2021-04-30
Il Pd è alla deriva per le liti tra correnti. E mezzo partito non sopporta Draghi
Dem adirati col premier (che ignora Paolo Gentiloni e David Sassoli) e gelosi di Giancarlo Giorgetti. Ma Enrico Letta ha grane anche su dl Zan e amministrative.«La gastrite è una malattia di sinistra». L'anatema di Beniamino Andreatta sul requisito irrinunciabile trova conferma in questi strani giorni piddini; mentre il mezzo partito fedele a Enrico Letta alza i toni della polemica contro Matteo Salvini per le sue prese di distanza dal governo, l'altra metà dem vorrebbe fare come il leader leghista: uscire allo scoperto, mostrare «che così non va bene». Le acque al Nazareno sono agitate e il nuovo segretario sta già beccheggiando con il vento in faccia. Il mal di pancia delle tre correnti di pura sinistra (quelle guidate da Nicola Zingaretti, Andrea Orlando e i giovani turchi di Matteo Orfini) aumenta a ogni uscita di Mario Draghi. Le accuse sono sussurrate ma precise: troppo decisionista, troppo liberista, troppo lontano dall'assistenzialismo sociale piddino. «Talvolta ha un approccio lunare, il presidente Mattarella dovrebbe parlargli», butta lì un colonnello orfano di Giuseppe Conte dopo l'ultimo discorso al Senato. Il gelo camuffato ha tre ragioni. La prima è il modo diverso di rapportarsi all'Europa: il premier parla direttamente con Ursula von der Leyen e i commissari, non si cura di compiacere Paolo Gentiloni e David Sassoli (anzi non li considera proprio), quindi il Pd fatica a intestarsi anche il minimo successo a Bruxelles. In più la frase «Se l'Ue procura i vaccini bene, sennò facciamo da soli» è la linea di demarcazione fra il ruolo da partner e quello da maggiordomo svolto dai ministri piddini negli ultimi dieci anni. La seconda ragione è la gelosia nei confronti di Giancarlo Giorgetti, che ha in mano le leve dello Sviluppo economico, è in totale sintonia con Draghi e si confronta con i sindacati bypassando i gran visir del Nazareno. La terza ragione è la più dolorosa: il Recovery plan. Le riforme servono per accedere alla cassa e i nodi stanno per arrivare al pettine. Sulla revisione fiscale il Pd rischia di spaccarsi fra dem ortodossi contrari a una progressività in favore del ceto medio ed ex renziani (che in Parlamento sono la maggioranza) favorevoli. Su pubblica amministrazione e competitività si temono sforbiciate e giri di vite a un settore che da sempre costituisce l'elettorato principale del partito. Concorrenza, basta la parola a paralizzare i cuori di sinistra, come spiega Luigi Marattin con una battuta: «Quando il premier alla Camera ha citato il nodo della concorrenza, un solo deputato ha applaudito. Io». Un altro fronte è quello giudiziario; la riforma strutturale con la separazione delle carriere sarebbe una bomba atomica destinata a mandare in frantumi la storica alleanza fra procure e Pd.A margine del dibattito sul Recovery plan spicca una frase sibillina di Antonio Misiani, ex viceministro dell'Economia, uno dei viceré di Orlando: «Il riformismo calato dall'alto è sempre destinato alla sconfitta». Una campana a martello che per ora nessuno vuol sentire ma che fa comprendere il senso più profondo della dichiarazione di Matteo Renzi ad inizio governo Draghi: «Se l'altro Matteo è sveglio ci sarà da divertirsi».Se la Lega si agita, il Pd nasconde le fibrillazioni e procede a tranquillanti. L'ala sinistra è pronta a difendere il reddito di cittadinanza solo per compiacere il quasi alleato grillino, ma Base riformista di Lorenzo Guerini e Luca Lotti lo vorrebbe rottamare. La notizia che a Napoli il sussidio è stato elargito a 426.000 persone, più che in tutte le regioni del Nord, non agevola l'unità di intenti. Perfino la legge Zan viene percepita come un terreno di scontro. Da una parte gli alfieri del turbo-progressismo (Letta in testa) vorrebbero arrivare all'approvazione in tempi brevi, dall'altra i cattodem di Dario Franceschini e i francescani di Graziano Delrio sono perplessi. Il tema è considerato divisivo, i malumori non trapelano per non deludere il mondo Lgbt ma le frizioni cominciano a riga uno: la definizione di «genere» contenuta nel testo. Così fra una Michela Murgia che definisce Stefano Bonaccini «un uomo di destra» e i diktat di Fedez sull'omotransfobia, il circo Medrano del Pd procede in ordine sparso alle spalle di Draghi, non si sa se per proteggerlo o per pugnalarlo. Nel frattempo il segretario che chiede unità agli altri partiti sta lanciando quattro tipi di primarie per le amministrative. Quelle con la «preregistrazione» a Bologna, dove l'imperativo di Letta è far perdere la renziana Isabella Conti che si candida contro la nomenklatura. Quelle di coalizione a Torino dove i 5 stelle non partecipano. Quelle solo piddine a Roma dove Goffredo Bettini (che ha in mano i voti) insiste nel voler candidare Roberto Gualtieri. E quelle al pistacchio a Napoli, dove Roberto Fico attende novità sul terzo mandato grillino prima di lasciare la presidenza della Camera e regalarsi una campagna dem. Contro di lui corre un'icona piddina del passato, Antonio Bassolino. E la gastrite si aggrava.