2018-08-19
Per il suo docufilm il Bullo batte cassa manco fosse Messi. Ed è subito un flop
Una richiesta di 3 milioni dietro il no di Mediaset al progetto di raccontare la «sua» Firenze: oltre 10.000 euro al minuto.In questi giorni circola sui social una foto di Aldo Moro sulla spiaggia, nel pieno della calura estiva, vestito con abito completo, camicia e cravatta. La figlia racconta che il leader della Dc, ucciso dalle Br, spiegava che essendo un rappresentante del popolo italiano doveva essere sempre dignitoso e presentabile. Anche sotto il sole. Questa immagine mi è tornata in mente quando si è saputo che Matteo Renzi, ex premier, ex segretario del Pd e imperterrito aspirante statista, si sarebbe cimentato in una performance televisiva con riprese sotto il sole più aristocratico di piazza della Signoria e di piazza del Duomo a Firenze, opportunamente chiuse a turisti e fiorentini, passando dal renzismo all'albertoangelismo, assistito dal manager Lucio Presta. Uscito come premier dalla casa degli italiani, prova a usare la tv come cavallo di Troia per rientrarci. Matteo non riesce a star fermo e soprattutto non sopporta di restare ai margini del gioco, come dovrebbe essere per un senatore semplice, stante la qualifica che si è dato. Dunque la trovata è sembrata suggestiva, coerente con il personaggio ma molto meno con il ruolo politico che si è proposto di interpretare a dispetto degli italiani che lo hanno già messo due volte in panchina. Una trovata, quella della storia su Firenze raccontata dal suo ex sindaco, all'apparenza così appetibile che il re Mida Presta ha annusato il business. Magari s'è fatto prendere la mano, esagerando nelle proporzioni, se è vero, come ha riportato ieri La Stampa, che avrebbe chiesto fra i 2 e 3 milioni di euro per il pacchetto di 8 puntate del documentario offerto a Mediaset. Il Biscione però, nonostante i buoni rapporti mai nascosti di Renzi con il Cavaliere, avrebbe per ora congelato l'accordo. Troppi, tutti quei soldi, a giudizio di Mediaset, anche in considerazione del fatto che con ci sarebbe nemmeno la possibilità di vendere i diritti del docufilm all'estero. Va bene la comune, nostalgica condivisione del Nazareno, ma gli affari sono affari anche per il colosso tv. Secondo i calcoli di Lucio Presta, sovrastimati probabilmente dall'ammirazione verso il leader (il manager si era candidato, e poi ritirato, a sindaco di Cosenza nel 2016, appoggiato dal Pd) un minuto di parole pronunciate da Renzi in tv, varrebbe più di un minuto delle prestazioni di calciatori come Messi e Ronaldo con gol incorporato. Facciamo due conti. Il pluri pallone d'oro argentino, dall'ultimo rinnovo, a Barcellona guadagna 40 milioni: siccome ha giocato 54 partite, considerata la durata di 90' a gara, si può presumere che si sia messo in tasca 8.230 euro al minuto. Se Renzi e Presta chiedono 2,5 milioni di euro per 8 puntate, trasmesse in 2 serate, ipotizzando mezz'ora a puntata, il saldo arriva a 10.416 euro al minuto, spicciolo più spicciolo meno. Cifre da capogiro, che vorticano nella giostra dello showbiz. Ma, perdonate la banalità, la politica che c'azzecca con lo spettacolo? Matteo Renzi in squadra con Lorella Cuccarini e Belen: comici e soubrette, con tutto il rispetto, colleghi di chi si è presentato al popolo italiano per rivoluzionare la politica, cambiare il futuro di ciascuno di noi, promettendo meno tasse, più lavoro, una scuola e una giustizia migliore. Alla guida di un partito che discende da Palmiro Togliatti, Umberto Terracini, Pietro Ingrao ed Enrico Berlinguer, che nel dopoguerra ha mobilitato milioni di persone trascinate dal carisma, dall'illusione ma anche dalla fiducia in un mondo più giusto. A ciascuno il suo mestiere: Renzi si era scelto quello di cambiare l'Italia. Lo dice lui, di continuo. Certo, in un Paese nel quale le strategie della politica italiana vengono dettate da Beppe Grillo, in un Paese che manda in Parlamento nani e ballerine, compresa una pornostar, di che cosa possiamo ancora meravigliarci? E questo è anche vero, però torno sempre al punto di partenza: ve li immaginate un Moro, un Berlinguer, un Amintore Fanfani o perfino un Bettino Craxi, che diventano star tv? Se Renzi avesse deciso di fare un passo indietro, sospendendo le velleità politiche e tentando un'altra carriera professionale, visto che il contatto con il pubblico gli riesce (o gli riusciva) molto bene, sarebbe comprensibile. Ma siccome la serie tv sulla storia di Firenze, già abbastanza pubblicizzata in svariate salse, oltre ad apparire come un'operazione culturale è essenzialmente un'operazione politica, allora diventa una forzatura. Si intuisce che il documentario sulla città culla del Rinascimento, raccontato dal suo ex sindaco che già si era cimentato in un libro sul tema, intitolato Stil novo, la rivoluzione della bellezza fra Dante e Twitter, fa piuttosto parte di un piano per rispolverare l'immagine annebbiata dell'ex premier e riproporla sullo stomaco già appesantito degli italiani. Per far questo Renzi torna da dove era partito, cioè a Firenze e dall'idea della sua bellezza universale, quando diceva che fare il sindaco qui era il mestiere più bello del mondo; prova a ripercorrere la strada che lo ha portato rapidamente al vertice dello Stato, ma è molto difficile che l'impresa gli riesca una seconda volta. Gli italiani ora conoscono il gioco e lui non ha avuto la forza di modificarlo. L'operazione di showbiz Renzi-Presta è un'altra spallata alla credibilità politica del renzismo, un nuovo punto di distacco fra il leader e la realtà del Paese; fra l'uomo del «senza di me non siete nessuno» e quello che, non si sa ancora per quanto, rappresenta il suo partito. Un altro errore.
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
(Guardia di Finanza)
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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Viktor Orbán e Giorgia Meloni a Roma (Ansa)