
L’agenda del vero piddino in carriera, più che Smemoranda, dovrebbe chiamarsi «Smemorina», o «Mutanda». In senso latino, ovviamente. Ormai non c’è giorno che un esponente del partito guidato da Enrico Letta (che evidentemente non ha una «agenda Letta» ma solo un’agenda altrui) non brandisca la famosa Agenda Draghi. Ovvero quell’elenco di riforme e di misure che il Pd, in anni di governo non è riuscito a fare, ma che ora vanno intestate all’esausto premier tecnico per reggere l’urto del centrodestra alle prossime lezioni. Il problema è che nell’inverno del 2021, quando Mario Draghi prese il posto a Giuseppe Conte, non tutti sembravano così entusiasti delle idee dell’ex presidente della Bce. E anzi, molti volevano «un’agenda del Pd». Dev’essere che poi non l’hanno più trovata e al governo sono stati come rapiti dalla potenza ideologica dell’ex allievo dei Gesuiti dell’Eur.
Certo, prima del febbraio 2021, il Pd era per esempio ecologista e aveva tutto un suo elenco di buoni propositi green. Poi è arrivato Draghi, armato di ministro Roberto Cingolani, che - come direbbe il verde Angelo Bonelli -«ha sabotato la transizione ecologica». Su questi temi, però, si dà sempre la colpa a Vladimir Putin. Quindi, il vero colonnello del Pd ci passa sopra.
In tv impazza per esempio la sottosegretaria Anna Ascani, che ieri inneggiava alla famosa agenda del premier sfiduciato. Del resto, anche la scorsa settimana, affermava: «Il Pd ha sempre detto che il Paese ha bisogno di Draghi e di un governo solido e autorevole per portare avanti temi importanti come quelli legati all’agenda sociale. Dopo l’intervento di oggi, serio e chiaro sugli obiettivi da raggiungere, ne siamo ancora più convinti». Lui aveva parlato alle Camere, schiantandosi. Il trucco è rendere sinonimi Agenda Draghi e «agenda sociale»: il vero elettore democratico poi non sottilizzerà. Forse. Eppure, a ottobre dello scorso anno, la stessa Ascani osò criticare il programma «Transizione 4.0» del governo dei Migliori dicendo che «sono destinati 14 miliardi che non possiamo dedicare solo all’acquisto di nuova tecnologia, ma anche alla formazione di nuove competenze e ai servizi legati alle nuove tecnologie». E dettava lei l’agenda a Supermario: «accompagnare le transizioni in atto come quella digitale, sia attraverso le infrastrutture sia attraverso programmi pensati per l’evoluzione dei modelli di business specifici, in particolare dedicati alle Pmi» (26 ottobre 2021).
Piace segnalare anche l’entusiasmo del salernitano Piero De Luca (sì, è il figlio di Vincenzo, perché nel Pd il merito è un must, come direbbe Letta nipote), che martedì minacciava così l’Italia del Nord: «Il Pd sarà perno di un’ampia gamma di forze e di personalità che hanno condiviso con noi il percorso a sostegno dell’Agenda Draghi». Con una discreta faccia da perno, lo stesso vicecapogruppo alla Camera, il 9 marzo dell’anno scorso statuì: «Le dimissioni del segretario Nicola Zingaretti rappresentano una sconfitta per l’intera comunità democratica e il terremoto provocato da questa decisione inattesa deve farci riflettere e meditare profondamente». Non solo, ma «sin dall’insediamento del nuovo esecutivo Draghi è apparso evidente a tutti che si apriva una fase politica completamente nuova ed inedita, che ci obbligava ad avviare una riflessione seria ed approfondita sull’identità, sul profilo, sull’essenza stessa del Partito democratico». Peccato che per l’agenda Pd tocchi ripassare alle Politiche del 2027.
Poi ci sono i fuoriclasse della poltrona e delle correnti come Dario Franceschini, il ministro della Cultura più longevo di tutti i tempi. Per lui, «lo strappo dei 5 stelle rende impossibile ogni alleanza con loro e ora serve un’alleanza larga nel nome di Draghi» (22 luglio). Che naturalmente metta in pratica la sullodata agenda. Franceschini non si è mai contraddetto, su questo, ma le sue profezie non portano benissimo. Il 3 febbraio 2021 assicurò ad Huffington Post : «Sono convinto che proprio Giuseppe Conte, dopo aver servito il Paese in un momento difficile, sarà coerentemente il primo e più convinto sostenitore di Draghi». Chi conosce la gloriosa storia della Democrazia cristiana sa che le gufate, da quelle parti, non sempre sono state innocenti.
Poi c’è la variante Calenda, come sempre la più sofisticata. L’altro ieri il Sor Carletto ha detto che «è possibile alleanza con il Pd sull’Agenda Draghi e se vinciamo indichiamo Draghi come premier». Peccato che da tempo quelli del Pd sussurrino che Calenda voglia l’Agenda Draghi senza Draghi. Pare che sia legale. Del resto il 13 gennaio 2021 ci vide lungo anche lui, come Franceschini: «A un governo di unità nazionale presieduto da una persona capace, daremmo il nostro assenso (ma voi chi? Quanti siete? ndr). Draghi è quello che si presta di più perché ha esperienze amministrative (sic!), ma non credo accetterebbe con questi partiti». Eh no, infatti. Fu riluttante.
E martedì il senatore Antonio Misiani, responsabile economia e finanza dei dem, ha spiegato che «la caduta del governo Draghi ha rappresentato una iattura per l’agenda sociale che il premier Draghi stava mettendo in campo con il ministro Orlando». Anche la Roma e la Juve, del resto, stavano per vincere lo scudetto, poi invece, chissà, il calendario sfavorevole (parente dell’agenda sbagliata). Alla vigilia del governo Draghi, l’ex tesoriere Misiani fu come sempre onestissimo: «Ora il nuovo governo farà le scelte che delineeranno il profilo del nostro Paese nei prossimi anni. Le scelte dei governi sono sempre politiche e mai neutre» (5 febbraio 2021). Era ora che qualcuno lo dicesse! Era.
Mentre vi risparmiamo Debora Serracchiani e le quote rosa al governo, tema assai caro al caro Draghi, giusto finire in bellezza con Letta junior. Oggi parla ogni giorno di Agenda Draghi. Ma pochi sanno che una volta gliela dettò lui. Era il 29 dicembre 2005, Draghi venne nominato governatore di Bankitalia e qui grazie Ansa: «Letta, le quattro missioni che attendono il nuovo governatore». Vi risparmiamo il compitino. Davvero Supermario non avrebbe saputo come fare, senza l’agenda Letta del bravo banchiere centrale.