2021-06-09
«Rifiutai la Pfm, mi vollero lo stesso. Ero il loro passaporto per gli Usa».
A destra Bernardo Lanzetti. Sullo sfondo in concerto con la PFM nel 1976 (Getty Images)
La storica voce della Premiata Forneria Marconi: «Ho debuttato a Tokyo, poi subito le tournée americana e inglese. Ma già nel terzo disco del gruppo il canto contava poco: venne preparato il terreno per il mio addio».Bernardo Lanzetti, storica voce della Premiata Forneria Marconi negli anni d'oro, la seconda metà degli anni Settanta, torna con un disco, Horizontal Rain, in linea con il suo percorso musicale. È l'occasione per ripercorrere la sua vita sopra le note.Lei da ragazzo ha studiato in America. Come è nata questa opportunità che ha influito nella sua carriera?«Fino a vent'anni mai avrei pensato che la musica potesse diventare la mia professione e la mia vita. Ho fatto parte di un programma di borse di studio che esiste ancora, l'A.F.S., ovvero American Field Service, una società nata dopo la prima guerra mondiale per aumentare la scambio e la comprensione tra i popoli. Il programma era molto ben organizzato: la scuola e la comunità si tassavano per le spese e la famiglia del borsista contribuiva in base al reddito. Nella famiglia che mi ospitava c'era un ragazzo della mia età che poi ha fatto il musicista. Tutti i venerdì nel garage assistevo alle prove della sua band e per me è stata una palestra notevole perché gli americani hanno tanto difetti, ma per la musica bisogna lasciarli stare!».Non suonava prima di allora?«Avevo la chitarra, ma non ero capace di suonare. Al mio paese non c'era nessuno che dava lezioni. Io cercavo di capire in televisione… solo anni dopo ho scoperto che c'era il playback! La fortuna è che questo ragazzo aveva molta pazienza: mi ha insegnato a suonare la chitarra, anche se non era il suo strumento. Mi sono accorto che la competizione negli Stati Uniti per diventare musicisti era veramente dura, allora mi sono detto: “Meglio fare qualcosa in Italia che aspettare qui". In Italia c'erano i primi gruppi beat e io avevo la fortuna di cantare in inglese...».Il suo primo gruppo si chiamava Acqua Fragile.«È nato con il batterista Piero Canavera, che suonava in un gruppo che si chiamava Gli Immortali, e il chitarrista Gino Campanini, che si è portato dietro da I Moschettieri di Parma il bassista Franz Dondi e il tastierista Maurizio Mori».In quel periodo nascevano gruppi ovunque, era un periodo di grande fermento...«Non solo, ma c'era anche la possibilità di lavorare. Io mi ero iscritto all'università, alla facoltà di Chimica, e il sabato sera e la domenica, sia pomeriggio che sera, suonavamo: non solo ci pagavano, ma eravamo tutti in regola perché i locali pagavano i contributi. Il bello è che noi facevamo quello che volevamo: siamo arrivati a suonare King Crimson e Jimi Hendrix in balera!».Come si è incrociata la vostra strada con quella della Premiata Forneria Marconi?«Li ho conosciuti con l'Acqua Fragile. Il manager della Premiata Forneria Marconi, Franco Mamone, ci ha preso con sé e abbiamo fatto diverse serate per aprire i loro concerti. Franco Mussida e Mauro Pagani ci hanno incoraggiato a proseguire, a scrivere qualcosa di nostro».In famiglia cosa dicevano?«Erano contenti che studiassi all'università, poi però quando abbiamo cominciato a scrivere la musica, a registrare, ho deciso di smettere di studiare. Mio padre si è messo a piangere e mi ha detto: “No, continua, fai qualche facoltà più facile". Allora mi sono iscritto a Farmacia, ma dopo due - tre esami mi sono accorto di non essere più in grado di studiare. Da studente modello ero diventato svogliato, la mia mente era su altri lidi. Da allora i miei genitori mi hanno sempre appoggiato».Viveva in una cittadina...«A Casalmaggiore, in provincia di Cremona, ma siamo sempre stati un po' internazionali perché mia madre è di Varsavia. Lei e la sua famiglia avevano fatto la Resistenza in Polonia. Le prime volte, siccome era la più giovane, la rilasciavano, poi fu deportata in Germania in un campo dove c'erano delle fabbriche. Mia madre caricava il carbone e mio padre, che era stato catturato in Grecia e deportato anche lui, guidava un camion. Così si sono conosciuti. Quando arrivarono gli americani, gli italiani rubarono due camion e se ne andarono. I miei si sposarono in un paesino della Germania. Arrivati al Tarvisio, gli americani gli sequestrarono il carico e da lì fino a Cremona fecero tutta la strada a piedi. Mia madre ha avuto sempre uno spirito libero. Quando le ho detto che volevo andare in America, mi ha risposto: “Hai il passaporto in regola?"».Com'è passato alla Pfm?«Mi hanno convocato e mi hanno chiesto se volevo andare a cantare con loro, ma era appena uscito il secondo disco dell'Acqua Fragile, Mass-Media Stars, e ho chiesto tempo per pensarci. Per loro è stato un'offesa e hanno cercato un altro cantante, Ivan Graziani, che non era il cantautore che la gente conosce: aveva una voce quasi da mezzo soprano, era conosciuto soprattutto come session man per il rock 'n' roll ed è sempre stato un bravo chitarrista. All'epoca Flavio Premoli, il tastierista della Pfm, andava in un locale in Brera, dove insieme con Ivan suonavano i brani dei Beatles per divertimento. Visto che avevano chiuso con me, hanno provato con lui, ma pochi giorni prima di andare in studio a incidere l'album Chocolate Kings hanno avuto un ripensamento e mi hanno richiamato. Io sono andato a Milano: mai avrei pensato dopo mesi di silenzio che mi volessero ancora. “Devi venire a cantare con noi". “Ma come? Dovete fare il disco tra tre giorni!". “Appunto, adesso controlliamo le tonalità". La cosa comica è che a casa di Franco Mussida, che era diventato padre di due gemelli, io cominciato a cantare, ma mi hanno bloccato subito: “No, piano, sennò i vicini protestano" e ho fatto il provino cantando dentro al cuscino del divano!».Aveva una voce potente!«Le note che Ivan prendeva con noncuranza per me erano note tenorili e dovevano essere sostituite da una certa potenza. Eravamo due cantanti diversi«.Avete fatto grandi tournée in America e in Inghilterra...«Loro erano già stati in America, aprivano per altri gruppi, ma gli avevano detto, come mi hanno poi riferito: “Guardate, se non trovate un cantante, non venite più in America". Per questo hanno deciso di fare questo passo nella loro carriera, in cui non sono stati mai tanto interessati al canto. È festa, uno dei loro brani più famosi, ha solo una ventina di parole e in Impressioni di settembre il ritornello è strumentale! Io ho debuttato con loro a Tokyo, ho fatto una tournée in Inghilterra e poi in America. In uno dei concerti al Roxy Theatre di Los Angeles, dove abbiamo fatto tre serate, con due concerti a sera, ‒ (i Genesis solo due serate!) c'erano Keith Emerson, Jaco Pastorius, Ritchie Blackmore e in camerino è venuto persino Danny Seraphine, batterista dei Chicago. A San Francisco si si è presentato Lenny White, il batterista dei Return to Forever di Chick Corea, che ci ha detto: “Ragazzi, vi ho sentito tutte le sere. Domani venite negli studi a sentire il disco che sto facendo"».Avete suonato davanti alla Regina Madre?«La madre dell'attuale regina, che si chiamava anche lei Elisabetta, è venuta in visita alla Royal Albert Hall quando dovevamo fare un concerto. Durante le prove, ci è stato chiesto di salire sul palco per conoscerla e suonare qualcosa per lei».In Italia avete suonato in quel periodo?«Certo, concerti teatrali d'inverno, mentre d'estate si suonava nelle piazze e nelle arene all'aperto, ma già si sentivano i segnali che qualcosa stava cambiando e che i cantautori e Un disco per l'estate stavano diventando più importanti. Tutto sommato, sarei dovuto nascere dieci anni prima».Non avete avuto la tentazione di rimanere in America?«È stata messa ai voti la cosa e ricordo che a favore abbiamo votato solo io e Flavio Premoli, stranamente perché a lui non piaceva tanto viaggiare. La maggioranza ha vinto e siamo tornati in Italia».Ha fatto altri due album con loro?«Dopo Chocolate Kings e Jet Lag, dischi su cui si era basata la tournée in America, il terzo disco, Passpartù, era in italiano, ma prendeva una direzione un po' diversa: i testi erano stati affidati a Gianfranco Manfredi e il mio canto era in secondo piano, insomma, si è preparato il terreno perché io abbandonassi il gruppo».Quindi ha preferito andare via?«Sì, stavo lavorando al mio disco da solista, loro avevano preso accordi con Fabrizio De André e quindi la separazione è stata abbastanza naturale. Forse avrei dovuto lasciare prima, ma ti viene sempre il dubbio: “Magari potrei sbagliarmi". Passpartù è un album che piace molto ai fan, ma è innegabile che non sia importante per il canto».Ha continuato la carriera come solista.«Ho fatto una specie di cantautorato rock, nel senso che la chitarra elettrica è importante quanto i testi e il canto».Ha continuato a cantare in inglese?«Sì, ho fatto un esperimento in italiano per dimostrare che non ero né uno snob né un illetterato. Ho scritto un paio di brani per Loredana Bertè, Ornella Vanoni e Ivano Fossati. Però la mia convinzione è che se vuoi fare il rock, che è nato in America e in Inghilterra, devi usare un linguaggio consono. Recentemente ho lavorato a un progetto ispirato al Don Giovanni di Mozart. Siccome era un'opera, il grande compositore ha voluto un librettista italiano, Lorenzo Da Ponte: cantavano in italiano per un pubblico che non capiva una parola!».Il nuovo album ha il titolo in inglese…«Ho giocato spesso con dei titoli inglesi che siano però comprensibili. Horizontal Rain non c'è bisogno neanche di spiegarlo».Cos'è questa pioggia orizzontale?«Mi è venuta questa immagine: all'improvviso esci di casa e hai l'ombrello, ma la pioggia arriva per orizzontale e per un attimo non ci credi. Devi comunque andare avanti, quindi devi mettere in gioco tutto te stesso, tutte le tue astuzie. La pioggia orizzontale rappresenta l'ostacolo imprevisto e imprevedibile».
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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