2019-01-16
Per la sinistra il terrorista è Salvini
Il premio per la migliore fesseria va a Maurizio Martina che, commentando l'arresto di Cesare Battisti, se l'è presa con Matteo Salvini perché ha definito terrorista comunista l'ex militante dei Pac. «È un'opera di strumentalizzazione della storia», si è lagnato il segretario autoreggente del Pd, (...)(...) «perché le Brigate rosse ammazzarono anche Guido Rossa», che come è noto - lo spieghiamo per i più giovani - era iscritto al Pci. Il povero operaio dell'Italsider ucciso a Genova da un commando brigatista si deve essere rivoltato nella tomba perché, ancora una volta, per cercare di coprire i tentennamenti del Partito comunista di fronte al terrorismo, lo si tira in ballo a sproposito. Forse non tutti sanno che quel Pci che Martina e gli altri (ne parla anche Ezio Mauro su Repubblica) dipingono come un baluardo contro le Br, in realtà lasciò Guido Rossa solo, riappropriandosi delle sue spoglie soltanto dopo, quando un commando guidato da Riccardo Dura lo freddò mentre saliva in auto per recarsi al lavoro. Rossa era un rappresentante sindacale che faceva parte del Consiglio di fabbrica dell'Italsider di Genova. Un giorno trovò all'interno dello stabilimento i volantini delle Br e ci mise niente a scoprire chi fosse il postino.A questo punto chiese la convocazione del Consiglio di fabbrica per denunciare il terrorista, ma la discussione all'interno dell'organismo sindacale si concluse con una decisione degna di Ponzio Pilato. I compagni, in pratica, se ne lavarono le mani e così pure il sindacato e il partito. Risultato, Rossa, che era un uomo tutto d'un pezzo, denunciò il fiancheggiatore delle Br, lo fece arrestare e testimoniò contro di lui. La colonna brigatista genovese, quando seppe che ad aver consegnato alla giustizia il postino era stato l'operaio veneto, montanaro e comunista, lo condannò a morte. Forse il Pci e il sindacato, che all'epoca disponevano di imponenti apparati di sicurezza chiamati «servizio d'ordine», cioè di militanti che proteggevano i capi e vigilavano contro le provocazioni fasciste, avrebbero potuto mettere Rossa sotto sorveglianza. Oppure avrebbero potuto manifestare una qualche solidarietà all'operaio che aveva fatto il proprio dovere di cittadino onesto firmando la denuncia. Invece no, il Pci e il sindacato, lo scansarono. Forse perché un compagno che denuncia ai carabinieri un altro compagno, sebbene questi sia terrorista, non era cosa che si vedesse tutti i giorni. Forse perché erano troppo impegnati a denunciare le provocazioni fasciste delle Br.Sta di fatto che Rossa fu lasciato solo e questa è una realtà che a distanza di anni si preferisce ignorare per usare il suo nome nella battaglia politica. Ah, c'è un fatto che dimenticavo. Quando, settimane dopo, i carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa sgominarono il commando che aveva organizzato l'assassinio di Guido Rossa, nel covo genovese trovarono due sindacalisti, uno della Lancia di Chivasso e l'altro della Fiat di Torino. Compagni che sbagliavano, ovviamente. Quanto poi a Ezio Mauro, che scagliandosi contro Matteo Salvini ricorda che la lotta al terrorismo si fa tutti insieme, beh, forse dovrebbe ricordare che cosa scrivevano in quegli anni alcuni campioni di Repubblica e L'Espresso, tra i quali - per restare ai più noti - Umberto Eco e Giorgio Bocca. Glielo ricordo qui per comodità. Il primo, in un articolo sull'Espresso, si cimentò da semiologo con la prosa dei volantini di rivendicazione delle Br e ne concluse che era opera di un maresciallo dei carabinieri. E qualche tempo prima, invece, sottoscrisse una lettera al procuratore di Torino in difesa dei militanti di Lotta continua denunciati per istigazione a delinquere. Nel documento si poteva leggere: «Quando essi dicono “se è vero che i padroni sono ladri, è giusto andarci a riprendere quello che hanno rubato", noi lo diciamo con loro. Quando essi gridano “lotta di classe, armiamo le masse", lo gridiamo con loro. Quando essi si impegnano a “combattere un giorno con le armi in pugno contro lo Stato fino alla liberazione dai padroni e dallo sfruttamento", ci impegniamo con loro». Un raro esempio di lotta al terrorismo.L'altro, il grande inviato che veniva dalla Resistenza, ma che in principio si era cimentato su un giornale fascista, a proposito della sparatoria che vide protagonista Pier Luigi Torregiani e gli costò la vita (è uno degli omicidi per cui Cesare Battisti è stato condannato all'ergastolo) invece scrisse: «Anche questa è vita speciale da Porta Venezia (il quartiere di Milano, ndr), andare apposta in pizzeria, all'una di notte, dove ogni tanto arrivano rapinatori e ladri, andarci apposta con una pistola, guardaspalle armato, la figlia e le amiche ingioiellate e aspettare, trepidando, che una sera la porta a vetri del ristorante si spalanchi e appaia un qualche sciagurato. Ci siamo: bottiglie che volano, pistolettate. Davvero una bella serata milanese». Bocca ovviamente pubblicò anche l'indirizzo del gioielliere. Due settimane dopo Torregiani sarà ucciso dal commando dei Pac e il figlio Alberto finirà per sempre sulla sedia a rotelle. Ecco, all'epoca non tutti facevano la lotta al terrorismo. Semmai la facevano allo Stato e descrivevano i cittadini onesti come pistoleri. Dunque oggi, se non le scuse, sarebbe auspicabile un po' di pudore. Di certo non le lezioni.Ps. Quanto ad Adriano Sofri, che sul Foglio si è cimentato in un commento sul carcere applicato a Battisti, essendo egli stato condannato come mandante dell'omicidio di un commissario di polizia, forse sarebbe semplicemente meglio che tacesse.
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Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)