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2019-03-07
Haftar e Serraj tagliano fuori Misurata. La sola città libica su cui l'Italia aveva investito
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Ansa
È quanto riferisce il Libyan Address Journal, sito vicino al generale di Bengasi. Si ripartirà dall'accordo di fine febbraio «sulla necessità di porre termine alla fase di transizione in Libia attraverso elezioni generali e sui modi per mantenere la stabilità nel Paese e unificare le sue istituzioni». Saranno, riferisce lo stesso sito, colloqui «indiretti» e «sotto pressione internazionale».
Ma l'intesa di Abu Dhabi non piace a tutti. Non piace a Misurata, città Stato militarmente fortissima e che punta a un ruolo di interlocutore tra Tripoli e Bengasi. A Misurata l'Italia è presente con un ospedale da campo e un impiego massimo di 400 militari. Anche Zintan, l'altra città centrale negli equilibri della Libia occidentale, è contraria ai colloqui tra Serraj e Haftar. Come riporta l'Agenzia Nova, il Consiglio militare di Misurata ha preso le distanze da «chiunque stringa accordi con Khalifa Haftar», dicendosi contrario «alla dittatura militare». Ha reagito non diversamente il Consiglio dei notabili di Zliten, circa 60 chilometri a Ovest di Misurata, che parla di «colloqui misteriosi e di accordi personali che non hanno alcuna base legale».
Ed è per questo che ieri il vicepremier di Tripoli e uomo forte di Misurata Ahmed Maitig, che parla molto bene italiano ed è considerato uno dei principali interlocutori dell'Italia in Libia, ha incontrato a Roma il vicepremier e il ministro dell'Interno Matteo Salvini e il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Si è parlato, tra le altre cose, della riapertura del consolato italiano a Bengasi chiuso dal 2013 a seguito di un attentato. La visita di Maitig riflette le difficoltà di Tripoli, dove il premier Serraj deve fare i conti con alcuni problemi economici e col suo esercito. Ha infatti recentemente deciso di degradare il suo capo di Stato maggiore, il generale Abdelrahman Al Tawil, uomo considerato vicino ai Fratelli musulmani e al ministro dell'Interno Fathi Bashagha. A dividere i due l'apprezzamento di Al Tawil, confessato alla stampa russa, per l'avanzata di Haftar, il rivale di Serraj, nel Fezzan, la zona a Sud della Libia, fondamentale per i giacimenti e per i confini con il Sudan, il Ciad e l'Algeria. Nel Fezzan, secondo voci diffuse sui social media e mai smentite e nemmeno confermate, sarebbero attivi da diverso tempo militari francesi al fianco delle truppe di Bengasi.
Di particolare interesse nella zona, soprattutto per Parigi, è il campo petrolifero di Sharara, 300.000 barili al giorno, gestito nel Sud della Libia dalla Compagnia petrolifera libica Noc in collaborazione con la spagnola Repsol, la francese Total, l'austriaca Omv e la norvegese Equinoora. Ora è sotto il controllo di Haftar grazie a un accordo con le tribù Tebu. E dopo l'intesa di Abu Dhabi la Noc, nelle ultime ore, ha annunciato la revoca del blocco del giacimento di Sharara che avrebbe causato perdite per 1,8 milioni di dollari. Di interesse per l'Italia è invece il pozzo di El Feel, capace di produrre fino a 150.000 barili di greggio al giorno e gestito dall'italiana Eni e dalla Noc. Il giacimento è ora nella mani di Haftar e, nel caso in cui il generale conquistasse anche Tripoli (con un'offensiva che però irriterebbe e non poco le Nazioni Unite, garanti del processo di stabilizzazione), sarebbe difficile per il Cane a sei zampe mantenerne la gestione. Uno scenario che potrebbe piacere molto a Parigi e alla francese Total che dal 2011 puntano al controllo di tutto petrolio libico.
Il problema per l'Italia è la fragilità del governo di Tripoli, il nostro principale alleato, sempre più in difficoltà economiche (e per questo dipendente dagli aiuti di Turchia e Qatar) per il ridimensionamento delle entrate petrolifere e militari, viste le tensioni con le milizie di Tripoli e le città Stato vicine.
Maitig, che - va ricordato ancora una volta - è vice di Serraj, è passato per Roma con un messaggio: fatemi stare al tavolo con Serraj e Haftar per evitare che Parigi si prenda tutto. Il problema di Misurata è l'intesa di Abu Dhabi. Come riporta Agenzia Nova, infatti, i leader di Tripoli e Bengasi si sarebbero già accordati sulla formazione di un nuovo Consiglio presidenziale che un presidente e due vicepresidenti. Ciascuno proveniente dalle tre macroregioni della Libia: Tripolitania (Ovest), Fezzan (Sud) e Cirenaica (Est). Con l'avanzata nel Fezzan, ora Haftar avrebbe due posti su tre e potrebbe addirittura evitare l'offensiva su Tripoli per sfruttare la debolezza di un Serraj diventato quasi un fantoccio.
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Dopo l'intesa annunciata dalle Nazioni Unite, raggiunta lo scorso 27 febbraio ad Abu Dhabi sotto l'occhio vigile di Francia ed Egitto, il generale della Cirenaica e il premier tripolino torneranno a metà della prossima settimana nella capitale degli Emirati Arabi Uniti, il Paese diventato ormai centrale per il futuro della Libia, per nuovi colloqui sotto egida Onu. Accordo ancora più stretto per isolare le tribù più vicine a Roma.È quanto riferisce il Libyan Address Journal, sito vicino al generale di Bengasi. Si ripartirà dall'accordo di fine febbraio «sulla necessità di porre termine alla fase di transizione in Libia attraverso elezioni generali e sui modi per mantenere la stabilità nel Paese e unificare le sue istituzioni». Saranno, riferisce lo stesso sito, colloqui «indiretti» e «sotto pressione internazionale». Ma l'intesa di Abu Dhabi non piace a tutti. Non piace a Misurata, città Stato militarmente fortissima e che punta a un ruolo di interlocutore tra Tripoli e Bengasi. A Misurata l'Italia è presente con un ospedale da campo e un impiego massimo di 400 militari. Anche Zintan, l'altra città centrale negli equilibri della Libia occidentale, è contraria ai colloqui tra Serraj e Haftar. Come riporta l'Agenzia Nova, il Consiglio militare di Misurata ha preso le distanze da «chiunque stringa accordi con Khalifa Haftar», dicendosi contrario «alla dittatura militare». Ha reagito non diversamente il Consiglio dei notabili di Zliten, circa 60 chilometri a Ovest di Misurata, che parla di «colloqui misteriosi e di accordi personali che non hanno alcuna base legale».Ed è per questo che ieri il vicepremier di Tripoli e uomo forte di Misurata Ahmed Maitig, che parla molto bene italiano ed è considerato uno dei principali interlocutori dell'Italia in Libia, ha incontrato a Roma il vicepremier e il ministro dell'Interno Matteo Salvini e il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Si è parlato, tra le altre cose, della riapertura del consolato italiano a Bengasi chiuso dal 2013 a seguito di un attentato. La visita di Maitig riflette le difficoltà di Tripoli, dove il premier Serraj deve fare i conti con alcuni problemi economici e col suo esercito. Ha infatti recentemente deciso di degradare il suo capo di Stato maggiore, il generale Abdelrahman Al Tawil, uomo considerato vicino ai Fratelli musulmani e al ministro dell'Interno Fathi Bashagha. A dividere i due l'apprezzamento di Al Tawil, confessato alla stampa russa, per l'avanzata di Haftar, il rivale di Serraj, nel Fezzan, la zona a Sud della Libia, fondamentale per i giacimenti e per i confini con il Sudan, il Ciad e l'Algeria. Nel Fezzan, secondo voci diffuse sui social media e mai smentite e nemmeno confermate, sarebbero attivi da diverso tempo militari francesi al fianco delle truppe di Bengasi. Di particolare interesse nella zona, soprattutto per Parigi, è il campo petrolifero di Sharara, 300.000 barili al giorno, gestito nel Sud della Libia dalla Compagnia petrolifera libica Noc in collaborazione con la spagnola Repsol, la francese Total, l'austriaca Omv e la norvegese Equinoora. Ora è sotto il controllo di Haftar grazie a un accordo con le tribù Tebu. E dopo l'intesa di Abu Dhabi la Noc, nelle ultime ore, ha annunciato la revoca del blocco del giacimento di Sharara che avrebbe causato perdite per 1,8 milioni di dollari. Di interesse per l'Italia è invece il pozzo di El Feel, capace di produrre fino a 150.000 barili di greggio al giorno e gestito dall'italiana Eni e dalla Noc. Il giacimento è ora nella mani di Haftar e, nel caso in cui il generale conquistasse anche Tripoli (con un'offensiva che però irriterebbe e non poco le Nazioni Unite, garanti del processo di stabilizzazione), sarebbe difficile per il Cane a sei zampe mantenerne la gestione. Uno scenario che potrebbe piacere molto a Parigi e alla francese Total che dal 2011 puntano al controllo di tutto petrolio libico.Il problema per l'Italia è la fragilità del governo di Tripoli, il nostro principale alleato, sempre più in difficoltà economiche (e per questo dipendente dagli aiuti di Turchia e Qatar) per il ridimensionamento delle entrate petrolifere e militari, viste le tensioni con le milizie di Tripoli e le città Stato vicine. Maitig, che - va ricordato ancora una volta - è vice di Serraj, è passato per Roma con un messaggio: fatemi stare al tavolo con Serraj e Haftar per evitare che Parigi si prenda tutto. Il problema di Misurata è l'intesa di Abu Dhabi. Come riporta Agenzia Nova, infatti, i leader di Tripoli e Bengasi si sarebbero già accordati sulla formazione di un nuovo Consiglio presidenziale che un presidente e due vicepresidenti. Ciascuno proveniente dalle tre macroregioni della Libia: Tripolitania (Ovest), Fezzan (Sud) e Cirenaica (Est). Con l'avanzata nel Fezzan, ora Haftar avrebbe due posti su tre e potrebbe addirittura evitare l'offensiva su Tripoli per sfruttare la debolezza di un Serraj diventato quasi un fantoccio.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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