2023-10-19
Pescatori spiati dall’Europa: obbligo di localizzazione e telecamere sulle barche
Strasburgo dà l’ok alla videosorveglianza dei pescherecci, che dovranno adeguarsi entro quattro anni e a proprie spese. Lega: «Lavoratori trattati da delinquenti».A Bruxelles Gesù di Nazareth non deve essere troppo simpatico: se lui ha moltiplicato i pani e i pesci l’Europa vieta il grano e blocca la pesca. È l’ultima cervellotica norma, sempre dettata dall’unica religione ammessa nell’Ue e cioè il delirio green, approvata dal Parlamento europeo. Con 438 voti favorevoli, 146 contrari e 40 astensioni, l’Eurocamera ha detto sì alle nuove misure per il controllo delle attività di pesca. A favore sono i verdi e la sinistra, compresi gli europarlamentari italiani dei rispettivi raggruppamenti, contro un pezzo consistenze di Ppe, tutto l’Ecr (i conservatori guidati da Giorgia Meloni) e i leghisti. Le nuove norme fanno salire a bordo il Grande Fratello: telecamere accese per controllare cosa e quanto si è pescato, transponder che segnala sempre la posizione del peschereccio. Tutte le barche europee dovranno annotare cosa hanno pescato e trasmettere i dati in digitale ogni giorni. Chi ha una barchetta - la cosiddetta piccola pesca - deve annotare quotidianamente il giornale delle catture, compilando la dichiarazione prima di attraccare e di scaricare anche fosse solo una bavosa che nessuno si mangia. Questa dichiarazione - e siamo all’assurdo - deve farla anche chi arma barche per la pesca ricreativa. Se si esce in mare per pescare e si piglia qualcosa o se si fa del pescaturismo bisogna dichiarare «le catture attraverso sistemi elettronici predisposti dalle autorità nazionali o dalla Commissione europea». La norma è fatta in modo che le maglie siano le più strette possibili (quelle di chi campa faticando il mare invece devono essere larghissime, a cominciare dal divieto della pesca a strascico) così se si ha un peschereccio dai 18 metri in su si dovrà avere a bordo perfino la televisione a circuito chiuso. Si hanno quattro anni per mettersi in regola, ma solo se si ha una barca al di sopra dei 18 metri, quelle della piccola pesca hanno tempo fino al 2030. Ma è abbastanza facile prevedere che allora a pescare non ci andrà più nessuno. Evidentemente all’Europarlamento si dimenticano in fretta ciò che dicono. Sostengono che non si può bloccare l’immigrazione clandestina perché il mare non ha frontiere. Appunto. Mentre i pescherecci registrati nell’Ue dovranno sottostare a queste regole cervellotiche, quelle degli altri paesi (nel Mediterraneo pescano tutti: algerini, tunisini, marocchini, turchi, egiziani, libanesi) hanno rotta libera e fanno manbassa. Ma l’Europa deve salvare l’ideologia green e nello spiegare questo regolamento afferma: «Si garantisce così ai consumatori la totale tracciabilità del pescato e si scongiura la depredazione della risorsa marina». Così si dà l’ultima botta alla pesca, almeno a quella italiana. E una ragione c’è. Nonostante importiamo circa l’80% del pesce che consumiamo, nonostante una drastica riduzione della flotta e delle imprese, la pesca in Italia è un settore centrale. Con 334.000 tonnellate di pescato e 1,4 miliardi di euro di fatturato nel 2020 (di cui il 66% generato dal comparto della pesca e il 34% da quello dell’acquacoltura), l’Italia è sesta per quantità e quarta per redditività, ma ha alcuni primati che danno fastidio soprattutto a Spagna, (non a caso la relatrice del regolamento è la socialista iberica Clara Aguilera), e ai paesi del Nord: l’Italia è il primo paese europeo per produzione di vongole veraci e di caviale (secondo al mondo dopo la Cina), il terzo per valore del pescato, il secondo per produzione di mitili, ed è responsabile del 34% della produzione comunitaria di storioni e del 17% di quella di trote iridee. Insomma peschiamo, ma produciamo moltissimo anche negli allevamenti. L’attacco frontale alla nostra pesca ha generato commenti durissimi da parte di alcuni europarlamentari. Raffaele Stancanelli - Ecr-Fratelli d’Italia - intervenendo in Aula ha affermato: «L’introduzione di tecnologie invasive come le telecamere è chiaramente in contrasto con la riservatezza aziendale, la privacy e i diritti dei lavoratori. Oltre a comportare anche ulteriori costi e oneri amministrativi per i nostri pescherecci. L’eliminazione del limite minimo per la registrazione delle catture che rischia di mettere in seria difficoltà i piccoli pescatori. Inoltre, imporre ulteriori obblighi in nome di un ambientalismo ideologico, porterà conseguenze negative per tutta la filiera ittica a favore di prodotti ittici importati da paesi che conducono attività di pesca tutt’altro che regolamentate e trasparente». L’eurodeputata della Lega Rosanna Conte aggiunge: «Sono addirittura riusciti a imporre l’obbligo di installare le telecamere a bordo. Perché fanno questo ai pescatori? Hanno dimostrato che il loro intento era infliggere l’ennesimo colpo per vessare la pesca».«Ci siamo battuti sin dall’inizio dei lavori contro l’installazione di telecamere a circuito chiuso sui pescherecci per video sorvegliare i pescatori come fossero delinquenti», le fa eco Annalisa Tardino, europarlamentare leghista, «Noi abbiamo votato contro questo accordo, e continueremo a fare sentire la nostra voce». Sulla questione interviene così Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale dell’Unci AgroAlimentare: «Nei Palazzi dell’Ue, dove prevale un pregiudizio ed una assoluta mancanza di rispetto nei confronti di migliaia di operatori, soltanto nel nostro Paese, e di tante attività, spesso di piccole dimensioni, che debbono affrontare e risolvere ogni giorno vari problemi per andare avanti».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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