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2018-11-28
Il fallimento dei droni di Piaggio Aero è colpa del Pd (Renzi e Pinotti)
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ANSA
Quasi 620 milioni di euro di debiti, con un attivo di 494 milioni. Sono le cifre che compaiono nella richiesta di ammissione all'amministrazione straordinaria da parte di Piaggio Aerospace, l'azienda di Villanova d'Albenga specializzata nella costruzione di droni, arriva al capolinea la scorsa settimana. E' la prima volta dopo quattro anni, a distanza dell'ultima pubblicazione del bilancio nel 2014, che si viene a conoscenza del reale stato economico di questa azienda, su cui i governi di centrosinistra avevano investito molto in questi anni, soprattutto l'ex premier Matteo Renzi e il ministro della Difesa Roberta Pinotti, annunciando in pompa magna del 2014 l'apertura di un nuovo stabilimento. Peccato che le cose siano andate diversamente. E che soprattutto, dopo l'entrata del fondo emiratino Mubadala nel 2015, la situazione fallimentare di Piaggio sia stata per anni sotto gli occhi di tutti senza che nessuno abbia mosso un dito.
Anche per questo motivo, tra i sindacalisti e chi ha seguito la vicenda in questi anni, sono suonate un po' strane le critiche mosse proprio dalla Pinotti all'attuale governo. «Quello che noi abbiamo fatto, loro lo hanno disfatto», ha detto l'ex numero uno della Difesa attaccando il governo gialloblu. «Il silenzio della maggioranza e del governo sul futuro di Piaggio era ed è irresponsabile. Ma è stato solo la naturale anticamera di questo disastro» ha aggiunto il vicepresidente della Commissione giustizia della Camera, Franco Vazio. Leggendo queste dichiarazioni del Pd, viene da domandarsi chi abbia governato su Piaggio in questi anni. Perché è pur vero che è stato lasciato in eredità dal precedente esecutivo questa estate il decreto firmato Pinotti-Vecciarelli sullo stanziamento di 766 milioni di euro per i droni militari P2.hh, che il ministro per lo Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha fermato, ma è assolutamente fuorviante sostenere che i governi Renzi-Gentiloni abbiano fatto di tutto per salvare la Piaggio. Del resto basta mettere in fila i nomi di chi ha gestito il dossier negli ultimi anni, per capire che i dem hanno più di una responsabilità sul disimpegno di Mubadala come del rischio licenziamento per 1.200 lavoratori.
Oltre a Renzi che celebrò in pompa magna nel 2014 lo stabilimento di Villanova D'Albenga, a seguire da vicino il dossier tra i 2014 e il 2016, fu l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti, figura di punta del Giglio magico fiorentino. E proprio i renziani hanno ottenuto i maggiori benefici dalla gestione di Piaggio, perché mentre l'azienda falliva, senza una politica industriale all'altezza, c'era per esempio chi come il gruppo Orsero versava alla Leopolda di Firenze ben 70.000 euro. Gli Orsero sono famiglia impegnata nell'alimentare famosa nel mondo e proprio Piaggio rilevò da loro un capannone in Liguria dove è stata esternalizzata parte della produzione.
Ma non finisce qui. Perché ancora adesso non sono chiari i motivi per cui la stessa Pinotti, insieme con l'ex capo di stato maggiore dell'Aeronautica Enzo Vecciarelli, ora capo di stato maggiore della Difesa, non siano mai intervenuti sulle scelte dell'azionista di maggioranza Mubadala. Lo avrebbero potuto fare, grazie al golden power, che permette al governo italiano di sorvegliare sulle aziende strategiche. A questo proposito il governo non aveva solo il diritto ma il dovere di «sorvegliare l'equilibrio economico-finanziario» dell'azienda. Persino la Corte dei Conti sollevò obiezioni alla cessione della maggioranza a Mubadala. E il ministero della Difesa rispose che, nonostante ci fossero gli estremi per opporsi, riteneva che Mubadala avrebbe garantito i livelli occupazionali di Piaggio. La risposta alla Corte dei conti venne inviata con una lettera di accompagnamento di Carlo Magrassi, allora consigliere militare di Renzi e oggi consigliere industriale del ministro Elisabetta Trenta. Nessuno si è accorto che Piaggio accumulava 618 milioni di debiti?
Per di più nel settembre dello scorso anno a certificare il fallimento dell'azienda un documento della Guardia di finanza che certificò la crisi economica spiegando come l'allora governance aveva violato gli obblighi di legge nella presentazione dei documenti per la gara d'appalto per la manutenzione dei P.180 Avanti come i corsi di addestramento per i piloti. Si trattò di un perdita di una commessa da 3,5 milioni di euro, rilevante perché riguardava un nostro corpo di polizia. All'epoca il governo non disse una parola. E a palazzo Chigi c'era il Pd, non i gialloblu Lega e 5 Stelle.
Alessandro Da Rold
Azienda ferma agli anni Ottanta: tutti i motivi del fallimento dei droni
Giphy«Dobbiamo capire come evolverà la situazione e poi faremo le valutazioni del caso. Abbiamo visto che è una società entrata in amministrazione straordinaria e sappiamo che svolge funzioni importanti per l'Aeronautica Militare italiana, come ad esempio la manutenzione del Mb-339 che è oggi il sistema di training base, quindi importantissima per il nostro cliente e per noi». Le parole di Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo, colgono un aspetto importante, già sottolineato dalla Verità, sull'importanza strategica di Piaggio Aerospace. Perché come scritto dal nostro giornale, uno delle mansioni più delicate di questa società è appunto la manutenzione dei motori degli Mb-339 di produzione Rolls Royce. Se Leonardo dovesse entrare in Piaggio, aspetto che gli analisti hanno già bocciato come eventualità, potrebbe entrare nella partita Ge Aviation, braccio industriale dell'americana General electric, competitor dell'industriale dell'azienda di motori britannica innescando tensioni e rischiando di lasciare a terra i velivoli della nostra aeronautica. Ma non è solo questo uno degli scogli contro cui potrebbe imbattersi l'azienda di piazza Montegrappa. Certo, l'amministrazione straordinaria potrebbe permettere a Leonardo di acquistare Piaggio a prezzi più bassi rispetto a un debito di più di 600 milioni di euro. Ma la domanda è se davvero la società di Villanova D'Albenga sia ancora competitiva sul mercato. Del resto i droni non sono decollati dal punto di vista del mercato.
Senza dimenticare che il prototipo del P1.hh Hammerhead è precipitato durante un collaudo al largo della base militare di Trapani, era il maggio del 2016, a non convincere è stata proprio la politica industriale degli ultimi anni. Il P.180 evo è ormai fuori mercato, anche perché costa più di un jet di una categoria superiore. Consuma di meno, va veloce, ma a livello di manutenzione il costo di 8 milioni di euro è eccessivo, rispetto ai 4,5, per esempio, del brasiliano Phenom 100. Per di più dal 1980 a oggi di P.180 ne sono stati venduti appena 300, un po' pochi, per un modello che non è mai stato aggiornato, ancora incentrato sulla formula tre superfici che non viene più utilizzata nel mondo. In sostanza si tratta di un aereo complicato da fare, costoso da costruire, ormai vecchio e senza mercato.
Senza la vendita dei P.180, senza i soldi per i P2.hh, che sembrano non interessare più a Mubadala che ha portato i libri in tribunale, con il rischio di perdere la manutenzione motori, senza la nascita di nuovi prodotti (il nuovo aereo P.1XX è stato abbandonato dieci anni fa) la sopravvivenza di Piaggio potrebbe non avere più senso. Bisognerebbe ricomprarla dagli Emirati Arabi? Venderla a Leonardo? Ma a questo si aggiungono altre scelte di politica industriale completamente sbagliate, come la vendita della sede di Finale Ligure e poi la dismissione di quella di Genova, per fare il nuovo stabilimento su Albenga, come voluto dal governo di Matteo Renzi.
All'epoca nessuno si rese conto che la pista dell'aeroporto Felice Panero sarebbe stata troppo corta per i prototipi. Non a caso, è stata tenuta aperta anche la base di Genova e viene affittata quella militare di Trapani della nostra aeronautica militare. Forse vale la pena rispolverare ancora le parole del generale Leonardo Tricarico su Formiche.« Perché non cominciare a pensare ad una specialità non militare, che già oggi si intuisce diventerà preziosa in ambiti di sicurezza e protezione civile? Una sorta di "droni di Stato", di proprietà della Presidenza del Consiglio e gestiti dall'Aeronautica Militare solo sotto il profilo tecnico-operativo. Questo avrebbe il pregio di sfruttare le competenze dell'Aeronautica e di attestare con trasparenza i costi ai reali beneficiari, nonché di sollevare i militari dal mettersi in casa un altro figlio da sfamare in momenti di cinghia sempre più stretta». Chissà se qualcuno lo ascolterà.
Alessandro Da Rold
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L'ex ministro della Difesa e i dem attaccano i gialloblu sul fallimento dell'azienda produttrice di velivoli a pilotaggio remoto, eppure il golden power imponeva al governo precedente l'onere e l'onore di «sorvegliare l'equilibrio economico-finanziario». Non è stato fatto. Del resto dal 2014 non viene pubblicato un bilancio e nel 2017 persino la Guardia di finanza escluse la società dal bando di manutenzione per violazione degli obblighi di legge. Il P.180 evo è ormai fuori mercato, anche perché costa più di un jet di una categoria superiore. Consuma di meno, va veloce, ma a livello di manutenzione il costo di 8 milioni di euro è eccessivo, rispetto ai 4,5 per esempio, del brasiliano Phenom 100.Lo speciale contiene due articoliQuasi 620 milioni di euro di debiti, con un attivo di 494 milioni. Sono le cifre che compaiono nella richiesta di ammissione all'amministrazione straordinaria da parte di Piaggio Aerospace, l'azienda di Villanova d'Albenga specializzata nella costruzione di droni, arriva al capolinea la scorsa settimana. E' la prima volta dopo quattro anni, a distanza dell'ultima pubblicazione del bilancio nel 2014, che si viene a conoscenza del reale stato economico di questa azienda, su cui i governi di centrosinistra avevano investito molto in questi anni, soprattutto l'ex premier Matteo Renzi e il ministro della Difesa Roberta Pinotti, annunciando in pompa magna del 2014 l'apertura di un nuovo stabilimento. Peccato che le cose siano andate diversamente. E che soprattutto, dopo l'entrata del fondo emiratino Mubadala nel 2015, la situazione fallimentare di Piaggio sia stata per anni sotto gli occhi di tutti senza che nessuno abbia mosso un dito. Anche per questo motivo, tra i sindacalisti e chi ha seguito la vicenda in questi anni, sono suonate un po' strane le critiche mosse proprio dalla Pinotti all'attuale governo. «Quello che noi abbiamo fatto, loro lo hanno disfatto», ha detto l'ex numero uno della Difesa attaccando il governo gialloblu. «Il silenzio della maggioranza e del governo sul futuro di Piaggio era ed è irresponsabile. Ma è stato solo la naturale anticamera di questo disastro» ha aggiunto il vicepresidente della Commissione giustizia della Camera, Franco Vazio. Leggendo queste dichiarazioni del Pd, viene da domandarsi chi abbia governato su Piaggio in questi anni. Perché è pur vero che è stato lasciato in eredità dal precedente esecutivo questa estate il decreto firmato Pinotti-Vecciarelli sullo stanziamento di 766 milioni di euro per i droni militari P2.hh, che il ministro per lo Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha fermato, ma è assolutamente fuorviante sostenere che i governi Renzi-Gentiloni abbiano fatto di tutto per salvare la Piaggio. Del resto basta mettere in fila i nomi di chi ha gestito il dossier negli ultimi anni, per capire che i dem hanno più di una responsabilità sul disimpegno di Mubadala come del rischio licenziamento per 1.200 lavoratori. Oltre a Renzi che celebrò in pompa magna nel 2014 lo stabilimento di Villanova D'Albenga, a seguire da vicino il dossier tra i 2014 e il 2016, fu l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti, figura di punta del Giglio magico fiorentino. E proprio i renziani hanno ottenuto i maggiori benefici dalla gestione di Piaggio, perché mentre l'azienda falliva, senza una politica industriale all'altezza, c'era per esempio chi come il gruppo Orsero versava alla Leopolda di Firenze ben 70.000 euro. Gli Orsero sono famiglia impegnata nell'alimentare famosa nel mondo e proprio Piaggio rilevò da loro un capannone in Liguria dove è stata esternalizzata parte della produzione. Ma non finisce qui. Perché ancora adesso non sono chiari i motivi per cui la stessa Pinotti, insieme con l'ex capo di stato maggiore dell'Aeronautica Enzo Vecciarelli, ora capo di stato maggiore della Difesa, non siano mai intervenuti sulle scelte dell'azionista di maggioranza Mubadala. Lo avrebbero potuto fare, grazie al golden power, che permette al governo italiano di sorvegliare sulle aziende strategiche. A questo proposito il governo non aveva solo il diritto ma il dovere di «sorvegliare l'equilibrio economico-finanziario» dell'azienda. Persino la Corte dei Conti sollevò obiezioni alla cessione della maggioranza a Mubadala. E il ministero della Difesa rispose che, nonostante ci fossero gli estremi per opporsi, riteneva che Mubadala avrebbe garantito i livelli occupazionali di Piaggio. La risposta alla Corte dei conti venne inviata con una lettera di accompagnamento di Carlo Magrassi, allora consigliere militare di Renzi e oggi consigliere industriale del ministro Elisabetta Trenta. Nessuno si è accorto che Piaggio accumulava 618 milioni di debiti? Per di più nel settembre dello scorso anno a certificare il fallimento dell'azienda un documento della Guardia di finanza che certificò la crisi economica spiegando come l'allora governance aveva violato gli obblighi di legge nella presentazione dei documenti per la gara d'appalto per la manutenzione dei P.180 Avanti come i corsi di addestramento per i piloti. Si trattò di un perdita di una commessa da 3,5 milioni di euro, rilevante perché riguardava un nostro corpo di polizia. All'epoca il governo non disse una parola. E a palazzo Chigi c'era il Pd, non i gialloblu Lega e 5 Stelle.Alessandro Da Rold<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/piaggio-aero-il-pd-attacca-i-gialloblu-ma-il-fallimento-e-colpa-di-renzi-e-pinotti-2621770933.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="azienda-ferma-agli-anni-ottanta-tutti-i-motivi-del-fallimento-dei-droni" data-post-id="2621770933" data-published-at="1765510435" data-use-pagination="False"> Azienda ferma agli anni Ottanta: tutti i motivi del fallimento dei droni Giphy «Dobbiamo capire come evolverà la situazione e poi faremo le valutazioni del caso. Abbiamo visto che è una società entrata in amministrazione straordinaria e sappiamo che svolge funzioni importanti per l'Aeronautica Militare italiana, come ad esempio la manutenzione del Mb-339 che è oggi il sistema di training base, quindi importantissima per il nostro cliente e per noi». Le parole di Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo, colgono un aspetto importante, già sottolineato dalla Verità, sull'importanza strategica di Piaggio Aerospace. Perché come scritto dal nostro giornale, uno delle mansioni più delicate di questa società è appunto la manutenzione dei motori degli Mb-339 di produzione Rolls Royce. Se Leonardo dovesse entrare in Piaggio, aspetto che gli analisti hanno già bocciato come eventualità, potrebbe entrare nella partita Ge Aviation, braccio industriale dell'americana General electric, competitor dell'industriale dell'azienda di motori britannica innescando tensioni e rischiando di lasciare a terra i velivoli della nostra aeronautica. Ma non è solo questo uno degli scogli contro cui potrebbe imbattersi l'azienda di piazza Montegrappa. Certo, l'amministrazione straordinaria potrebbe permettere a Leonardo di acquistare Piaggio a prezzi più bassi rispetto a un debito di più di 600 milioni di euro. Ma la domanda è se davvero la società di Villanova D'Albenga sia ancora competitiva sul mercato. Del resto i droni non sono decollati dal punto di vista del mercato. Senza dimenticare che il prototipo del P1.hh Hammerhead è precipitato durante un collaudo al largo della base militare di Trapani, era il maggio del 2016, a non convincere è stata proprio la politica industriale degli ultimi anni. Il P.180 evo è ormai fuori mercato, anche perché costa più di un jet di una categoria superiore. Consuma di meno, va veloce, ma a livello di manutenzione il costo di 8 milioni di euro è eccessivo, rispetto ai 4,5, per esempio, del brasiliano Phenom 100. Per di più dal 1980 a oggi di P.180 ne sono stati venduti appena 300, un po' pochi, per un modello che non è mai stato aggiornato, ancora incentrato sulla formula tre superfici che non viene più utilizzata nel mondo. In sostanza si tratta di un aereo complicato da fare, costoso da costruire, ormai vecchio e senza mercato. Senza la vendita dei P.180, senza i soldi per i P2.hh, che sembrano non interessare più a Mubadala che ha portato i libri in tribunale, con il rischio di perdere la manutenzione motori, senza la nascita di nuovi prodotti (il nuovo aereo P.1XX è stato abbandonato dieci anni fa) la sopravvivenza di Piaggio potrebbe non avere più senso. Bisognerebbe ricomprarla dagli Emirati Arabi? Venderla a Leonardo? Ma a questo si aggiungono altre scelte di politica industriale completamente sbagliate, come la vendita della sede di Finale Ligure e poi la dismissione di quella di Genova, per fare il nuovo stabilimento su Albenga, come voluto dal governo di Matteo Renzi. All'epoca nessuno si rese conto che la pista dell'aeroporto Felice Panero sarebbe stata troppo corta per i prototipi. Non a caso, è stata tenuta aperta anche la base di Genova e viene affittata quella militare di Trapani della nostra aeronautica militare. Forse vale la pena rispolverare ancora le parole del generale Leonardo Tricarico su Formiche.« Perché non cominciare a pensare ad una specialità non militare, che già oggi si intuisce diventerà preziosa in ambiti di sicurezza e protezione civile? Una sorta di "droni di Stato", di proprietà della Presidenza del Consiglio e gestiti dall'Aeronautica Militare solo sotto il profilo tecnico-operativo. Questo avrebbe il pregio di sfruttare le competenze dell'Aeronautica e di attestare con trasparenza i costi ai reali beneficiari, nonché di sollevare i militari dal mettersi in casa un altro figlio da sfamare in momenti di cinghia sempre più stretta». Chissà se qualcuno lo ascolterà.Alessandro Da Rold
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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