2025-02-11
Il Pd si ricompatta: oggi il voto decisivo sulla legge toscana per l’aiuto a morire
Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana (Ansa)
Ok vicino, Giani lo spaccia per atto burocratico: «Razionalizza le procedure». Stavolta alla sinistra l’autonomia fa comodo...La crociata della Toscana sul fine vita, che rischia pure di riuscire, è avviluppata in un groviglio di contraddizioni logiche e incoerenze politiche. Ieri, il Consiglio regionale è tornato a discutere quella che potrebbe diventare la prima legge regionale in Italia a regolamentare l’accesso al suicidio assistito. Tutto era partito da un’iniziativa popolare capitanata dall’Associazione Luca Coscioni. Gli obiettivi della norma - integrata, rispetto alla forma originaria, da dichiarazioni di principio tipo i richiami alla «dignità della vita» - sono tre: fissare in 30 giorni il termine entro il quale le Asl debbono rispondere alle istanze dei pazienti che chiedono di essere aiutati a morire; stabilire che il costo del farmaco - 35 euro - sarà a carico della sanità regionale; attribuire alle stesse aziende il compito di nominare i componenti della commissione incaricata di valutare, con il comitato etico territoriale, la luce verde per i malati.All’inizio, sembrava che la legge fosse destinata a incagliarsi nelle divisioni interne al Pd, azionista di maggioranza della giunta. Poi, le fratture tra i cattolici e l’ala radicale si sono ricomposte. Ieri, il presidente, Eugenio Giani, ha confermato che un’intesa era vicina, grazie agli «emendamenti» e alla «riscrittura del testo». Una piccola sponda potrebbe arrivare da un consigliere leghista, mentre in Fdi sono contrari. Intanto, il Consiglio ha respinto la questione pregiudiziale di costituzionalità che era stata sollevata da Forza Italia. Il capogruppo azzurro, Marco Stella, sosteneva che legiferare in materia non fosse competenza regionale. E qui emerge lo scintillante cortocircuito della sinistra: la Toscana è una delle Regioni che aveva promosso il ricorso alla Consulta contro l’autonomia differenziata. Autonomia che, evidentemente, va bene se serve a promuovere l’agenda progressista. Per scongiurare la deriva schizoide, ieri, il numero uno della commissione Sanità in Regione, il dem Enrico Sostegni, ha tentato di salvare capra e cavoli, assicurando che la proposta si muove nel quadro «dell’articolo 117 (della Costituzione, ndr) sulla potestà legislativa concorrente in materia di salute» e «nel rispetto di principi fondamentali». Sarà per questo che, in Lombardia, senza timore di mostrare la faccia di tolla, l’opposizione aveva portato alla conta un progetto simile a quello toscano, bocciato dal centrodestra proprio per un difetto di attribuzioni: se ne occupi lo Stato, non la Regione. Giani, sperando forse di occultarne la vera natura, ha spacciato la legge per una sorta di atto formale: «Più che fissare principi», ha spiegato su Lady Radio, «vuole essere di regolamentazione medico-amministrativa. Noi cerchiamo di mettere ordine e di fissare una procedura, un protocollo, […] un modo per razionalizzare quello che altrimenti in una Asl potrebbe avvenire in un modo e in un’altra in un modo diverso». Procedure, protocolli, razionalizzazioni: la catena di montaggio della morte e il suo apparato burocratico. Questa è etica nel suo risolvo più inquietante; mica banale amministrazione. Il voto finale dovrebbe svolgersi oggi ed è molto probabile che la legge passi. Sarebbe una vittoria per gli attivisti della Luca Coscioni. Proprio ieri, peraltro, è morta Gloria, una settantenne fiorentina affetta da broncopneumopatia cronica ostruttiva, che voleva accedere al suicidio assistito ma aveva ricevuto un responso incompleto dalla Asl: nella relazione conclusiva non erano indicati il farmaco letale, il dosaggio e il metodo di autosomministrazione. Filomena Gallo, segretaria dell’associazione, presente ieri nella sede del Consiglio regionale toscano, ha parlato della «tortura» subita dalla donna e della vicenda simile di un altro malato, «di cui renderemo noti i fatti appena siamo pronti». L’obiettivo dei radicali è chiaro: in assenza di un accordo in Parlamento, la strada al suicidio assistito andrà spianata regione per regione. L’ombrello giuridico lo ha preparato la Corte costituzionale, che nel 2019 aveva individuato i criteri per la liberalizzazione della pratica: la sofferenza fisica o psicologica intollerabile per il paziente, causata da una malattia incurabile, la sua piena capacità di intendere e volere e la sua dipendenza da trattamenti di sostegno vitale. La scorsa estate, la Consulta aveva sottolineato che non è stato mai «riconosciuto un generale diritto di terminare la propria vita in ogni situazione di sofferenza intollerabile». Tuttavia, aveva specificato che, per «trattamenti vitali», si sarebbe dovuto intendere qualunque sistema la cui esclusione «determinerebbe prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo». Alimentazione e idratazione artificiali o respiratori meccanici, ma pure marchingegni per l’evacuazione manuale, per l’aspirazione di muco dalle vie bronchiali e cateteri. È a partire da questa fessura che, adesso, i radicali stanno provando ad aprire una breccia. Appigliandosi anche a un’altra prescrizione della Corte: l’obbligo di assicurare tempistiche certe e ragionevoli per l’esame delle istanze. Sta arrivando il suicidio assistito espresso?
Nel riquadro: Ferdinando Ametrano, ad di CheckSig (IStock)
Francesca Albanese (Ansa)