2022-05-03
Pd e grillini scoprono i salari troppo bassi. Ma invece di alzarli sprecano 80 miliardi
Andrea Orlando (Imagoeconomica)
Basterebbe trasformare lo stanziamento in 10 anni per il reddito di cittadinanza. Crisi creata da loro, però incolpano la guerra.Ecco il sindaco di Milano Giuseppe Sala: «Sul lavoro è cambiato tutto. No allo sfruttamento: i salari vanno aumentati». Ancora più stentoreo il ministro del Lavoro, Andrea Orlando: «Se i salari più bassi non crescono, avremo un pezzo del mondo del lavoro che sprofonda nella povertà e il rischio di una caduta della domanda interna». E, per non essere da meno dei dem, non manca la mobilitazione grillina, con l’ex ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, che proclama fiera: «Insieme a Giuseppe Conte in piazza con i lavoratori per salari dignitosi». Davanti a queste e altre sortite, pare decisamente azzeccato il sarcasmo di Alberto Bagnai (Lega), che, nel suo blog, ha infilzato così alcuni smemorati di sinistra: «Detta semplice: la guerra permette al Pd di atteggiarsi con una certa credibilità a difensore dei lavoratori, nella misura in cui permette al Pd di dire ai lavoratori che se stanno male la colpa è della guerra, non del Pd (rectius: del sistema politico rappresentato e difeso dal Pd)».In effetti, c’è da trasecolare. Il Pd, con l’unica eccezione di un anno (estate 2018-estate 2019), governa ininterrottamente dal 2011, pur non avendo vinto un’elezione politica dal 2006. Ed è in assoluto la formazione politica più allineata da un decennio con l’austerità Ue e i relativi diktat in nome del «ce lo chiede l’Europa», precipitati politicamente nel jobs act e in una apertura all’immigrazione che - voluta o meno - ha favorito una pressione deflazionista sui salari. Quanto ai grillini, sono il perno di questa legislatura italiana, presenti e decisivi in tutti e tre i governi dal 2018 a oggi, oltre che i titolari dei voti determinanti che hanno consentito di avviare la Commissione Ue presieduta da Ursula von der Leyen. Che ora fingano che il problema dei salari (e del costo della vita) siano questioni sorte dal 24 febbraio scorso, data dell’aggressione russa all’Ucraina, pare francamente surreale. Tuttavia, su una cosa hanno ragione: non si può far finta di nulla. E allora, da qui, tanto vale avanzare una modesta proposta, di assoluta e semplice praticabilità. Di che si tratta? Elementare, Watson: l’unica via per far pesare di più i salari sarebbe lasciare molti più soldi in tasca a tutti attraverso un drastico taglio di tasse. E dove si trovano le risorse per farlo? Come si fa a finanziare uno «shock fiscale», un megataglio di tasse, una frustata per scuotere in positivo l’economia? La risposta è semplicissima: basta correggere una norma piccola - ma devastante e strafinanziata - che sta nell’ultima legge di stabilità. Dettata proprio dai grillini e incredibilmente accettata da Mario Draghi e dal resto della coalizione di unità nazionale. Si tratta della norma che, a fronte dei circa 8,8 miliardi annui che già erano stati stanziati per il reddito di cittadinanza, l’ha rifinanziato e proiettato in avanti nel tempo. Leggere per credere: : «L’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 12, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, è incrementata di 1.065,3 milioni di euro per l’anno 2022, 1.064,9 milioni di euro per l’anno 2023, 1.064,4 milioni di euro per l’anno 2024, 1.063,5 milioni di euro annui per l’anno 2025, 1.062,8 milioni di euro per l’anno 2026, 1.062,3 milioni di euro per l’anno 2027, 1.061,5 milioni di euro per l’anno 2028, 1.061,7 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2029». Traduzione dal linguaggio burocratico: ogni anno, con l’aggiunta di un ulteriore miliardo annuo, lo Stato si obbliga a stanziare per il reddito di cittadinanza 10 miliardi. Il che, moltiplicato per 8 anni, fa 80. Avete letto bene: 80 miliardi bloccati per il reddito di cittadinanza.Altro che shock fiscale: questo è uno «shock assistenziale», uno stanziamento mai visto in questa dimensione per una misura che non produce né crescita né posti di lavoro, ma solo un incentivo a rimanere in un limbo di inattività, magari corroborato da altri introiti legati a lavoretti in nero. Altro che ripartenza dell’economia e uscita dalla povertà. Segnalo una finezza: nella norma, con riferimento all’ultimo anno considerato (il 2029), è stata messa nero su bianco l’espressione «a decorrere dal 2029», con ciò ponendo le basi per protrarre la misura tendenzialmente all’infinito. In altre parole: 10 miliardi l’anno per sempre, a meno che non venga prima o poi un governo capace di rovesciare il tavolo e usare meglio questa montagna di soldi dei contribuenti . Per capirci: un taglio fiscale di 80 miliardi, sia pure spalmato su più anni, non si è mai visto. A rendere tutto più chiaro, basterà ricordare che, nella stessa manovra, il fondo per i tagli fiscali (in buona misura destinati al cuneo), ammontava ad appena circa 8 miliardi.Piccolo dettaglio: interventi fiscali in una dimensione così esigua sono destinati a rivelarsi impercettibili. Nel 2006-2007, il governo di Romano Prodi, con grande enfasi (e con il sostegno di Confindustria e di un vasto apparato mediatico), operò un taglio del cuneo fiscale di 7-8 miliardi. L’esito fu pressoché indifferente: non se ne accorse nessuno. Diversi anni dopo, il governo di Matteo Renzi varò il bonus degli 80 euro, stanziando 10 miliardi: anche in quel caso l’effetto sulla crescita fu non percepibile per l’economia reale. E allora, ecco l’uovo di Colombo: gli 80 miliardi di sussidio, in 10 anni, siano tramutati in 80 miliardi di tagli fiscali, e stabilisca il Parlamento come ripartirli equamente tra imprese e lavoratori. Ci staranno i nostri eroi grillini e dem? C’è purtroppo da dubitarne.