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2018-10-03
Per i vigili bolognesi corsi di antirazzismo. Musulmani e sinti salgono in cattedra
ANSA
Quali sono le caratteristiche necessarie per essere un buon vigile urbano? La conoscenza di leggi e regolamenti, l'onestà, il buon senso. Il Comune di Bologna, tuttavia, ritiene che ci sia un'altra competenza fondamentale: l'antirazzismo. Come scovare i divieti di sosta o combattere la microcriminalità se non si conoscono a menadito tutte le sfaccettature della fantastica convivenza multiculturale?
I vigili urbani felsinei, quindi, dovranno andare a scuola di tolleranza. Fra i docenti, invece, una serie di figure tipiche della Bologna «accogliente», fra cui ci piace segnalare sin da subito il numero uno dell'associazione sinti italiani di Bologna, Luigi Chiesi. Sì, avete capito bene: le forze dell'ordine prenderanno lezioni dal capo dei nomadi. Il quale, personalmente, sarà sicuramente un esempio di probità, ma certo ad orecchie non del tutto formattate dalla retorica buonista la cosa continua a sembrare piuttosto strana.
Stiamo ai fatti: il Comune ha affidato all'associazione Eos, al modico prezzo di 5000 euro, un progetto della durata di un anno, nel cui ambito si terranno laboratori e seminari per dirigenti e funzionari della polizia municipale di Bologna. L'argomento è appunto l'antirazzismo. Si comincia nel corso di questo mese, si finisce a settembre 2019.
Il progetto della onlus fissa una serie di obiettivi, come quello di «riconoscere l'importanza dell'agire di polizia sulla base del rispetto dei diritti umani» o di «comprendere la rilevanza dell'agire non discriminatorio per il rispetto delle persone a rischio, dello scopo di favorire la coesione sociale, di soluzione dei conflitti e della polizia municipale».
I vigili urbani saranno tenuti a riflettere su temi come il «peso di stereotipi e pregiudizi e il peso del sistema di discriminazione istituzionale», ma anche sul arispetto dei diritti umani in polizia e degli obblighi etici e professionali di non discriminare all'interno e all'esterno della polizia e di promuovere le pari opportunità». Si parlerà poi di «come alcune comunità percepiscono ruolo e funzione dei servizi di polizia, e viceversa». Insomma, i vigili urbani saranno chiamati a rivedere il proprio operato sulla base di come la comunità magrebina o quella rom vedono le divise. Ne vedremo delle belle.
Veniamo ora ai docenti. C'è il già citato Chiesi. In un'intervista rilasciata nel 2015 e reperibile on line, l'esponente della comunità sinti cercava di fare chiarezza sugli «stereotipi» che gravano sul suo popolo.
Alla domanda sui furti che vedono spesso i nomadi protagonisti, Chiesi rispondeva: «Beh, anche tra i sinti, come in tutti i popoli, ci sono i ladri, ci sono i disonesti, ci sono quelli che vivono di espedienti… Dipende dalle esigenze, se uno è povero e rischia di morire di fame va a rubare». Beh, non è che sia così ovvio, veramente. Ma andiamo avanti. Alla domanda sul perché spesso i nomadi non mandano i figli a scuola, il rappresentante della comunità replicava: «Molti bambini rom e sinti vanno a scuola, ma dipende anche dalla realtà che spesso i sinti si trovano a vivere a scuola, una realtà fatta di discriminazione». Insomma, loro vorrebbero proprio mandare i figli a scuola, ma per colpa delle discriminazioni razziste, poi alla fine talvolta non lo fanno. Chissà se saranno questi i temi delle lezioni che Chiesi terrà ai vigili urbani...
In cattedra salirà anche anche il presidente dell'Ucoii e della comunità islamica bolognese, Yassine Lafram. I lettori della Verità hanno già incontrato questo nome lo scorso agosto, quando su queste colonne raccontammo di come il Comune di Bologna, da anni, dia in affitto un immobile alla comunità islamica cittadina con uno sconto del 91,3% (4.000 euro all'anno invece di 46.000).
Non solo: la giunta ha deliberato che i musulmani possano godere per 99 anni del diritto di superficie del terreno su cui sorge il loro centro, smettendo di pagare anche il poco di affitto che versano ora, con in più la possibilità di svolgere nuovi interventi di edilizia su una superficie di 7.000 metri cubi. Ritenendo che tutto questo fosse ancora poco, il Comune di Bologna, per non essere tacciato forse di islamofobia, ha deciso anche di mettere dare agli esponenti della comunità musulmana cittadina il compito di rendere edotti i vigili urbani locali della necessità di un approccio più dialogante con i fedeli dell'islam.
E con i buddisti? A loro possiamo fare la multa anche se parcheggiano nei posti appositi? E gli induisti? I cristiani ortodossi? Gli hare krishna? E i poveri atei, possono forse essere insultati dalle forze dell'ordine? Per non parlare dei cattolici. Lo si capisce bene, questo è un piano inclinato da cui non si riesce a risalire. I pubblici ufficiali, molto semplicemente dovrebbero trattare tutti allo stesso modo. Per esempio punendo chi non manda i figli a scuola, di qualsiasi etnia egli sia. Nonostante le «discriminazioni».
Adriano Scianca
Calano gli sbarchi: business in pericolo al Cara di Mineo
Il Cara di Mineo non deve chiudere. E non deve neanche alleggerire l'organico, cosa che sta accadendo con la nuova gestione della struttura. E così, lunedì i lavoratori, spalleggiati dai sindacati, sono scesi sul piede di guerra.
Dei 298 lavoratori del Centro di accoglienza per richiedenti asilo siciliano, ne sono stati richiamati solo 120. Tanto è bastato per far scattare l'agitazione. In questo primo ottobre, cambiano le società che devono gestire il Cara. Il 1° ottobre, infatti, il consorzio Nuova Cara Mineo, che gestisce la struttura dal 1° ottobre 2014, ha ceduto il testimone ad un nuovo raggruppamento di imprese. Nel frattempo, però, la struttura ha sempre meno ospiti in conseguenza del calo degli arrivi. Ed ecco che un centinaio di lavoratori potrebbero perdere il posto. Da qui la protesta, con i manifestanti ricevuti in prefettura per cercare una mediazione con le aziende e per chiedere al governo nazionale di intervenire sul territorio.
Ritrovarsi in mezzo a una strada non è mai piacevole, ovviamente. Stupisce, tuttavia, che i sindacati trattino le vicende del Cara come se parlassimo di una normale crisi aziendale. Se la Fiat licenzia e si mette a tavolino coi sindacati, l'obiettivo che tutti vogliono raggiungere è quello di far vendere all'azienda più auto, in modo che non occorrano più tagli.
Per una struttura creata per far fronte all'emergenza migratoria non accade esattamente la stessa cosa, a meno che non si voglia pensare che all'Italia servano più sbarchi per far sì che le strutture dell'accoglienza lavorino a pieno ritmo. È evidente che un ragionamento di questo tipo certifica l'esistenza di un vero business dell'accoglienza che lavora in favore dell'invasione per mero calcolo economico. Tanto più che la struttura siciliana è tutt'altro che un esempio di oculata amministrazione.
Il centro d'accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, comune di 5.080 abitanti in provincia di Catania, è composto da 400 villette a schiera identificate ognuna con un numero. Le strutture avrebbero dovuto ospitare i militari della base americana di Sigonella.
Nel 2011, per decisione dell'allora ministro degli Interni Roberto Maroni, divenne uno dei centri per richiedenti asilo più grandi d'Europa. In questi anni, al Cara si sono verificate varie rivolte, oltre agli scandali sulla gestione della struttura, che hanno anche incrociato la cronaca dell'inchiesta Mafia capitale, senza farsi mancare anche una parentopoli.
Nel 2015, un giovane ivoriano fuggito dal centro d'accoglienza irruppe in una villetta a Palagonia, non lontano da Mineo, uccidendo i due proprietari in modo brutale, non prima di aver violentato la padrona di casa.
Insomma, a Mineo c'è un vero e proprio spaccato di tutto ciò che non va nel sistema dell'accoglienza, compresa una sorta di suk a cielo aperto organizzato dagli immigrati stessi senza alcuna regola o controllo.
Per tutte queste ragioni, un cambiamento nella gestione, economica e politica, del Cara appare francamente dovuto.
Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, che il primo maggio del 2017, quando non era ancora al governo, vi si fermò persino a dormire, ha più volte dichiarato la sua intenzione di chiudere la struttura. Business dell'accoglienza permettendo, ovviamente.
Fabrizio La Rocca
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Il Comune avvia un progetto di un anno per spiegare l'importanza della tolleranza nelle operazioni di polizia. Fra i docenti, invece, una serie di figure tipiche della Bologna «accogliente», fra cui ci piace segnalare sin da subito il numero uno dell'associazione sinti italiani di Bologna, Luigi Chiesi.Dei 298 lavoratori del centro siciliano, solo 120 sono stati richiamati dopo il cambio gestione. Proteste da parte dei sindacati.Lo speciale contiene due articoliQuali sono le caratteristiche necessarie per essere un buon vigile urbano? La conoscenza di leggi e regolamenti, l'onestà, il buon senso. Il Comune di Bologna, tuttavia, ritiene che ci sia un'altra competenza fondamentale: l'antirazzismo. Come scovare i divieti di sosta o combattere la microcriminalità se non si conoscono a menadito tutte le sfaccettature della fantastica convivenza multiculturale?I vigili urbani felsinei, quindi, dovranno andare a scuola di tolleranza. Fra i docenti, invece, una serie di figure tipiche della Bologna «accogliente», fra cui ci piace segnalare sin da subito il numero uno dell'associazione sinti italiani di Bologna, Luigi Chiesi. Sì, avete capito bene: le forze dell'ordine prenderanno lezioni dal capo dei nomadi. Il quale, personalmente, sarà sicuramente un esempio di probità, ma certo ad orecchie non del tutto formattate dalla retorica buonista la cosa continua a sembrare piuttosto strana.Stiamo ai fatti: il Comune ha affidato all'associazione Eos, al modico prezzo di 5000 euro, un progetto della durata di un anno, nel cui ambito si terranno laboratori e seminari per dirigenti e funzionari della polizia municipale di Bologna. L'argomento è appunto l'antirazzismo. Si comincia nel corso di questo mese, si finisce a settembre 2019. Il progetto della onlus fissa una serie di obiettivi, come quello di «riconoscere l'importanza dell'agire di polizia sulla base del rispetto dei diritti umani» o di «comprendere la rilevanza dell'agire non discriminatorio per il rispetto delle persone a rischio, dello scopo di favorire la coesione sociale, di soluzione dei conflitti e della polizia municipale». I vigili urbani saranno tenuti a riflettere su temi come il «peso di stereotipi e pregiudizi e il peso del sistema di discriminazione istituzionale», ma anche sul arispetto dei diritti umani in polizia e degli obblighi etici e professionali di non discriminare all'interno e all'esterno della polizia e di promuovere le pari opportunità». Si parlerà poi di «come alcune comunità percepiscono ruolo e funzione dei servizi di polizia, e viceversa». Insomma, i vigili urbani saranno chiamati a rivedere il proprio operato sulla base di come la comunità magrebina o quella rom vedono le divise. Ne vedremo delle belle.Veniamo ora ai docenti. C'è il già citato Chiesi. In un'intervista rilasciata nel 2015 e reperibile on line, l'esponente della comunità sinti cercava di fare chiarezza sugli «stereotipi» che gravano sul suo popolo. Alla domanda sui furti che vedono spesso i nomadi protagonisti, Chiesi rispondeva: «Beh, anche tra i sinti, come in tutti i popoli, ci sono i ladri, ci sono i disonesti, ci sono quelli che vivono di espedienti… Dipende dalle esigenze, se uno è povero e rischia di morire di fame va a rubare». Beh, non è che sia così ovvio, veramente. Ma andiamo avanti. Alla domanda sul perché spesso i nomadi non mandano i figli a scuola, il rappresentante della comunità replicava: «Molti bambini rom e sinti vanno a scuola, ma dipende anche dalla realtà che spesso i sinti si trovano a vivere a scuola, una realtà fatta di discriminazione». Insomma, loro vorrebbero proprio mandare i figli a scuola, ma per colpa delle discriminazioni razziste, poi alla fine talvolta non lo fanno. Chissà se saranno questi i temi delle lezioni che Chiesi terrà ai vigili urbani...In cattedra salirà anche anche il presidente dell'Ucoii e della comunità islamica bolognese, Yassine Lafram. I lettori della Verità hanno già incontrato questo nome lo scorso agosto, quando su queste colonne raccontammo di come il Comune di Bologna, da anni, dia in affitto un immobile alla comunità islamica cittadina con uno sconto del 91,3% (4.000 euro all'anno invece di 46.000). Non solo: la giunta ha deliberato che i musulmani possano godere per 99 anni del diritto di superficie del terreno su cui sorge il loro centro, smettendo di pagare anche il poco di affitto che versano ora, con in più la possibilità di svolgere nuovi interventi di edilizia su una superficie di 7.000 metri cubi. Ritenendo che tutto questo fosse ancora poco, il Comune di Bologna, per non essere tacciato forse di islamofobia, ha deciso anche di mettere dare agli esponenti della comunità musulmana cittadina il compito di rendere edotti i vigili urbani locali della necessità di un approccio più dialogante con i fedeli dell'islam. E con i buddisti? A loro possiamo fare la multa anche se parcheggiano nei posti appositi? E gli induisti? I cristiani ortodossi? Gli hare krishna? E i poveri atei, possono forse essere insultati dalle forze dell'ordine? Per non parlare dei cattolici. Lo si capisce bene, questo è un piano inclinato da cui non si riesce a risalire. I pubblici ufficiali, molto semplicemente dovrebbero trattare tutti allo stesso modo. Per esempio punendo chi non manda i figli a scuola, di qualsiasi etnia egli sia. Nonostante le «discriminazioni». 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Il 1° ottobre, infatti, il consorzio Nuova Cara Mineo, che gestisce la struttura dal 1° ottobre 2014, ha ceduto il testimone ad un nuovo raggruppamento di imprese. Nel frattempo, però, la struttura ha sempre meno ospiti in conseguenza del calo degli arrivi. Ed ecco che un centinaio di lavoratori potrebbero perdere il posto. Da qui la protesta, con i manifestanti ricevuti in prefettura per cercare una mediazione con le aziende e per chiedere al governo nazionale di intervenire sul territorio. Ritrovarsi in mezzo a una strada non è mai piacevole, ovviamente. Stupisce, tuttavia, che i sindacati trattino le vicende del Cara come se parlassimo di una normale crisi aziendale. Se la Fiat licenzia e si mette a tavolino coi sindacati, l'obiettivo che tutti vogliono raggiungere è quello di far vendere all'azienda più auto, in modo che non occorrano più tagli. Per una struttura creata per far fronte all'emergenza migratoria non accade esattamente la stessa cosa, a meno che non si voglia pensare che all'Italia servano più sbarchi per far sì che le strutture dell'accoglienza lavorino a pieno ritmo. È evidente che un ragionamento di questo tipo certifica l'esistenza di un vero business dell'accoglienza che lavora in favore dell'invasione per mero calcolo economico. Tanto più che la struttura siciliana è tutt'altro che un esempio di oculata amministrazione. Il centro d'accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, comune di 5.080 abitanti in provincia di Catania, è composto da 400 villette a schiera identificate ognuna con un numero. Le strutture avrebbero dovuto ospitare i militari della base americana di Sigonella. Nel 2011, per decisione dell'allora ministro degli Interni Roberto Maroni, divenne uno dei centri per richiedenti asilo più grandi d'Europa. In questi anni, al Cara si sono verificate varie rivolte, oltre agli scandali sulla gestione della struttura, che hanno anche incrociato la cronaca dell'inchiesta Mafia capitale, senza farsi mancare anche una parentopoli. Nel 2015, un giovane ivoriano fuggito dal centro d'accoglienza irruppe in una villetta a Palagonia, non lontano da Mineo, uccidendo i due proprietari in modo brutale, non prima di aver violentato la padrona di casa. Insomma, a Mineo c'è un vero e proprio spaccato di tutto ciò che non va nel sistema dell'accoglienza, compresa una sorta di suk a cielo aperto organizzato dagli immigrati stessi senza alcuna regola o controllo. Per tutte queste ragioni, un cambiamento nella gestione, economica e politica, del Cara appare francamente dovuto. Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, che il primo maggio del 2017, quando non era ancora al governo, vi si fermò persino a dormire, ha più volte dichiarato la sua intenzione di chiudere la struttura. Business dell'accoglienza permettendo, ovviamente. Fabrizio La Rocca
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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