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2018-11-02
Finisce al Tar la riforma delle polizze: «Le regole Ivass aiutano le banche»
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È in atto una battaglia tra gli agenti di assicurazione e l'Ivass, l'autorità di vigilanza del settore. Teatro dello scontro è il Tar del Lazio, al quale il sindacato degli agenti ha fatto ricorso contro il nuovo regolamento sulla distribuzione assicurativa, in vigore dal 1° ottobre, che sarebbe colpevole di limitare la libertà imprenditoriale e l'autonomia degli agenti professionisti e di arrecare un pregiudizio ai consumatori in conseguenza di un possibile freno alla libera concorrenza. Dietro le quinte si muovono gli enormi interessi di un sistema che, in Italia, è caratterizzato da una concorrenza ridotta, con pochi gruppi assicurativi che concentrano la raccolta.
La preoccupazione degli agenti è legata principalmente all'introduzione, con il nuovo Regolamento Ivass numero 40 del 2 agosto 2018, dell'obbligo per gli agenti di essere titolari di almeno un mandato da parte di una compagnia per poter mantenere l'iscrizione al Registro unico degli intermediari assicurativi. Potrebbe essere un colpo di spugna sull'ormai affermato sistema delle collaborazioni tra intermediari assicurativi, che consente di offrire ai clienti anche polizze trattate da altri intermediari. Un sistema che non è mai stato visto di buon occhio dalle imprese di assicurazione.
Le collaborazioni tra intermediari si stanno affermando come modalità principale di esercizio dell'attività da parte di numerosi agenti che hanno scelto di rendere conto esclusivamente ai clienti e non alle compagnie mandanti. La nuova norma, invece, impone che le collaborazioni possano essere esercitate solo da agenti titolari di un mandato e prevede la cancellazione dal Registro degli agenti privi di mandato vietando loro ogni intermediazione. Il ricorso di Sna pone l'accento sull'inesistenza, nel Codice delle assicurazioni private, di previsioni che giustifichino le nuove regole, che dovrebbero pertanto essere considerate in contrasto sia con il codice sia con la legge sulle collaborazioni.
La direttiva europea sulla distribuzione assicurativa è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 68 del 21/5/2018. Ma le nuove norme, così come l'Ivass le ha tradotte nel Regolamento oggetto di contestazione al Tar, oltre a introdurre l'obbligo di mandato per gli intermediari indipendenti favorirebbe anche la disintermediazione del sistema. Ma chi ne trarrebbe vantaggio? Le compagnie, soprattutto quelle che puntano sui prodotti assicurativi standardizzati, la cui vendita potrebbe essere meglio organizzata attraverso reti dedicate, piuttosto che attraverso il sistema dei distributori consulenti, come gli agenti professionisti, che intermediano circa l'80% del mercato nel ramo danni.
Anche le banche, che non sono ancora riuscite, in Italia, a mettere a regime il sistema della bancassicurazione, potrebbero trarre dei vantaggi. È infatti noto il collegamento esistente tra le principali banche e le compagnie di assicurazione, nei capitali delle quali gli istituti di credito hanno importanti partecipazioni. Inoltre, le banche possono operare nel settore assicurativo dietro mandato delle compagnie semplicemente autocertificando l'esistenza dei requisiti di professionalità che gli altri intermediari devono garantire con un esame e aggiornamenti professionali.
Non a caso il nuovo regolamento Ivass ha disciplinato l'attività degli intermediari a titolo accessorio, figure che possono essere iscritte al registro degli intermediari al pari degli agenti ma senza dover sostenere un esame. Queste figure teoricamente potrebbero operare su incarico diretto di agenti, intermediari indipendenti, broker, banche, Poste italiane e delle compagnie di assicurazione per la vendita di prodotti assicurativi accessori, appunto, a quelli che sono oggetto della loro attività principale. Ma il Regolamento Ivass ancora una volta favorisce le imprese di assicurazione, disponendo, in contrasto con la norma di riferimento, che gli intermediari a titolo accessorio per poter operare abbiano bisogno dell'incarico «di una o più imprese di assicurazione»: ancora una volta gli intermediari professionali sono tagliati fuori. È facile, allora, immaginare la costituzione, sotto il controllo di compagnie e banche, di reti finalizzate al collocamento di polizze. Il tutto a scapito del diritto dell'assicurato all'offerta di coperture adeguate. Il Regolamento Ivass sembra elevare questi intermediari a titolo accessorio al medesimo rango degli intermediari di primo livello, nonostante la minore professionalizzazione.
Inoltre gli intermediari a titolo accessorio non rientrano nella disciplina della legge 40/2006, che aveva messo fuorilegge i patti di esclusiva nei mandati delle agenzie. Ne consegue che possono avere un vincolo di esclusiva, favorendo così le compagnie mandanti.
Queste criticità paiono favorire proprio le compagnie e le banche, incontrandone i desiderata. È auspicabile che l'Ivass verifichi la legittimità di norme che sembrano contenere delle disparità di trattamento. La situazione è delicata anche perché l'Ivass opera sotto il controllo di Bankitalia, il cui capitale è detenuto da banche e assicurazioni.
Gli agenti contestano anche l'obbligo del mandato da parte delle compagnie
È in atto una battaglia tra gli agenti di assicurazione e l'Ivass, l'autorità di vigilanza del settore assicurativo. Teatro dello scontro è il Tar del Lazio, al quale gli agenti hanno indirizzato un ricorso contro il nuovo regolamento sulla distribuzione assicurativa, in vigore dal 1 ottobre, secondo loro colpevole di limitare la libertà imprenditoriale e autonomia degli agenti professionisti e di arrecare, nel contempo, un grave pregiudizio ai consumatori in conseguenza di un possibile freno alla libera concorrenza ed alla pluralità dell'offerta.
I timori sembrano tutt'altro che infondati e dietro le quinte si muovono gli enormi interessi di un sistema che, in Italia, è caratterizzato proprio da una concorrenza ridotta, con pochi gruppi assicurativi che concentrano la raccolta e che sembrano non voler mollare la presa, nonostante i tentativi del legislatore e dell'Antitrust di sciogliere il nodo scorsoio che soffoca il mercato. Le nuove regole, secondo il Sindacato Nazionale Agenti, che è la principale associazione di categoria degli intermediari, rischiano di esasperare questa situazione, annullando gli effetti positivi delle norme legislative che, insieme ai provvedimenti dell'Antitrust, negli ultimi dodici anni hanno consentito lo sviluppo di una concorrenza capace di produrre effetti virtuosi e nuove opportunità per i consumatori.
La preoccupazione degli agenti è legata principalmente all'introduzione, con il nuovo Regolamento Ivass n. 40 del 2 agosto 2018, dell'obbligo, imposto agli agenti, di essere titolari di almeno un mandato da parte di una compagnia, per poter mantenere l'iscrizione al Registro unico degli intermediari assicurativi. Potrebbe essere un colpo di spugna sull'ormai affermato sistema delle collaborazioni tra intermediari assicurativi, introdotto nel dicembre 2012 dalla legge 221 proprio allo scopo di "favorire il superamento dell'attuale segmentazione del mercato assicurativo ed accrescere il grado di libertà dei diversi operatori". Questo ampliamento delle facoltà operative degli intermediari consente loro di offrire ai propri clienti anche le polizze trattate da altri intermediari, utilizzando, come appoggio per l'emissione, le agenzie titolari del mandato delle relative compagnie. Il sistema non è mai stato visto di buon occhio dalle imprese di assicurazione, che hanno opposto ogni resistenza al suo sviluppo per evitare di perdere il controllo di una parte della filiera distributiva delle proprie polizze, di fatto improvvisamente liberalizzata ex lege.
Le collaborazioni tra intermediari si stanno affermando come modalità principale, se non esclusiva, di esercizio dell'attività da parte di numerosi agenti che hanno scelto di rendere conto del proprio operato esclusivamente ai propri clienti e non alle compagnie mandanti, potendolo fare, in virtù della legge 221, in piena libertà e con il solo obbligo di fornire all'assicurato una puntuale informativa sulle circostanze della collaborazione. La nuova norma regolamentare, invece, impone che le collaborazioni possano essere esercitate solo da agenti che siano titolari di almeno un mandato di una compagnia e prevede la cancellazione dal Registro degli agenti privi di mandato - i cosiddetti "inoperativi" - vietando loro ogni forma di intermediazione. Il mercato verrebbe così privato di una figura che sta diventando sempre più importante e la cui attività è basata sulla ricerca, fra molteplici soluzioni offerte anche da compagnie delle quali non è mandataria, delle polizze più adeguate alle esigenze del proprio cliente.
Il ricorso del Sindacato nazionale agenti al Tar pone l'accento sulla inesistenza, nella norma di riferimento, che è il Codice delle assicurazioni private, di previsioni che giustifichino le nuove regole imposte dall'Ivass, che vengono pertanto considerate in contrasto sia con il codice stesso che con la legge sulle collaborazioni e che creano limitazioni operative agli agenti, comprimendone ingiustamente le facoltà operative e i diritti.
Un altro argomento sul quale gli agenti danno battaglia riguarda la semplificazione delle attività burocratiche collaterali all'emissione e gestione delle polizze. Non viene contestato il diritto del consumatore ad una informazione chiara e completa sui contenuti delle polizze che gli vengono proposte, bensì le modalità imposte dai regolamenti Ivass per l'assolvimento di questo obbligo di trasparenza da parte degli intermediari: una pletora di modelli, dichiarazioni, questionari ed informative che cresce ogni volta che si mette mano ai regolamenti e che ha più volte dimostrato di non avere alcuna utilità per il consumatore, ma, al contrario, di confondergli le idee. A sentire gli intermediari, questo eccesso di adempimenti sembra avvantaggiare i distributori con una professionalità più limitata, i quali possono proporre qualsiasi tipo di polizza pur senza possedere tutte le competenze necessarie ad orientare correttamente il cliente verso l'analisi delle proprie esigenze, ma limitandosi ad assolvere alla formalità di far sottoscrivere un fascio di carte e mettendosi così al sicuro in caso di controlli, anch'essi più formali che sostanziali, da parte delle compagnie o dell'Ivass. Ma è davvero questo ciò di cui a bisogno il cliente?
Il regolamento Ivass n. 40 contiene anche altri aspetti che gli intermediari hanno messo sotto la lente di ingrandimento in quanto capaci di peggiorare la qualità del servizio offerto ai clienti. Ad esempio, l'Ivass ha stabilito che i broker che collaborano con agenti senza avere una specifica autorizzazione all'incasso dei premi da parte delle compagnie mandanti non possono garantire al cliente l'effetto liberatorio del versamento dei premi ad essi effettuato. Un assurdità, anch'essa oggetto del ricorso al Tar, che non trova riscontro in alcuna norma di riferimento, ma anzi, contraddice un principio contenuto nel Codice delle assicurazioni secondo il quale il pagamento del premio eseguito in buona fede all'intermediario o ai suoi collaboratori si considera effettuato direttamente all'impresa di assicurazione.
Ora spetta ai giudici del Tar fare luce sulle numerose zone d'ombra di un regolamento che sembra presentare diverse incoerenze con la normative primaria e con la stessa Direttiva europea sulla distribuzione assicurativa.
«Così si mette a repentaglio la concorrenza e la tutela degli utenti»

Ci siamo rivolti al presidente del sindacato nazionale agenti, Claudio Demozzi. Gli agenti hanno annunciato ricorso al Tar del Lazio contro il regolamento 40 dell'Istituto di Vigilanza sulle assicurazioni (Ivass). Perché si è arrivati a tanto?
«Sna, il Sindacato nazionale agenti professionisti di assicurazione, al quale aderisce più del 90% degli Agenti iscritti ad una Rappresentanza sindacale in Italia, si sente in dovere di contrastare con ogni mezzo alcune disposizioni che danneggiano gli Agenti italiani, limitandoli nella loro libertà imprenditoriale e creando ostacoli alla loro autonomia. L'Ivass, che è un ramo della Banca d'Italia, dovrebbe mettere sempre al primo posto il miglior interesse dell'utente, proprio come dobbiamo fare per legge noi agenti; a volte questo non traspare dalle norme che scrive e dai ragionamenti che vengono espressi a monte di tali norme. Dopo aver tentato ogni strada, senza esito, per impedire alcune norme che riteniamo ingiuste, per gli Agenti e per i clienti, non resta che ricorrere alla Magistratura amministrativa».
Ci può riassumere alcune disposizioni sulle quale fate ricorso?
«Sono diverse. Ad esempio contestiamo all'Ivass la decisione di cancellare dal Registro gli Agenti che saranno considerati inoperativi pur operando in libera collaborazione con altri Agenti sulla base della legge 221/2012 se sprovvisti di Mandato agenziale e questo appare un ostacolo alla nostra libertà imprenditoriale. Si è agenti superando un esame e dotandosi di polizza rc professionale; questo è certo. Il possesso del Mandato è solo una delle modalità possibili. Ivass pare faccia fatica a concepirlo. Eppure questo è il risultato di una battaglia politica vinta sei anni fa, di una decisione del Legislatore! Contestiamo anche che le banche non possano più operare per conto di un agente se prima non hanno accettato di collaborare con una o più Imprese assicuratrici. Anche questa sembra una disposizione che reca grave pregiudizio agli Agenti ed alla loro libertà d'azione. Potrei proseguire a lungo».
Se siete arrivati al ricorso al Tar, significa che l'Istituto di Vigilanza non ha preso nella dovuta considerazione le istanze dei soggetti vigilati?
«Beh, certamente se Ivass avesse accolto le nostre istanze sui punti più controversi del Regolamento, non avremmo dovuto utilizzare questo strumento, al quale facciamo ricorso solamente quando ci vediamo costretti a farlo per tutelare gli agenti assicurativi italiani. Del resto, credo che se non lo facesse Sna, non lo farebbe nessuno. E ancora: con questo ricorso tuteliamo gli agenti, ma anche gli interessi dei nostri clienti, cioè dei consumatori».
Sna è critico anche sul fronte delle semplificazioni o sbaglio?
«Abbiamo sempre creduto che semplificare significhi rendere più comprensibile ed attuabile l'informativa al cliente ed i connessi oneri burocratici in capo all'agente. Negli ultimi anni, invece, la semplificazione si è tradotta in pochi accorgimenti formali e l'informativa precontrattuale in un insieme di documenti così copiosi dal risultare pressoché inutili per il consumatore. Consegnare al cliente settanta, ottanta pagine di informazioni prima di sottoporgli la polizza da firmare, significa avere quasi la certezza che non leggerà nulla e che la sua adesione sarà poco più che formale. Dopo tante innovazioni normative, siamo giunti ad un approccio talmente burocratico e burocratizzato che per un agente onesto, professionale ed imparziale il lavoro è divenuto estremamente complesso, mentre per i distributori deprofessionalizzati il compito sembra alleggerito. Basta rispettare la forma, far sottoscrivere un plico di carta ed il gioco è fatto. Proprio come troppo spesso avviene in banca quando sottoscriviamo decine di fogli, per un mutuo o semplicemente per aprire un conto, senza sapere nulla di ciò che firmiamo».
Tutto questo può avere riflessi sulla concorrenza?
«Ostacolare l'opera degli Agenti e la loro libertà professionale significa anche raffreddare la concorrenza. In un Paese, come l'Italia, in cui operano poche compagnie, in un mercato iper-concentrato come quello assicurativo, alcune disposizioni del regolamento secondo noi potrebbero avere anche effetti deleteri sulla libera concorrenza, a tutto svantaggio dei consumatori. Come ad esempio obbligare gli agenti ad agire nel migliore interesse del cliente, obbligo che condividiamo, obbligandoli al contempo a seguire pedissequamente le direttive della singola compagnia rappresentata, il cui interesse molto spesso è in contrasto con quello del cliente medesimo. Le due cose sono difficilmente conciliabili. All'agente deve essere garantita la necessaria imparzialità, come vuole la direttiva europea cui si riferisce il regolamento».
Ignazio Mangrano
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Gli agenti assicurativi impugnano davanti al tribunale del Lazio l'applicazione italiana delle norme Ue: «Limiti agli intermediari indipendenti mentre si agevolano i grandi gruppi. Per i clienti sarà più difficile trovare prodotti adatti alle esigenze».Più vincoli burocratici a senso unico e obbligo di avere un mandato per gli agenti: tutti i motivi del ricorsoParla il presidente del sindacato nazionale agenti, Claudio Demozzi: «Con tale applicazione si rischia di mettere a repentaglio la concorrenza».Lo speciale contiene tre articoli.È in atto una battaglia tra gli agenti di assicurazione e l'Ivass, l'autorità di vigilanza del settore. Teatro dello scontro è il Tar del Lazio, al quale il sindacato degli agenti ha fatto ricorso contro il nuovo regolamento sulla distribuzione assicurativa, in vigore dal 1° ottobre, che sarebbe colpevole di limitare la libertà imprenditoriale e l'autonomia degli agenti professionisti e di arrecare un pregiudizio ai consumatori in conseguenza di un possibile freno alla libera concorrenza. Dietro le quinte si muovono gli enormi interessi di un sistema che, in Italia, è caratterizzato da una concorrenza ridotta, con pochi gruppi assicurativi che concentrano la raccolta.La preoccupazione degli agenti è legata principalmente all'introduzione, con il nuovo Regolamento Ivass numero 40 del 2 agosto 2018, dell'obbligo per gli agenti di essere titolari di almeno un mandato da parte di una compagnia per poter mantenere l'iscrizione al Registro unico degli intermediari assicurativi. Potrebbe essere un colpo di spugna sull'ormai affermato sistema delle collaborazioni tra intermediari assicurativi, che consente di offrire ai clienti anche polizze trattate da altri intermediari. Un sistema che non è mai stato visto di buon occhio dalle imprese di assicurazione.Le collaborazioni tra intermediari si stanno affermando come modalità principale di esercizio dell'attività da parte di numerosi agenti che hanno scelto di rendere conto esclusivamente ai clienti e non alle compagnie mandanti. La nuova norma, invece, impone che le collaborazioni possano essere esercitate solo da agenti titolari di un mandato e prevede la cancellazione dal Registro degli agenti privi di mandato vietando loro ogni intermediazione. Il ricorso di Sna pone l'accento sull'inesistenza, nel Codice delle assicurazioni private, di previsioni che giustifichino le nuove regole, che dovrebbero pertanto essere considerate in contrasto sia con il codice sia con la legge sulle collaborazioni.La direttiva europea sulla distribuzione assicurativa è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 68 del 21/5/2018. Ma le nuove norme, così come l'Ivass le ha tradotte nel Regolamento oggetto di contestazione al Tar, oltre a introdurre l'obbligo di mandato per gli intermediari indipendenti favorirebbe anche la disintermediazione del sistema. Ma chi ne trarrebbe vantaggio? Le compagnie, soprattutto quelle che puntano sui prodotti assicurativi standardizzati, la cui vendita potrebbe essere meglio organizzata attraverso reti dedicate, piuttosto che attraverso il sistema dei distributori consulenti, come gli agenti professionisti, che intermediano circa l'80% del mercato nel ramo danni.Anche le banche, che non sono ancora riuscite, in Italia, a mettere a regime il sistema della bancassicurazione, potrebbero trarre dei vantaggi. È infatti noto il collegamento esistente tra le principali banche e le compagnie di assicurazione, nei capitali delle quali gli istituti di credito hanno importanti partecipazioni. Inoltre, le banche possono operare nel settore assicurativo dietro mandato delle compagnie semplicemente autocertificando l'esistenza dei requisiti di professionalità che gli altri intermediari devono garantire con un esame e aggiornamenti professionali.Non a caso il nuovo regolamento Ivass ha disciplinato l'attività degli intermediari a titolo accessorio, figure che possono essere iscritte al registro degli intermediari al pari degli agenti ma senza dover sostenere un esame. Queste figure teoricamente potrebbero operare su incarico diretto di agenti, intermediari indipendenti, broker, banche, Poste italiane e delle compagnie di assicurazione per la vendita di prodotti assicurativi accessori, appunto, a quelli che sono oggetto della loro attività principale. Ma il Regolamento Ivass ancora una volta favorisce le imprese di assicurazione, disponendo, in contrasto con la norma di riferimento, che gli intermediari a titolo accessorio per poter operare abbiano bisogno dell'incarico «di una o più imprese di assicurazione»: ancora una volta gli intermediari professionali sono tagliati fuori. È facile, allora, immaginare la costituzione, sotto il controllo di compagnie e banche, di reti finalizzate al collocamento di polizze. Il tutto a scapito del diritto dell'assicurato all'offerta di coperture adeguate. Il Regolamento Ivass sembra elevare questi intermediari a titolo accessorio al medesimo rango degli intermediari di primo livello, nonostante la minore professionalizzazione.Inoltre gli intermediari a titolo accessorio non rientrano nella disciplina della legge 40/2006, che aveva messo fuorilegge i patti di esclusiva nei mandati delle agenzie. Ne consegue che possono avere un vincolo di esclusiva, favorendo così le compagnie mandanti.Queste criticità paiono favorire proprio le compagnie e le banche, incontrandone i desiderata. È auspicabile che l'Ivass verifichi la legittimità di norme che sembrano contenere delle disparità di trattamento. La situazione è delicata anche perché l'Ivass opera sotto il controllo di Bankitalia, il cui capitale è detenuto da banche e assicurazioni.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pezzo-assicurazioni-2617129037.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-agenti-contestano-anche-l-obbligo-del-mandato-da-parte-delle-compagnie" data-post-id="2617129037" data-published-at="1765318501" data-use-pagination="False"> Gli agenti contestano anche l'obbligo del mandato da parte delle compagnie È in atto una battaglia tra gli agenti di assicurazione e l'Ivass, l'autorità di vigilanza del settore assicurativo. Teatro dello scontro è il Tar del Lazio, al quale gli agenti hanno indirizzato un ricorso contro il nuovo regolamento sulla distribuzione assicurativa, in vigore dal 1 ottobre, secondo loro colpevole di limitare la libertà imprenditoriale e autonomia degli agenti professionisti e di arrecare, nel contempo, un grave pregiudizio ai consumatori in conseguenza di un possibile freno alla libera concorrenza ed alla pluralità dell'offerta.I timori sembrano tutt'altro che infondati e dietro le quinte si muovono gli enormi interessi di un sistema che, in Italia, è caratterizzato proprio da una concorrenza ridotta, con pochi gruppi assicurativi che concentrano la raccolta e che sembrano non voler mollare la presa, nonostante i tentativi del legislatore e dell'Antitrust di sciogliere il nodo scorsoio che soffoca il mercato. Le nuove regole, secondo il Sindacato Nazionale Agenti, che è la principale associazione di categoria degli intermediari, rischiano di esasperare questa situazione, annullando gli effetti positivi delle norme legislative che, insieme ai provvedimenti dell'Antitrust, negli ultimi dodici anni hanno consentito lo sviluppo di una concorrenza capace di produrre effetti virtuosi e nuove opportunità per i consumatori.La preoccupazione degli agenti è legata principalmente all'introduzione, con il nuovo Regolamento Ivass n. 40 del 2 agosto 2018, dell'obbligo, imposto agli agenti, di essere titolari di almeno un mandato da parte di una compagnia, per poter mantenere l'iscrizione al Registro unico degli intermediari assicurativi. Potrebbe essere un colpo di spugna sull'ormai affermato sistema delle collaborazioni tra intermediari assicurativi, introdotto nel dicembre 2012 dalla legge 221 proprio allo scopo di "favorire il superamento dell'attuale segmentazione del mercato assicurativo ed accrescere il grado di libertà dei diversi operatori". Questo ampliamento delle facoltà operative degli intermediari consente loro di offrire ai propri clienti anche le polizze trattate da altri intermediari, utilizzando, come appoggio per l'emissione, le agenzie titolari del mandato delle relative compagnie. Il sistema non è mai stato visto di buon occhio dalle imprese di assicurazione, che hanno opposto ogni resistenza al suo sviluppo per evitare di perdere il controllo di una parte della filiera distributiva delle proprie polizze, di fatto improvvisamente liberalizzata ex lege.Le collaborazioni tra intermediari si stanno affermando come modalità principale, se non esclusiva, di esercizio dell'attività da parte di numerosi agenti che hanno scelto di rendere conto del proprio operato esclusivamente ai propri clienti e non alle compagnie mandanti, potendolo fare, in virtù della legge 221, in piena libertà e con il solo obbligo di fornire all'assicurato una puntuale informativa sulle circostanze della collaborazione. La nuova norma regolamentare, invece, impone che le collaborazioni possano essere esercitate solo da agenti che siano titolari di almeno un mandato di una compagnia e prevede la cancellazione dal Registro degli agenti privi di mandato - i cosiddetti "inoperativi" - vietando loro ogni forma di intermediazione. Il mercato verrebbe così privato di una figura che sta diventando sempre più importante e la cui attività è basata sulla ricerca, fra molteplici soluzioni offerte anche da compagnie delle quali non è mandataria, delle polizze più adeguate alle esigenze del proprio cliente.Il ricorso del Sindacato nazionale agenti al Tar pone l'accento sulla inesistenza, nella norma di riferimento, che è il Codice delle assicurazioni private, di previsioni che giustifichino le nuove regole imposte dall'Ivass, che vengono pertanto considerate in contrasto sia con il codice stesso che con la legge sulle collaborazioni e che creano limitazioni operative agli agenti, comprimendone ingiustamente le facoltà operative e i diritti.Un altro argomento sul quale gli agenti danno battaglia riguarda la semplificazione delle attività burocratiche collaterali all'emissione e gestione delle polizze. Non viene contestato il diritto del consumatore ad una informazione chiara e completa sui contenuti delle polizze che gli vengono proposte, bensì le modalità imposte dai regolamenti Ivass per l'assolvimento di questo obbligo di trasparenza da parte degli intermediari: una pletora di modelli, dichiarazioni, questionari ed informative che cresce ogni volta che si mette mano ai regolamenti e che ha più volte dimostrato di non avere alcuna utilità per il consumatore, ma, al contrario, di confondergli le idee. A sentire gli intermediari, questo eccesso di adempimenti sembra avvantaggiare i distributori con una professionalità più limitata, i quali possono proporre qualsiasi tipo di polizza pur senza possedere tutte le competenze necessarie ad orientare correttamente il cliente verso l'analisi delle proprie esigenze, ma limitandosi ad assolvere alla formalità di far sottoscrivere un fascio di carte e mettendosi così al sicuro in caso di controlli, anch'essi più formali che sostanziali, da parte delle compagnie o dell'Ivass. Ma è davvero questo ciò di cui a bisogno il cliente?Il regolamento Ivass n. 40 contiene anche altri aspetti che gli intermediari hanno messo sotto la lente di ingrandimento in quanto capaci di peggiorare la qualità del servizio offerto ai clienti. Ad esempio, l'Ivass ha stabilito che i broker che collaborano con agenti senza avere una specifica autorizzazione all'incasso dei premi da parte delle compagnie mandanti non possono garantire al cliente l'effetto liberatorio del versamento dei premi ad essi effettuato. Un assurdità, anch'essa oggetto del ricorso al Tar, che non trova riscontro in alcuna norma di riferimento, ma anzi, contraddice un principio contenuto nel Codice delle assicurazioni secondo il quale il pagamento del premio eseguito in buona fede all'intermediario o ai suoi collaboratori si considera effettuato direttamente all'impresa di assicurazione.Ora spetta ai giudici del Tar fare luce sulle numerose zone d'ombra di un regolamento che sembra presentare diverse incoerenze con la normative primaria e con la stessa Direttiva europea sulla distribuzione assicurativa. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/pezzo-assicurazioni-2617129037.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="cosi-si-mette-a-repentaglio-la-concorrenza-e-la-tutela-degli-utenti" data-post-id="2617129037" data-published-at="1765318501" data-use-pagination="False"> «Così si mette a repentaglio la concorrenza e la tutela degli utenti» Ci siamo rivolti al presidente del sindacato nazionale agenti, Claudio Demozzi. Gli agenti hanno annunciato ricorso al Tar del Lazio contro il regolamento 40 dell'Istituto di Vigilanza sulle assicurazioni (Ivass). Perché si è arrivati a tanto?«Sna, il Sindacato nazionale agenti professionisti di assicurazione, al quale aderisce più del 90% degli Agenti iscritti ad una Rappresentanza sindacale in Italia, si sente in dovere di contrastare con ogni mezzo alcune disposizioni che danneggiano gli Agenti italiani, limitandoli nella loro libertà imprenditoriale e creando ostacoli alla loro autonomia. L'Ivass, che è un ramo della Banca d'Italia, dovrebbe mettere sempre al primo posto il miglior interesse dell'utente, proprio come dobbiamo fare per legge noi agenti; a volte questo non traspare dalle norme che scrive e dai ragionamenti che vengono espressi a monte di tali norme. Dopo aver tentato ogni strada, senza esito, per impedire alcune norme che riteniamo ingiuste, per gli Agenti e per i clienti, non resta che ricorrere alla Magistratura amministrativa».Ci può riassumere alcune disposizioni sulle quale fate ricorso?«Sono diverse. Ad esempio contestiamo all'Ivass la decisione di cancellare dal Registro gli Agenti che saranno considerati inoperativi pur operando in libera collaborazione con altri Agenti sulla base della legge 221/2012 se sprovvisti di Mandato agenziale e questo appare un ostacolo alla nostra libertà imprenditoriale. Si è agenti superando un esame e dotandosi di polizza rc professionale; questo è certo. Il possesso del Mandato è solo una delle modalità possibili. Ivass pare faccia fatica a concepirlo. Eppure questo è il risultato di una battaglia politica vinta sei anni fa, di una decisione del Legislatore! Contestiamo anche che le banche non possano più operare per conto di un agente se prima non hanno accettato di collaborare con una o più Imprese assicuratrici. Anche questa sembra una disposizione che reca grave pregiudizio agli Agenti ed alla loro libertà d'azione. Potrei proseguire a lungo».Se siete arrivati al ricorso al Tar, significa che l'Istituto di Vigilanza non ha preso nella dovuta considerazione le istanze dei soggetti vigilati?«Beh, certamente se Ivass avesse accolto le nostre istanze sui punti più controversi del Regolamento, non avremmo dovuto utilizzare questo strumento, al quale facciamo ricorso solamente quando ci vediamo costretti a farlo per tutelare gli agenti assicurativi italiani. Del resto, credo che se non lo facesse Sna, non lo farebbe nessuno. E ancora: con questo ricorso tuteliamo gli agenti, ma anche gli interessi dei nostri clienti, cioè dei consumatori».Sna è critico anche sul fronte delle semplificazioni o sbaglio?«Abbiamo sempre creduto che semplificare significhi rendere più comprensibile ed attuabile l'informativa al cliente ed i connessi oneri burocratici in capo all'agente. Negli ultimi anni, invece, la semplificazione si è tradotta in pochi accorgimenti formali e l'informativa precontrattuale in un insieme di documenti così copiosi dal risultare pressoché inutili per il consumatore. Consegnare al cliente settanta, ottanta pagine di informazioni prima di sottoporgli la polizza da firmare, significa avere quasi la certezza che non leggerà nulla e che la sua adesione sarà poco più che formale. Dopo tante innovazioni normative, siamo giunti ad un approccio talmente burocratico e burocratizzato che per un agente onesto, professionale ed imparziale il lavoro è divenuto estremamente complesso, mentre per i distributori deprofessionalizzati il compito sembra alleggerito. Basta rispettare la forma, far sottoscrivere un plico di carta ed il gioco è fatto. Proprio come troppo spesso avviene in banca quando sottoscriviamo decine di fogli, per un mutuo o semplicemente per aprire un conto, senza sapere nulla di ciò che firmiamo».Tutto questo può avere riflessi sulla concorrenza?«Ostacolare l'opera degli Agenti e la loro libertà professionale significa anche raffreddare la concorrenza. In un Paese, come l'Italia, in cui operano poche compagnie, in un mercato iper-concentrato come quello assicurativo, alcune disposizioni del regolamento secondo noi potrebbero avere anche effetti deleteri sulla libera concorrenza, a tutto svantaggio dei consumatori. Come ad esempio obbligare gli agenti ad agire nel migliore interesse del cliente, obbligo che condividiamo, obbligandoli al contempo a seguire pedissequamente le direttive della singola compagnia rappresentata, il cui interesse molto spesso è in contrasto con quello del cliente medesimo. Le due cose sono difficilmente conciliabili. All'agente deve essere garantita la necessaria imparzialità, come vuole la direttiva europea cui si riferisce il regolamento».Ignazio Mangrano
Ansa
Eppure, fino a pochi giorni fa, per la banca più antica del mondo l’aria era diventata irrespirabile. Le indagini della Procura di Milano avevano spinto il titolo giù dal cavallo, facendogli perdere miliardi di capitalizzazione. Le prime pagine dei giornali finanziari tremavano all’unisono: «aggiotaggio», «ostacolo alla vigilanza», «patto occulto». Parole che in Borsa funzionano come il fumo negli alveari: tutti scappano, nessuno chiede perché. Poi, lunedì, il colpo di scena. Spunta la parola magica che fa battere il cuore agli investitori: Consob. L’Autorità di vigilanza, finora poco loquace, aveva già detto a settembre che di «concerto» nella scalata a Mediobanca non ne vedeva traccia. E a Piazza Affari questo basta. Non è certezza, è una sfumatura, un mezzo sorriso, un sopracciglio alzato: ma per i mercati è come una benedizione papale. La Procura, però, non sembra aver preso bene la posizione dell’Autorità. Così ha inviato nuove carte, intercettazioni comprese, convinta che tra Luigi Lovaglio, Francesco Gaetano Caltagirone e Francesco Milleri ci fosse più di una semplice comunione d’intenti. Per i magistrati milanesi il trio avrebbe pianificato la conquista di Mps e poi la scalata a Mediobanca con la meticolosità di un architetto che disegna una cattedrale gotica.
Il punto è che dimostrarlo non è affatto semplice. Lo ha ricordato più volte lo stesso Paolo Savona, presidente della Consob, che sulla materia ha mostrato la cautela di un chirurgo: «Il concerto occulto è complesso da provare». Tradotto: puoi avere intercettazioni, sospetti, ricostruzioni, ma per far quadrare la tesi serve molto di più. E forse è questo che ha fatto scattare l’effetto molla sul titolo Mps: l’idea che la montagna giudiziaria rischi di partorire un topolino burocratico. Da qui in avanti il racconto assume i contorni della tragicommedia finanziaria. Milano manda documenti a Roma; Roma annuncia di valutarli. Gli investitori, che hanno il fiuto dei cani da caccia, interpretano la mossa come: «Sì, le carte le leggiamo, ma intanto non cambia nulla rispetto a settembre». E la banca di Siena - che ha passato negli ultimi dieci anni disastri che avrebbero fatto chiudere qualunque altro istituto occidentale - stavolta fiuta l’aria buona. Intanto gli analisti, quelli che il mercato lo guardano dall’alto del loro grafico preferito, si mostrano quasi papali: buy confermato, target price a 11 euro, fiducia intatta. Per loro la tempesta giudiziaria è un rumore di fondo. Una di quelle pioggerelline che fanno frusciare le foglie ma non cambiano le previsioni della vendemmia. Il paradosso è che anche Mediobanca, la presunta vittima designata del «concerto» inesistente, brinda. Alle 17 è a 16,48 euro, in rialzo dell’1,35%. Sembra quasi che il mercato si sia rassegnato a un’idea semplice: questa storia finirà in un grande nulla di fatto, come tante vicende finanziarie italiane in cui i protagonisti si guardano negli occhi e dicono: «Abbiamo scherzato». È un Paese curioso, l’Italia. Le accuse volano come coriandoli, i titoli crollano, la politica si indigna, i pm lavorano a pieno ritmo. Poi basta una riga in una relazione Consob - nemmeno una conclusione, solo un orientamento - e tutto si ribalta.
Il caso Mps dimostra ancora una volta che nel nostro mercato finanziario non c’è nulla di più potente della percezione. Non la verità processuale, non gli atti, non i faldoni. La percezione. Se la Consob solleva un sopracciglio, Mps vola. Se la magistratura invia nuove carte, il titolo magari trema per qualche ora, ma poi risale. È il teatro della finanza italiana: un luogo dove le istituzioni recitano, il pubblico interpreta e il mercato decide chi applaudirà. Intanto, a Siena, si festeggia. Non apertamente, perché la prudenza è d’obbligo. Ma nei corridoi, tra una planata di grafici e una riunione lampo, dev’essere tornato a circolare un pensiero che la banca aveva sepolto da tempo: forse stavolta siamo davvero usciti dal tunnel. Non è detto, perché le carte giudiziarie hanno vita propria e la Procura non ama essere smentita. Ma di certo lunedì è successo qualcosa. La banca più antica del mondo ha mostrato di avere ancora schiena, gambe e fiato. E soprattutto una cosa che da anni le mancava: fiducia. Il resto lo farà il tempo. E, naturalmente, la Consob. Che con un cenno, anche involontario, riesce ancora a muovere montagne. O almeno a far correre Mps come non succedeva da un pezzo.
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Il 43,8 % degli italiani ha detto di non ritenerla utile. «È una riflessione importante», osservava Ghisleri nel programma Realpolitik di Tommaso Labate su Rete 4, «perché vorrebbe dire che la legge sul consenso verrebbe utilizzata come deterrente, ma non sarebbe utile perché manca l’educazione». Ricordiamo che la legge, che introduce nel Codice penale il concetto di «consenso libero e attuale», è stata approvata all’unanimità alla Camera e presentata come un accordo bipartisan tra il premier Giorgia Meloni e il segretario del Pd, Elly Schlein. In commissione Giustizia, la coalizione di governo ha chiesto un nuovo passaggio, scatenando la reazione dell’opposizione che ha parlato di un «voltafaccia», di patto politico tradito. Ancor più singolare è che, nel sondaggio, sia stato il 37,6% delle donne a non ritenere la norma sullo stupro utile a scoraggiare o impedire la violenza sessuale, rispetto a un 38,8% convinto che serva. Perciò, se il 51,6% degli italiani interpellati crede che sia necessaria una legge che inasprisca il reato, ridefinendone le modalità (il ddl torna questa settimana in commissione a Palazzo Madama), la maggior parte di questo campione non lo considera un deterrente effettivo.
Inevitabile chiedersi il senso, allora, di una legge che complica all’inverosimile l’onere della prova di un consenso non «libero e attuale» (e il non poterlo provare può diventare equivalente all’aver commesso il reato), mentre poco inciderebbe nella protezione delle donne. Non la crede utile non solo l’elettorato di centrodestra (47,9% delle risposte, rispetto al 38,2% di «sì»), ma anche una bella fetta di coloro che votano a sinistra (34,3% i «no», 43,3 % i «sì»). E se può non sorprendere che il 53,6% degli elettori di Fratelli d’Italia abbia detto di con credere alla legge come prevenzione di episodi di violenza, è significativo che la pensi allo stesso modo il 38,5% di quanti votano Pd e che appena il 36,5% dei dem la consideri, invece, utile.
Quindi nei due partiti rappresentati da Giorgia Meloni e da Elly Schlein sono più forti le perplessità, circa l’approvazione del ddl come misura deterrente. Quanto all’impatto del reato di violenza sessuale riformato sulla base di un accordo Meloni-Schlein, restano sempre forti le riserve degli italiani. Non tanto perché non serva una legge dura (oltre il 53% sia a sinistra sia a destra si dice a favore), ma in quanto non risulta ben formulata. Non definisce che cosa costituisce consenso, anche nelle forme non verbali e nemmeno chiarisce quali elementi probatori possono dimostrarlo o escluderlo. «Si pensa che questi requisiti di libertà e attualità siano puntualizzati a tutela della donna e a vincolo e controllo per l’uomo: anche qui siamo di fronte a un ribaltamento concettuale e fisico della prova, spesso sono le donne che prendono l’iniziativa e non si può “pregiudizialmente” pensare al maschio come attaccante-persecutore, attizzatore di incendi passionali che si trasformano in atti di coercizione nel “fare” e nell’insistere», osservava due giorni fa su Startmag Francesco Provinciali, già giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano.
Fanno pensare, inoltre, gli esiti di un altro sondaggio che è stato riportato sempre da Ghisleri. «Abbiamo chiesto quali sono le paure più grandi (degli italiani, ndr), al primo posto ci sono le aggressioni e le minacce (22,7%), seguite da rapine in casa (20,5%), furti e rapine (19,4%), truffe e frodi (16,6%)». La violenza sessuale risultava solo al quinto posto (9,4%) come preoccupazione. Eppure, dai primi dati emersi dall’indagine 2025 sulla violenza contro le donne condotta dal dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio e l’Istat denominata «Sicurezza delle donne», risultano aumentate «dal 30,1% al 36,3% le vittime che considerano un reato la violenza subita dal partner e raddoppia la percentuale delle richieste di aiuto ai Centri antiviolenza e gli altri servizi specializzati (dal 4,4 del 2014 all’8,7% del 2025)».
Evidentemente, la certezza della pena non è un deterrente. Rispetto al passato, c’è una diversa sensibilità verso la violenza sessuale e i diversi contenuti giuridici che il reato ha assunto nel tempo, però occorrono strategie volte all’educazione, alla sensibilizzazione, al riconoscimento della violenza, formando operatori (dalla scuola alla magistratura, passando per i servizi sociali). Serve rendere operativo ovunque il percorso di tutela per le donne che hanno subito violenza e perseguire chi l’ha provocata. Discutere di pertinenza e liceità all’interno della coppia, criminalizzando a priori, non argina la violenza sessuale.
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Quella al ladro, invece, è finita «grazie» all’intervento di quanti hanno braccato un albanese di 40 anni finito poi in ospedale con 30 giorni di prognosi. Il messaggio della questura è chiaro, «nessuna giustizia fai da te». Ma la corsa a identificare i residenti che hanno inseguito il ladro, alcuni forse armati di piccone tanto da provocargli una frattura al bacino, per la comunità è difficile da digerire. «In casa con me vivono mia moglie e i miei due bambini piccoli. Per fortuna, in quel momento non eravamo presenti. L’allarme è scattato ma le forze dell’ordine sono arrivate una decina di minuti dopo: il tempo sufficiente perché i ladri scappassero», scrive in una lettera al sito Aostasera.it un cittadino che vive in una delle case finite nel mirino dei ladri. «Non vuole essere un rimprovero ai carabinieri che sono intervenuti, ma il dato di fatto di un territorio in cui i tempi di reazione non sono adeguati alla pressione dei furti che subiamo da mesi». Addirittura cinque o sei i raid di furti verificatisi a partire dall’estate. Troppi per il paesino che ormai vive nell’angoscia.
Lo scorso venerdì erano passate da poco le 19 quando un massaggio da parte di un cittadino ha fatto scattare l’allarme: «Sono tornati i ladri». E di lì il tam tam da un telefonino all’altro: «Fate attenzione, chiudete le porte». Il rumore provocato dai ladri nel tentativo di aprire una cassaforte richiama l’attenzione dei cittadini che chiamano i carabinieri. In poco tempo, però, scatta il caos perché in molti si riversano in strada. Partono le urla, le segnalazioni, alcuni residenti sono armati di bastoni. Qualcuno parla di picconi ma i cittadini, oggi, negano. Uno dei malviventi scappa verso il bosco mentre l’altro viene individuato grazie all’utilizzo di una termocamera e fermato. Ha con sé la refurtiva, 5.000 euro, gli abitanti gli si scagliano contro e solo l’intervento dei carabinieri mette fine al linciaggio oggi duramente stigmatizzato dal questore Gian Maria Sertorio: «La deriva giustizialista è pericolosissima, le ronde non devono essere fatte in alcun modo, bisogna chiamare il 112 e aspettare le forze dell’ordine». Dello stesso avviso il comandante dei carabinieri della Valle d’Aosta, Livio Propato, che ribadisce un secco «no alle ronde e alla giustizia fai da te. Non bisogna lasciarsi prendere dalla violenza gratuita perché è un reato. E si passa dalla parte del torto. I controlli ci sono, i furti ci sono, ma noi tutti stiamo facendo ogni sforzo per uscire tutte le sere con più pattuglie e quella sera siamo subito intervenuti».
Già, peccato che, a quanto pare, tutto questo non basti. Negli ultimi mesi il Comune si era attrezzato di una cinquantina di telecamere per contrastare le incursioni dei ladri ma senza successo. «A livello psicologico è un periodo complicato», stempera il sindaco Alexandre Bertolin, «le forze dell’ordine fanno del loro meglio ma non si riesce a monitorare tutto. Abbiamo le telecamere ma al massimo riusciamo a vedere dopo il fatto come si sono mossi i ladri». E anche qualora si dovesse arrivare prima e si riuscisse a fermare il ladro, commentano i cittadini, tutto poi finisce in un nulla di fatto.
«Leggendo le cronache», si legge sempre nella lettera a Aostasera.it, «si apprende che il ladro fermato sarebbe incensurato. Temo che questo significhi pochi giorni di detenzione e una rapida scarcerazione. Tradotto: io resto l’unica vittima, con la casa a soqquadro, i ricordi rubati e la paura addosso; lui invece rischia di cavarsela con poco senza dover dire chi lo aiutava e dove sono finiti i nostri beni».
Un clima di esasperazione destinato ad aumentare ora che si scopre che nemmeno difendersi sarebbe legittimo. Intanto, per il ladro, accusato di furto e in carcere fino al processo che si terrà il 19 dicembre, la linea difensiva è già pronta . Quella di un cuoco con figli piccoli da mantenere e tanto bisogno di soldi. «Mi hanno mandato altri albanesi», dice. In attesa di vedere quale corso farà la giustizia, i cittadini ribadiscono che l’attesa inerme non funziona. «Quando la legge non riesce a proteggere chi subisce i reati, le persone, piaccia o no si organizzano da sole. Se vogliamo evitare che episodi come questo si ripetano non dovremmo essere stigmatizzati. Occorre dare alla comunità strumenti per sentirsi protette. Prima che la rabbia prenda il sopravvento». Non proprio la direzione in cui sembra andare ora l’Arma.
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«Little Disasters: L'errore di una madre» (Paramount+)
Sarah Vaughan è quella di Anatomia di uno scandalo, diventato poi miniserie Netflix. Ed è la stessa che pare averci preso gusto, con la narrazione televisiva. Giovedì 11 dicembre, tocca ad un altro romanzo della scrittrice debuttare come serie tv, non su Netflix, ma su Paramount+.
Little Disasters: L'errore di una madre non è un thriller e non ha granché delle vicissitudini, amorose e politiche, che hanno decretato il successo di Anatomia di uno scandalo. Il romanzo è riflessivo. Non pretende di spiegare, di inventare una storia che possa tenere chi legga con il fiato sospeso o indurlo a parteggiare per questa o quella parte, a indignarsi e commuoversi insieme ai suoi protagonisti. Little Disasters è la storia di un mestiere mai riconosciuto come tale, quello di madre. Non c'è retorica, però. Sarah Vaughan non sembra ambire a veder riconosciuto uno dei tanti sondaggi che alle madri del mondo assegnano uno stipendio, quantificando le ore spese nell'accudimento dei figli e della casa. Pare, piuttosto, intenzionata a sondare le profondità di un abisso che, spesso, rimane nascosto dietro sorrisi di facciata, dietro un contegno autoimposto, dietro una perfezione solo apparente.
Little Disastersè, dunque, la storia di Liz e di Jess, due amiche che sulla propria e personale concezione di maternità imbastiscono - loro malgrado - un conflitto insanabile. Jess, pediatra all'interno di un ospedale, è di turno al pronto soccorso, quando Liz si presenta con la sua bambina fra le braccia. Sembra non stare bene, per ragioni imperscrutabili ad occhio profano. Ma i primi esami rivelano altro: un'altra verità. La piccola ha una ferita alla testa, qualcosa che una madre non può non aver visto. Qualcosa che, forse, una madre può addirittura aver provocato. Così, sui referti di quella piccinina si apre la guerra, fatta di domande silenziose, di diffidenza, di dubbi. Jess comincia a pensare che, all'interno della famiglia di Liz, così bella a guardarla da fuori, possa nascondersi un mostro. Ipotizza che l'amica possa soffrire di depressione post partum, che la relazione tra lei e il marito possa essere violenta. Liz, da parte sua, non parla. Non dice. Non spiega come sia possibile non abbia visto quel bozzo sul crapino della bambina. E Little Disasters va avanti, con un finale piuttosto prevedibile, ma con la capacità altresì di raccontare la complessità della maternità, le difficoltà, i giudizi, la deprivazione del sonno, il peso di una solitudine che, a tratti, si rivela essere assordante.
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