2020-05-03
Per le imprese niente aiuti e incentivi il premier mette soldi solo nei sussidi
Zero liquidità per chi produce nel decreto di maggio chiamato «aprile». Ben 44 norme di protezione al lavoro, tra cui il reddito d'emergenza. Chi incassa il Rdc potrà andare nei campi: costi tutti a carico degli agricoltori.Al momento esiste la bozza del decreto destinato a spendere una grande parte dei 55 miliardi di deficit, autorizzato il 30 aprile dal Parlamento. È solo una bozza e dunque il testo è destinato a cambiare. Ma a indicare quanto il governo si ostini a rinnegare la realtà basta soffermarsi sul titolo: siamo al 3 maggio ma il decreto continua a chiamarsi «aprile». Evidentemente, Giuseppe Conte sa che cambiare il nome alle cose spesso aiuta la propaganda. O almeno serve a confondere le acque. E per far mandare giù anche questo decreto agli italiani, soprattutto a chi produce e paga le tasse, servirà parecchia confusione. D'altronde, pur riconoscendo che nei prossimi giorni (il Cdm dovrebbe approvare il testo giovedì prossimo) potrebbero esserci dei miglioramenti, al momento di aiuti diretti alle aziende non se ne vedono. O meglio, su liquidità e incentivi per rimanere aperti siamo a zero. Al contrario, il decreto prevede un pacchetto di 44 norme per il sostegno ai redditi e la protezione del lavoro. Si va dal rinnovo delle misure già previste con il decreto Cura Italia, come Cig e cassa in deroga, all'introduzione del nuovo Rem, il reddito di emergenza. Previsti altri 15 giorni di congedi speciali e altri 600 euro di bonus babysitter. Cig, cassa straordinaria e cassa in deroga sono concesse per altre nove settimane (diventano 18 in tutto) che si possono richiedere fino al 31 ottobre. La richiesta di cassa ordinaria con la causale Covid va presentata entro la fine del mese cui si riferisce, anziché entro la fine del quarto mese successivo a quando è iniziata e si potrà chiedere per i lavoratori assunti fino al 25 marzo (nel Cura Italia la tutela era prevista per gli assunti fino al 23 febbraio). Una enorme massa di ammortizzatori, che il governo non ha però intenzione di elargire, lasciando la libertà ai privati di fare impresa secondo le norme tradizionali. Infatti, i giallorossi prevedono di proibire qualunque tipo di licenziamento fino a ottobre, esattamente il periodo di copertura della Cig. Non solo, gli imprenditori che hanno licenziato un dipendente dopo il 23 febbraio, se vogliono ottenere gli ammortizzatori, dovranno reintegrare il lavoratore. Anche in caso di licenziamento per giusta causa. Lungi da noi sponsorizzare i licenziamenti in un periodo come quello attuale. Ma non si può omettere il fatto che il governo stia usando l'emergenza per limitare le libertà personali e imprenditoriali. Il ricatto è: se vuoi gli aiuti cedi ai sindacati e alle nuove idee stataliste. Ecco, questo è un pericolo che non si può lasciar cadere, perché non sappiamo quanto tempo durerà la crisi da coronavirus. La nostra è una Repubblica basta sul lavoro e non sui sussidi. Eppure è l'ennesimo decreto che porta in questa direzione. Basti pensare che il reddito di emergenza, di cui abbiamo fatto cenno sopra, si sommerà, almeno in parte, al reddito di cittadinanza i cui paletti di accesso verranno ampliati con un articolo ad hoc nel decreto. Per quest'ultimo vengono stabilmente allargate le maglie alzando tutti i dati economici per l'accesso (Isee a 10.000 euro, patrimonio immobiliare a 50.000 euro e mobiliare a 8.000 euro). Quanto costerà alle casse dello Stato al momento non è dato sapere. Almeno il reddito di emergenza è previsto per soli tre mesi. Nel senso che avrà un costo limitato e si rischia meno che ricada sulle spalle delle aziende che a fine luglio saranno chiamate a pagare le tasse. A pagarle indipendentemente dal crollo di fatturato. Il fisco è infatti la grande incognita del decreto. Al momento non c'è traccia della proroga dei due anni per le cartelle dell'Agenzia delle entrate. Speriamo che il governo su questo mantenga la promessa perché recapitare 8,5 milioni di avvisi a giugno sarebbe un'ecatombe. Il decreto liquidità infatti non sta funzionando. Nonostante l'Abi sia intervenuta con una nuova circolare per sollecitare le banche a erogare prestiti, è il metodo a essere errato. Gli istituti corrono troppi rischi e le imprese sono restie a indebitarsi senza capire come potranno restituire il prestito. La Cgia di Mestre ha calcolato che fino al 30 aprile le banche hanno fatto pervenire al Fondo di garanzia del Mediocredito centrale 45.703 domande. Se si tiene conto che la platea delle imprese e dei liberi professionisti interessati per legge da questa misura è costituita da oltre 5.250.000 di attività, vuol dire che solo lo 0,9% ha fatto richiesta. Per la Cgia anche in Italia si dovrebbe seguire il modello della Germania dove governo federale e Länder tedeschi hanno erogato alle realtà con meno di 15 addetti fino a 15.000 euro a fondo perduto. Da noi i soldi restano una promessa e anche quando si possono fare scelte innovative si preferisce la strada asfissiante della burocrazia. Nel decreto in via di emissione si consente ai percettori di Rdc di andare a lavorare nei campi. Le aziende agricole non trovano manodopera e i raccolti non aspettano e allargare la platea della manodopera è una buona notizia. Peccato che il costo per le aziende agricole sarà lo stesso. Nessun incentivo per chi produce. Al contrario, chi ha il reddito potrà incassare fino a 2.000 euro pur rimanendo percettore. Una agevolazione non totale (farà comunque computo ai fini delle tasse) ma che lascia bene intendere le priorità di questo governo. Chi crea Pil è sempre ultimo.
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