2020-05-21
Per Ermini dare le notizie vuol dire organizzare complotti
David Ermini (Archivio Massimo Di Vita:Mondadori Portfolio via Getty Images)
«L'urgenza della questione morale impone una riflessione», dice il vicepresidente del Csm, David Ermini, al Corriere della Sera. Ma se provate a scoperchiare il pentolone del Consiglio superiore della magistratura dove, leggendo gli atti dell'inchiesta condotta dalla Procura di Perugia, si scopre che ribollono correnti, traffici e raccomandazioni, non è per esigenze di straordinaria pulizia, cioè per porre l'urgente questione morale, ma per colpire lo stesso Ermini.Sì, l'uomo che il Pd scelse come numero due dell'organo di autogoverno della magistratura e che oggi ammette di essere stato eletto a Palazzo dei Marescialli solo grazie a un accordo fra le correnti, nel momento in cui escono le intercettazioni che lo riguardano dice che chi lo attacca ha nel mirino lo stesso Csm. Invece di rispondere nel merito, di spiegare come sia possibile che il parlamentino delle toghe, da baluardo dell'autonomia di pm e giudici, si sia trasformato in un nominificio controllato dalle correnti, Ermini si inventa un complotto. «Si vuole screditare me per delegittimare l'istituzione, ed è un tentativo tuttora in atto». Al vicepresidente sfugge naturalmente che, se questo tentativo esistesse davvero, a metterlo in atto sarebbero gli stessi magistrati. Non quelli che siedono nel Consiglio e che spesso si danno da fare per piazzare questo o quell'amico di corrente ai vertici di un ufficio giudiziario, ma a muovere la losca manovra sarebbero quelle toghe che a Perugia hanno prima disposto le intercettazioni sul telefono di Luca Palamara, il boss di Unicost, e poi - udite udite - le hanno depositate agli atti del procedimento in corso.Eh, già. Ermini, pur essendo nato avvocato, pare dimenticare che i «dialoghi del tutto irrilevanti» che lo riguardano - tipo quelli relativi al suo consigliere giuridico o «la risibile vicenda di un discorso che si sarebbe fatto scrivere da Palamara» - non li hanno captati i giornalisti della Verità e nemmeno qualche avversario politico. No, sono stati i magistrati del capoluogo umbro a disporre le intercettazioni mettendo un trojan, cioè una specie di microspia, nel cellulare di Palamara. E sempre i pubblici ministeri hanno ordinato la trascrizione delle conversazioni, che poi sono state allegate agli atti. Dunque, visto che al signor vicepresidente pare evidente «che si tratti di una manovra», Ermini non ha altro da fare che prendersela con i pm. Invece di dichiarare al Corriere di non conoscere gli ispiratori dell'oscuro disegno, visto che sta ogni giorno in mezzo alle toghe, l'ex responsabile del Pd per le questioni di giustizia dovrebbe correre di corsa in Procura. Se il complotto esiste, egli non dovrebbe far altro che presentare una denuncia per attentato a un organo costituzionale perché, come prevede il codice, se qualcuno trama nell'ombra per delegittimare un'istituzione repubblicana o addirittura punta a impedirne il funzionamento, condizionandola fino ad avere come obiettivo di farla cadere, gli strumenti per impedire che l'operazione abbia corso esistono e non consistono nelle interviste ai giornali.Sì, Ermini dice di essere un ostacolo ai gruppi di potere che intendevano condizionarlo e di essersi sottratto alle pressioni e dunque ora contro di lui verrebbero messi in giro chiacchiere e pettegolezzi. Ma il suo pensiero debole lo affida non a un magistrato, ma a un giornalista. Che, con tutto il rispetto per il collega del Corriere della Sera, non ha ancora alcun potere di impedire un attacco agli organi costituzionali. L'avvocato di Figline Valdarno salito ai vertici delle istituzioni grazie a Renzi, ricorda di essersi schierato a tutela dei magistrati e della loro professionalità, criticando le telefonate e le raccomandazioni, ma soprattutto le pressioni delle correnti. E poi, quando un giornale come La Verità, nel silenzio generale, pubblica gli atti giudiziari, che fa? Invece di elogiare la libertà di stampa, difendere il diritto dei cittadini a essere informati e ancor di più il dovere della magistratura di essere aliena da logiche politiche e spartitorie, sostiene di essere vittima di un complotto, finito nel mirino per essere divenuto «ostacolo» di quello stesso gruppo che lo ha eletto. Cioè, Ermini parlava con Luca Lotti e compagni, ma è colpa nostra se qualcuno lo ha intercettato e poi ha trascritto, depositandole, le conversazioni. Il problema non sta tanto nelle minacce di querela contro chi fa semplicemente il mestiere di informare. Il problema è che il danno vero al Csm lo fanno difese tanto grottesche da gettare discredito perfino nell'istituzione che si vicepresiede.