2024-10-28
Per la sinistra la stampa è libera solo se fa il tifo per Kamala Harris
«Il Washington Post» non si schiera e in Italia si parla di Donald Trump che controlla i media.Secondo i compagni, il mancato endorsement del Washington Post a Kamala Harris sarebbe un segno del potere sui mezzi di comunicazione che Donald Trump avrebbe già cominciato a esercitare. «Inizia il controllo dei media», scrive La Stampa nel catenaccio dell’articolo firmato ieri da Annalisa Cuzzocrea. A pochi giorni dalle elezioni presidenziali, il tycoon - che non ha abolito la libertà di espressione nei quattro anni passati alla Casa Bianca dal 2016 al 2020 - sarebbe già in grado ora, con Joe Biden alla guida del Paese, di condizionare direttamente le linee editoriali dei quotidiani. Il commento del giornale torinese deriva dalla notizia che Jeff Bezos, proprietario, oltre che di Amazon, anche del Washington Post, avrebbe impedito all’editorial board del quotidiano di pubblicare l’endorsement già scritto per Kamala Harris. Questo dimostrerebbe «la fragilità di quelle che ci ostiniamo a considerare inossidabili democrazie. La permeabilità agli interessi degli oligarchi: Bezos come Musk. La pervasività del messaggio che Donald Trump sta diffondendo in tutti gli Stati Uniti». A supporto di questa tesi, che a parti invertite sarebbe stata probabilmente tacciata di complottismo, il giornale progressista menziona l’incontro avvenuto lo stesso giorno tra il candidato repubblicano e i dirigenti di Blue Origin, la compagnia aerospaziale del proprietario di Amazon.William Lewis, amministratore delegato della testata, ha giustificato la decisione descrivendola come un ritorno alle origini. Fino al 1976, quando lo stesso Washington Post svelò lo scandalo noto come Watergate, il quotidiano non aveva mai appoggiato esplicitamente alcun candidato, eccetto che Dwight Eisenhower nel 1952. Dopo l’impeachment di Richard Nixon sostenne Jimmy Carter e, da allora, si è quasi sempre schierato a favore dei candidati democratici. La linea editoriale, da quando nel 2013 è stato acquisito da Jeff Bezos, è stata ferocemente progressista, ma fino a oggi nessuno si è lamentato che il quotidiano fosse posseduto da uno degli uomini più ricchi del mondo. Come stanno i fatti, l’ha spiegato lo stesso Robert Kagan, editorialista del Post, il quale ha deciso di dimettersi in seguito all’ordine ricevuto dall’alto. Questi, conservatore ma ostile a Trump, ha parlato di «una sorta di inchino preventivo davanti a chi pensano sia il probabile vincitore delle elezioni». Eppure, per un quotidiano progressista - ma posseduto da una delle famiglie più ricche e potenti di Italia - non dovrebbe apparire così assurdo il fatto che gli editori, specialmente se grandi imprenditori, difendano i loro interessi. Lo spiegava chiaramente già un secolo fa Antonio Gramsci, nume tutelare della sinistra italiana. «I direttori e gli amministratori dei giornali borghesi», scriveva sull’Avanti nel 1916, «rassettano la loro vetrina, passano una mano di vernice sulla loro insegna e richiamano l’attenzione del passante (cioè del lettore) sulla loro merce. La merce è quel foglio a quattro o sei pagine che va ogni mattino od ogni sera a iniettare nello spirito del lettore le maniere di sentire e di giudicare i fatti dell’attuale politica, che convengono ai produttori e venditori di carta stampata». «Tutto ciò che stampa», continuava poco sotto, «è costantemente influenzato da un’idea: servire la classe dominante».Episodi del genere dovrebbero stupire un boccalone complottista di destra, non certo un acculturato intellettuale di sinistra. Ciononostante, 16 editorialisti del Washington Post hanno scritto un articolo per ribellarsi contro la scelta editoriale, evidenziando il loro impegno «nei confronti dei valori democratici, dello Stato di diritto e delle alleanze internazionali, e della minaccia che Trump rappresenta per loro». Una retorica che, oltre ad aver alimentato - per quanto indirettamente - il clima culturale all’origine degli attentati contro il candidato repubblicano, dimentica ancora una volta la realtà: The Donald è già stato alla Casa Bianca, ma la democrazia americana, con tutte le sue luci e tutte le sue ombre, è ancora lì.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.