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2023-10-14
Piccoli Brividi torna su Disney+
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Ayo Davis (Getty Images)
Piccoli Brividi, creazione letteraria dello scrittore Robert Lawrence Stine, è stato un fenomeno senza pari: la più venduta fra le serie per ragazzi, secondo il Guinness dei Primati. Agli albori degli anni Novanta, quando Stine ha scritto il primo delle decine di libri che sarebbero venuti, presagire il successo dell’impresa sarebbe stato impossibile. Poi, il tempo è passato, i racconti si sono moltiplicati e, in fretta e furia, si sono raggiunti i quattrocento milioni di copie vendute, con traduzioni disponibili in trentadue Paesi.Piccoli Brividi è diventato il libercolo di ogni ragazzino, il primo approccio all’horror letto con mano tremante, con quel misto di ansia e frenesia che precede lo spavento consapevole.Piccoli Brividi è diventato un cult e, a trentuno anni dalla sua genesi, Disney ha voluto restituirgli lo status che le tecnologie e il lento ma inesorabile tramonto della carta gli hanno tolto.
Piccoli Brividi, dopo due goffi tentativi di adattamento, è stato trasposto in una serie televisiva: in dieci, patinati episodi, disponibili su Disney+ da venerdì 13 ottobre. Nessun tentativo folle l’ha mossa. Disney non si è incapricciata sul desiderio di creare una saga infinita, quanto, piuttosto, sulla volontà di cavalcare un’onda precisa, quella dei ragazzini, delle imprese allaGoonies, rilette però attraverso un filtro contemporaneo, in bilico costante fra la maturità e i doveri dell’età adulta e la spensieratezza tragicomica dell’adolescenza. Piccoli Brividi, così come la serie lo ha reinventato, attinge, dunque, a cinque fra le decine di libri di Stine. Cinque racconti ridotti in pezzi e rimasticati, perché lo show possa avere una sua indipendenza e restituire, con quanta più credibilità possibile, l’avventura di un gruppo di studenti, decisi ad indagare su una morte del passato. Harold Biddle avrebbe avuto l’età dei loro genitori, se un incidente non lo avesse strappato alla vita negli anni del liceo. Ma cosa gli sia successo non è mai stato chiaro. Perciò, i liceali decidono di indagare: per fare luce su quel che è ancora oscuro, attratti da un fascino macabro che li porterà a prendere contatto con un mistero più fitto di quel che avrebbero mai creduto. Piccoli Brividi, i cui episodi Disney ha diviso in due tranche, è il dipanarsi di una matassa che coinvolge gli studenti di oggi e quelli di allora, i ragazzi e i loro genitori, nel ripetersi della dinamica che Stranger Things, più di tutti, ha saputo rendere iconica.
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Piccoli Brividi, con la faccia di bambola, il sorriso fisso dell’assassino. Piccoli Brividi, con la copertina fluorescente, il titolo volutamente sbavato. Piccoli Brividi, con le sue infinite storie, racconti dell’orrore destinati ai più piccoli.Piccoli Brividi, creazione letteraria dello scrittore Robert Lawrence Stine, è stato un fenomeno senza pari: la più venduta fra le serie per ragazzi, secondo il Guinness dei Primati. Agli albori degli anni Novanta, quando Stine ha scritto il primo delle decine di libri che sarebbero venuti, presagire il successo dell’impresa sarebbe stato impossibile. Poi, il tempo è passato, i racconti si sono moltiplicati e, in fretta e furia, si sono raggiunti i quattrocento milioni di copie vendute, con traduzioni disponibili in trentadue Paesi.Piccoli Brividi è diventato il libercolo di ogni ragazzino, il primo approccio all’horror letto con mano tremante, con quel misto di ansia e frenesia che precede lo spavento consapevole.Piccoli Brividi è diventato un cult e, a trentuno anni dalla sua genesi, Disney ha voluto restituirgli lo status che le tecnologie e il lento ma inesorabile tramonto della carta gli hanno tolto. Piccoli Brividi, dopo due goffi tentativi di adattamento, è stato trasposto in una serie televisiva: in dieci, patinati episodi, disponibili su Disney+ da venerdì 13 ottobre. Nessun tentativo folle l’ha mossa. Disney non si è incapricciata sul desiderio di creare una saga infinita, quanto, piuttosto, sulla volontà di cavalcare un’onda precisa, quella dei ragazzini, delle imprese allaGoonies, rilette però attraverso un filtro contemporaneo, in bilico costante fra la maturità e i doveri dell’età adulta e la spensieratezza tragicomica dell’adolescenza. Piccoli Brividi, così come la serie lo ha reinventato, attinge, dunque, a cinque fra le decine di libri di Stine. Cinque racconti ridotti in pezzi e rimasticati, perché lo show possa avere una sua indipendenza e restituire, con quanta più credibilità possibile, l’avventura di un gruppo di studenti, decisi ad indagare su una morte del passato. Harold Biddle avrebbe avuto l’età dei loro genitori, se un incidente non lo avesse strappato alla vita negli anni del liceo. Ma cosa gli sia successo non è mai stato chiaro. Perciò, i liceali decidono di indagare: per fare luce su quel che è ancora oscuro, attratti da un fascino macabro che li porterà a prendere contatto con un mistero più fitto di quel che avrebbero mai creduto. Piccoli Brividi, i cui episodi Disney ha diviso in due tranche, è il dipanarsi di una matassa che coinvolge gli studenti di oggi e quelli di allora, i ragazzi e i loro genitori, nel ripetersi della dinamica che Stranger Things, più di tutti, ha saputo rendere iconica.
Giorgio Locatelli, Antonino Cannavacciuolo e Bruno Barbieri al photocall di MasterChef (Ansa)
Sono i fornelli sempre accesi, le prove sempre uguali, è l'alternarsi di casi umani e talenti ai Casting, l'ansia palpabile di chi, davanti alla triade stellata, non riesce più a proferire parola.
Sono le Mistery Box, i Pressure Test, la Caporetto di Iginio Massari, con i suoi tecnicismi di pasticceria. Sono, ancora, i grembiuli sporchi, le urla, le esterne e i livori fra brigate, la prosopopea di chi crede di meritare la vittoria a rendere MasterChef un appuntamento imperdibile. Tradizionale, per il modo silenzioso che ha di insinuarsi tra l'Immacolata e il Natale, addobbando i salotti come dovrebbe fare l'albero.
MasterChef è fra i pochissimi programmi televisivi cui il tempo non ha tolto, ma dato forza. E il merito, più che dei giudici, bravissimi - loro pure - a rendere vivo lo spettacolo, è della compagine autoriale. Gli autori sono il vanto dello show, perfetti nel bilanciare fra loro gli elementi della narrazione televisiva, come comanderebbe l'algoritmo di Boris. La retorica, che pur c'è, con l'attenzione alla sostenibilità e alla rappresentazione di tutte le minoranze, non ha fagocitato l'impianto scenico. L'imperativo di portare a casa la doggy bag sfuma, perché a prevalere è l'esito delle prove. Il battagliarsi di concorrenti scelti con precisione magistrale e perfetto cerchiobottismo. Ci sono, gli antipatici, quelli messi lì perché devono, perché il politicamente corretto lo impone. Ma, tutto sommato, si perdono, perché accanto hanno chi merita e chi, invece, riesce con la propria goffaggine a strappare una risata sincera. E, intanto, le puntate vanno, queste chiedendo più attenzione alla tradizione, indispensabile per una solida innovazione. Vanno, e poco importa somiglino alle passate. Sono nuovi i concorrenti, nuove le loro alleanze. Pare sempre sincero il divertimento di chi è chiamato a giudicarle, come sincero è il piacere di vedere altri affannarsi in un gesto che, per ciascuno di noi, è vitale e quotidiano, quello del cucinare.
Bene, male, pazienza. L'importante, come ci ha insegnato MasterChef, è farlo con amore e rispetto. E, pure, con un pizzico di arroganza in più, quella dovuta al fatto che la consuetudine televisiva ci abbia reso più istruiti, più pronti, più giudici anche noi del piatto altrui.
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Ecco #DimmiLaVerità del 12 dicembre 2025. Il nostro Alessandro Da Rold ci rivela gli ultimi sviluppi dell'inchiesta sull'urbanistica di Milano e i papabili per il dopo Sala.