamente corretto. Ma, oltre a questo, c'è una pars construens, c'è una volontà di ricostruire? E su che basi? Basta con il piagnisteo (pur giustificato) contro il deep state, contro i vecchi poteri che remano o remerebbero contro. Che cosa intende fare la destra, oltre (cosa ottima) ad avere molti elettori, per creare una sua autorevolezza nelle istituzioni, negli apparati dello Stato, nella cultura? Avere grande forza elettorale è una precondizione per vincere, ma non basta per governare. Che si fa per avere una classe dirigente attrezzata, preparata, consapevole del fatto di essere sotto assedio per il solo fatto di non stare a sinistra?E ancora. Esiste il pericolo che, anche a causa del ruolo periferico giocato durante il governo guidato da Mario Draghi, i partiti (di maggioranza e di opposizione) risultino marginalizzati, commissariati, percepiti come esclusi dalle decisioni vere, e ridotti solo a battaglie di propaganda o a pure questioni interne, lontanissime dalle esigenze primarie dei cittadini? Come evitare la doppia eventualità (a cui Fdi e Lega sono rispettivamente esposti) o di una destra automarginalizzata, fortissima ma complessivamente minoritaria e - in ultima analisi - quasi felice di esserlo perché sollevata dagli oneri e dalle responsabilità del governo, o, all'inverso, di una destra più timida e omologata rispetto al recente passato, eccessivamente «governista», che a quel punto perderebbe sintonia con segmenti decisivi di elettorato? Il libro ha l'ambizione di non limitarsi a porre domande, ma anche di abbozzare risposte. Sia sul piano organizzativo, sia su quello dei contenuti programmatici, sia (mi si perdoni la parola) provando a immaginare una «visione», offrendo una prospettiva culturale - si spera - non asfittica, liberalconservatrice, con precisi riferimenti anche internazionali. È la sinistra - non solo in Italia - che oggi rischia di fare gli interessi dei few, cioè dei pochi, mentre toccherebbe alla destra farsi carico dei many, dei molti, di una maggioranza sociale sempre più spesso sprovvista di una efficace rappresentanza politica. Mi trovo evidentemente in conflitto d'interessi: ma suggerisco davvero ai leader e ai dirigenti della destra, e naturalmente agli elettori di questo schieramento, oltre che agli splendidi lettori della Verità, di prendere il libro e leggerlo. È volutamente un saggio «discutibile»: nel senso che offre tesi e proposte da dibattere. Ma con un obiettivo preciso: evitare che il centrodestra si faccia aggredire e disarticolare. Sciupando così l'occasione storica di prepararsi a governare, e consentendo il grande sogno di molti: perpetuare un commissariamento dell'Italia che, in varie forme, prosegue quasi ininterrottamente dal 2011.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.