2021-11-11
Sul piano pandemico Speranza fa lo gnorri: «Non aggiornato da altri 7 governi»
Chiamato in causa in Aula, il leader di Articolo 1 non risponde sulle questioni sollevate da «Report» e attacca i predecessori.«Voglio ricordare che il piano antinfluenzale del 2006 non è stato aggiornato per 180 mesi, sotto sette governi di colore politico diverso, inclusi quelli composti dalla parte politica che oggi mi accusa». È con questa frecciata che ieri pomeriggio alla Camera, replicando ai suoi critici, il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha toccato lo spinoso tema del piano pandemico, aggiungendo che «ciò che non è stato fatto in tanti anni, è stato fatto in pochi mesi». Degne di nota pure le sue parole sugli anticorpi monoclonali. «Le attuali giacenze complessive», ha detto Speranza, «sono adeguate ai fabbisogni delle Regioni». In realtà, più che «adeguate», le giacenze sono in eccesso, tanto che il 12 ottobre scorso la sola Lombardia ha regalato 5.200 dosi alla Romania. Ma torniamo al piano pandemico, tema ieri solo sfiorato e su cui il ministro più volte ha mentito. Per giunta per iscritto e pure quando Report gli aveva servito su un piatto d'argento la possibilità, una volta per tutte, di dare tutti i chiarimenti sulla vicenda.Sì, perché dalla trasmissione d'inchiesta, in vista della puntata dell'8 novembre, precisamente il giorno 2, era partita una mail per il ministero della Salute con la richiesta di lumi su due aspetti: il perché, all'inizio 2020, non fosse stato attivato il piano pandemico del 2006 - visto che sul punto Goffredo Zaccardi, capo di Gabinetto di Speranza fino a metà settembre, aveva interpellato il magistrato Nicola Ruggiero, che gli ha confermato le responsabilità ministeriali - e il ruolo avuto dal ministro nel ritiro e nella mancata ripubblicazione del rapporto di Zambon.Questa seconda richiesta era stata avanzata alla luce della rintracciata «testimonianza di alcuni colloqui intercorsi tra il presidente dell'Iss Silvio Brusaferro e il signor ministro Speranza, nel corso dei quali emerge che lo stesso signor ministro, dopo aver ricevuto e visionato il rapporto, dichiara di voler rimproverare con durezza il capo della regione europea Oms Hans Kluge e poi che quest'ultimo si è scusato con lui». Giocando a carte scoperte, Report aveva insomma fatto capire al ministero di aver raccolto documentazione grave, di sicuro sufficiente a smentire tante cose ripetute fino alla noia - e per giunta pure in Senato, lo scorso 21 aprile - da Speranza. Il ministro della Salute aveva dunque tutta la possibilità di rivedere la propria posizione, magari decidendosi, finalmente, a raccontare la verità su quanto accaduto il 14 maggio 2020, quando An unprecedented challenge, il rapporto di Zambon, venne ritirato e successivamente fatto sparire. Invece, tanto per cambiare, è andata diversamente.Venerdì 5 novembre, infatti, l'ufficio stampa di Speranza ha replicato a Report fornendo le solite risposte, cioè delle bugie. La prima riguarda il piano pandemico antinfluenzale del 2006, giudicato «non sufficiente». Il che, trattandosi di un documento datato, è senz'altro vero. Il punto però non è l'età di quel piano «non aggiornato per 180 mesi, sotto sette governi di colore politico diverso»; il punto è che, pur datata, quella strategia avrebbe potuto - se attivata subito - rallentare di molto i contagi della prima ondata, salvando parecchie vite. E spettava al ministro della Salute agire in tal senso. Tanto è vero che Zaccardi, sentito Ruggiero, ha ottenuto doppio sì: sia sul fatto che il piano 2006 si potesse usare e sia sul fatto che toccasse al ministero della Salute muoversi.Allo stesso modo, sul documento di Zambon, a Report il ministero ha risposto riportando un comunicato del 14 dicembre 2020 con cui si dichiarava che «in nessun momento il governo italiano ha chiesto all'Oms di rimuovere il documento». Peccato che le chat tra Speranza e Brusaferrro, ricostruite integralmente ieri sulla Verità, raccontino un'altra storia, circa il ruolo del ministro nella scomparsa di quel rapporto, che ci fu eccome. Per tutte queste bugie raccontate sul ruolo avuto nel ritiro e nella scomparsa del report Oms, ieri alla Camera, il deputato di Fratelli d'Italia Galeazzo Bignami è stato molto duro con Speranza. «C'è una parola che si chiama credibilità», ha attaccato Bignami, «ma come fa un ministro che si è comportato come lei a essere credibile? Lei ha mentito. E ha mentito al Parlamento, a milioni di italiani, agli stessi parenti delle vittime del Covid». Nel suo intervento, l'onorevole ha ricordato pure le chiusura ministeriale nei confronti dei verbali della task force, a più riprese negati a dispetto di precise richieste di accesso agli atti, e che per leggere i quali è stato necessario ricorrere alla magistratura. «Si dimetta, signor ministro», ha concluso infine Bignami, fortemente applaudito dai colleghi di partito presenti alla Camera.Anche la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni, nella giornata di ieri, è intervenuta attaccando duramente il ministro della Salute. «Ha mentito in Aula sul rapporto dell'Oms», ha dichiarato Meloni, «Speranza ha fallito, il presidente del Consiglio ne prenda atto e lo rimuova».
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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