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2018-09-10
Gli iscritti alla pensione integrativa sono ormai 8,3 milioni. Guida ai fondi più redditizi
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Pensione. Già di questi tempi avere quella pubblica potrebbe già essere un miracolo. Ma sono sempre di più le persone che si iscrivono a una forma di pensione complementare. Il motivo è ovvio: investire nella previdenza privata permette di migliorare il proprio tenore di vita quando si smetterà di lavorare e, inoltre, si tratta di un investimento «scaricabile» dalla dichiarazione dei redditi. A fine 2017 il numero complessivo di iscritti a forme pensionistiche complementari, incluse le duplicazioni relative a coloro che aderiscono contemporaneamente a più forme, è di 8,3 milioni; al netto delle uscite, la crescita dall'inizio dell'anno è stata di 554 .000 unità ( 7,1%). Nei fondi negoziali si sono registrate 208.000 iscrizioni in più (8%) rispetto al 2016, portando il totale a fine anno a 2,805 milioni. L'incremento è stato determinato dall'avvio del meccanismo di adesione contrattuale in quattro fondi (il fondo rivolto ai lavoratori del settore autostrade, il fondo destinato ai dipendenti delle aziende del gruppo Ferrovie dello Stato, il fondo con destinatari gli autoferrotranvieri e, con modalità peculiari, il fondo territoriale del Veneto) e dall'entrata a regime dell'adesione contrattuale per i lavoratori del settore edile. Anche senza considerare i fondi interessati dalle adesioni contrattuali, la crescita netta delle iscrizioni rimane positiva. Nelle forme pensionistiche di mercato offerte da intermediari finanziari, i fondi aperti totalizzano 1,374 milioni di iscritti, crescendo di 115.000 unità (9,2%) rispetto al 2016. Nei PIP "nuovi" il totale degli iscritti è di 3,103 milioni; l'incremento netto è stato di 233.000 unità (8,1%). I fortunati, dunque, che possono permettersi una pensione privata devono però capire come investire al meglio il proprio denaro. Anche perché il tipo di investimento scelto – soprattutto se si tratta di un'operazione della durata di 20 o 30 anni – potrebbe fare la differenza. Su questo, può venire in aiuto agli investitori della previdenza complementare il Quinto Report di Itinerari Previdenziali dal titolo «Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l'anno 2017». L'indagine spiega per filo e per segno quanto hanno reso le varie forma di previdenza complementare negli anni.
Nel 2017 i rendimenti complessivi per singola tipologia di investitore, si sono mantenuti stabili rispetto al biennio 2015/16 con variazioni decimali; Il problema è che questi valori si sono mostrati decisamente in calo rispetto al 2014 e agli anni precedenti.
Relativamente ai fondi pensione, secondo i dati diffusi dall'indagine, ad avere la peggio sono stati i fondi pensione che investono nel settore obbligazionario o in quello misto (che cioè puntano su azioni e reddito fisso), oppure quelli che offrono rendimenti garantiti e che, alla fine hanno reso meno dell'obiettivo prefissato.
Ma, vediamo i numero in dettaglio. In effetti il 2016 si era chiuso con una media quinquennale del pil pari allo 0,514%, un'inflazione allo 0,1% e un tfr al netto della tassazione che rendeva l'1,5%. Nel 2017, gli stessi indici si sono attestati rispettivamente allo 0,431% per il pil a 5 anni (contribuiscono alla media i pil negativi del 2012: –1,48% e 2013 –0,54%), 1,2% per l'inflazione e a 1,70% per il tfr. Insomma, chi ha scelto la rivalutazione del tfr non è riuscito a superare il 2% di rendimento.
È andata meglio a chi ha scelto i piani di investimento pensionistico «nuovi», quelli cioè nati dopo la riforma sulle pensioni complementari. Chi ha puntato su questi prodotti nel 2017 ha ottenuto un rendimento medio del 2,2%. Più in dettaglio, chi ha investito sull'azionario puro ha ottenuto il 3,2%, sulle unit linked il 2,2% e 2,3% per chi ha puntato su investimenti bilanciati. Al contrario, chi ha scelto l'obbligazionario ha perso lo 0,7%.
Meglio ancora i fondi pensione aperti, che in media hanno offerto il 3,3%. Merito dei prodotti che hanno scelto una linea azionaria: in un anno hanno ottenuto il 7,2%. Le linee più bilanciate il 3,7%, mentre le linee obbligazionarie e quelle garantite si sono mosse tutte intorno allo 0%.
Bene anche i fondi pensione negoziali, che nel 2017 hanno reso in media il 2,6% annuo. Anche in questo caso l'azionario l'ha fatta da padrone con un risultato del 5,9%. Chi ha scelto la strada più prudente di una linea bilanciata ha, invece, ottenuto il 3,1%, risultato seguito dall'obbligazionario misto (sovrano e societario) con il 2,6%. Anche in questo caso, obbligazionario e linee garantite non hanno fatto felici gli investitori.
Con questi numeri, il verdetto è chiaro. Chi vuole ottenere il meglio dalla propria pensione complementare deve puntare sull'azionario o su una linea bilanciata, soluzione quest'ultima meno redditizia, ma che permette di dormire sonni più tranquilli.
INFOGRAFICA
Intesa sul podio delle iscrizioni. Seguono Arca previdenza e le Bcc
I fondi pensione aperti sono la forma previdenziale complementare più comune per chi non appartiene a determinate categorie di lavoratori che ne possiedono uno proprio. Secondo il quinto rapporto di Itinerari previdenziali sulla previdenza complementare
Il numero dei fondi pensione aperti operativi a fine 2017 ammonta a 43, esattamente come nel 2016; questi fondi sono stati istituiti da 35 società, e a fine 2017 contavano 1.343.159 iscritti, in crescita del 9,2% rispetto all'anno precedente (quando erano 1.229.970).
Nonostante l'incremento delle adesioni, lo studio rileva che il 40% delle posizioni non sono alimentate da versamenti contributivi. In parole povere, aumentano le persone che si iscrivono, ma non quelle che pagano.
Sono i lavoratori autonomi quelli che fanno registrare una maggiore incidenza del fenomeno: il 49% circa non ha infatti versato contributi nel 2017; risulta invece minore ma comunque significativa la quota di lavoratori dipendenti che non versa, attestandosi al 28% circa.
Le adesioni collettive, realizzate soprattutto nelle piccole e medie imprese, rappresentano circa il 15% del totale degli iscritti ai fondi aperti e sono rimaste sostanzialmente stabili rispetto allo scorso anno.
Dando uno sguardo ai principali gruppi che offrono questo genere di strumenti, si nota come il gruppo Intesa Sanpaolo, con 420.982 adesioni, rappresenta oltre un terzo del mercato. In particolare il prodotto «Il mio domani» ha 326.661 sul totale italiano di 1.128.887 iscritti.
In seconda posizione c'è Arca previdenza con 183.453 iscritti. Seguono la Bcc Risparmio e Previdenza Sgr (con 95.389) e il gruppo Axa (con 87.024 adesioni), primo tra i grandi nomi del mercato assicurativo.
Segue poco più in là il gruppo Allianz (85.713 iscritti) e, solo in sesta posizione, il gruppo Generali con 64.053 iscritti. Continua Itas Vita (61.400) e Anima (46.784 adesioni). In ottava e nona posizione il gruppo Unipol (42.543 iscritti) e Azimut Capital Management Sgr (41.546).
Gianluca Baldini
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Il numero complessivo di iscritti a forme pensionistiche complementari, incluse le duplicazioni relative a coloro che aderiscono contemporaneamente a più forme, è di 8,3 milioni; al netto delle uscite, la crescita dall'inizio dell'anno è stata di 554 .000 unità ( 7,1%). Chi vuole ottenere il meglio dalla propria pensione complementare deve puntare sull'azionario o su una linea bilanciata, soluzione quest'ultima meno redditizia, ma che permette di dormire sonni più tranquilli.Nella classifica di chi fornisce i servizi integrativi spicca Intesa che da sola rappresenta un terzo delle quote di mercato. Seguono Arca previdenza e le Bcc.Lo speciale contiene due articoliPensione. Già di questi tempi avere quella pubblica potrebbe già essere un miracolo. Ma sono sempre di più le persone che si iscrivono a una forma di pensione complementare. Il motivo è ovvio: investire nella previdenza privata permette di migliorare il proprio tenore di vita quando si smetterà di lavorare e, inoltre, si tratta di un investimento «scaricabile» dalla dichiarazione dei redditi. A fine 2017 il numero complessivo di iscritti a forme pensionistiche complementari, incluse le duplicazioni relative a coloro che aderiscono contemporaneamente a più forme, è di 8,3 milioni; al netto delle uscite, la crescita dall'inizio dell'anno è stata di 554 .000 unità ( 7,1%). Nei fondi negoziali si sono registrate 208.000 iscrizioni in più (8%) rispetto al 2016, portando il totale a fine anno a 2,805 milioni. L'incremento è stato determinato dall'avvio del meccanismo di adesione contrattuale in quattro fondi (il fondo rivolto ai lavoratori del settore autostrade, il fondo destinato ai dipendenti delle aziende del gruppo Ferrovie dello Stato, il fondo con destinatari gli autoferrotranvieri e, con modalità peculiari, il fondo territoriale del Veneto) e dall'entrata a regime dell'adesione contrattuale per i lavoratori del settore edile. Anche senza considerare i fondi interessati dalle adesioni contrattuali, la crescita netta delle iscrizioni rimane positiva. Nelle forme pensionistiche di mercato offerte da intermediari finanziari, i fondi aperti totalizzano 1,374 milioni di iscritti, crescendo di 115.000 unità (9,2%) rispetto al 2016. Nei PIP "nuovi" il totale degli iscritti è di 3,103 milioni; l'incremento netto è stato di 233.000 unità (8,1%). I fortunati, dunque, che possono permettersi una pensione privata devono però capire come investire al meglio il proprio denaro. Anche perché il tipo di investimento scelto – soprattutto se si tratta di un'operazione della durata di 20 o 30 anni – potrebbe fare la differenza. Su questo, può venire in aiuto agli investitori della previdenza complementare il Quinto Report di Itinerari Previdenziali dal titolo «Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l'anno 2017». L'indagine spiega per filo e per segno quanto hanno reso le varie forma di previdenza complementare negli anni. Nel 2017 i rendimenti complessivi per singola tipologia di investitore, si sono mantenuti stabili rispetto al biennio 2015/16 con variazioni decimali; Il problema è che questi valori si sono mostrati decisamente in calo rispetto al 2014 e agli anni precedenti. Relativamente ai fondi pensione, secondo i dati diffusi dall'indagine, ad avere la peggio sono stati i fondi pensione che investono nel settore obbligazionario o in quello misto (che cioè puntano su azioni e reddito fisso), oppure quelli che offrono rendimenti garantiti e che, alla fine hanno reso meno dell'obiettivo prefissato.Ma, vediamo i numero in dettaglio. In effetti il 2016 si era chiuso con una media quinquennale del pil pari allo 0,514%, un'inflazione allo 0,1% e un tfr al netto della tassazione che rendeva l'1,5%. Nel 2017, gli stessi indici si sono attestati rispettivamente allo 0,431% per il pil a 5 anni (contribuiscono alla media i pil negativi del 2012: –1,48% e 2013 –0,54%), 1,2% per l'inflazione e a 1,70% per il tfr. Insomma, chi ha scelto la rivalutazione del tfr non è riuscito a superare il 2% di rendimento. È andata meglio a chi ha scelto i piani di investimento pensionistico «nuovi», quelli cioè nati dopo la riforma sulle pensioni complementari. Chi ha puntato su questi prodotti nel 2017 ha ottenuto un rendimento medio del 2,2%. Più in dettaglio, chi ha investito sull'azionario puro ha ottenuto il 3,2%, sulle unit linked il 2,2% e 2,3% per chi ha puntato su investimenti bilanciati. Al contrario, chi ha scelto l'obbligazionario ha perso lo 0,7%. Meglio ancora i fondi pensione aperti, che in media hanno offerto il 3,3%. Merito dei prodotti che hanno scelto una linea azionaria: in un anno hanno ottenuto il 7,2%. Le linee più bilanciate il 3,7%, mentre le linee obbligazionarie e quelle garantite si sono mosse tutte intorno allo 0%. Bene anche i fondi pensione negoziali, che nel 2017 hanno reso in media il 2,6% annuo. Anche in questo caso l'azionario l'ha fatta da padrone con un risultato del 5,9%. Chi ha scelto la strada più prudente di una linea bilanciata ha, invece, ottenuto il 3,1%, risultato seguito dall'obbligazionario misto (sovrano e societario) con il 2,6%. Anche in questo caso, obbligazionario e linee garantite non hanno fatto felici gli investitori.Con questi numeri, il verdetto è chiaro. Chi vuole ottenere il meglio dalla propria pensione complementare deve puntare sull'azionario o su una linea bilanciata, soluzione quest'ultima meno redditizia, ma che permette di dormire sonni più tranquilli. 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Seguono Arca previdenza e le Bcc I fondi pensione aperti sono la forma previdenziale complementare più comune per chi non appartiene a determinate categorie di lavoratori che ne possiedono uno proprio. Secondo il quinto rapporto di Itinerari previdenziali sulla previdenza complementareIl numero dei fondi pensione aperti operativi a fine 2017 ammonta a 43, esattamente come nel 2016; questi fondi sono stati istituiti da 35 società, e a fine 2017 contavano 1.343.159 iscritti, in crescita del 9,2% rispetto all'anno precedente (quando erano 1.229.970). Nonostante l'incremento delle adesioni, lo studio rileva che il 40% delle posizioni non sono alimentate da versamenti contributivi. In parole povere, aumentano le persone che si iscrivono, ma non quelle che pagano.Sono i lavoratori autonomi quelli che fanno registrare una maggiore incidenza del fenomeno: il 49% circa non ha infatti versato contributi nel 2017; risulta invece minore ma comunque significativa la quota di lavoratori dipendenti che non versa, attestandosi al 28% circa. Le adesioni collettive, realizzate soprattutto nelle piccole e medie imprese, rappresentano circa il 15% del totale degli iscritti ai fondi aperti e sono rimaste sostanzialmente stabili rispetto allo scorso anno. Dando uno sguardo ai principali gruppi che offrono questo genere di strumenti, si nota come il gruppo Intesa Sanpaolo, con 420.982 adesioni, rappresenta oltre un terzo del mercato. In particolare il prodotto «Il mio domani» ha 326.661 sul totale italiano di 1.128.887 iscritti.In seconda posizione c'è Arca previdenza con 183.453 iscritti. Seguono la Bcc Risparmio e Previdenza Sgr (con 95.389) e il gruppo Axa (con 87.024 adesioni), primo tra i grandi nomi del mercato assicurativo. Segue poco più in là il gruppo Allianz (85.713 iscritti) e, solo in sesta posizione, il gruppo Generali con 64.053 iscritti. Continua Itas Vita (61.400) e Anima (46.784 adesioni). In ottava e nona posizione il gruppo Unipol (42.543 iscritti) e Azimut Capital Management Sgr (41.546). Gianluca Baldini
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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