
Allons enfants, anche a Parigi hanno capito che la proposta della Commissione Ue sulla reintroduzione (con modifica) del patto di Stabilità rischia di diventare una fregatura. Il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, si è detto contrario a «regole automatiche e uniformi nel Patto di stabilità e crescita perché sarebbe una colpa economica e una colpa politica», ha affermato arrivando al Consiglio Ecofin. «Abbiamo già cercato in passato di avere regole automatiche e regole uniformi. Ha portato alla recessione. È l'opposto di quello che vogliamo, più crescita, più prosperità e più posti di lavoro». E «sarebbe un errore politico», «significherebbe ignorare la necessità di rispettare la sovranità degli Stati. Bisogna concentrarsi su questo unico punto che potrebbe dividerci cioè le norme automatiche uniformi. Quando siamo prigionieri di regole automatiche basta un ribaltamento della congiuntura perché queste si ritorcano contro di noi e comportino una recessione che ci obbliga poi a spendere ancora più fondi pubblici e alla fin fine ad appesantire» il debito. Ed è necessario «continuare a rispettare la sovranità di ciascuna nazione europea su cui si basa la costruzione europea stessa», ha aggiunto Le Maire.
Mentre sia il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, sia il vicepresidente della Bce, Luis De Guindos, sia il commissario europeo Paolo Gentiloni continuavano con il solito refrain del «fate presto» perché «il tempo non è illimitato e se vogliamo prepararci per il ciclo del budget del 2025 abbiamo bisogno di un accordo nei prossimi mesi» (parole di Gentiloni), dai francesi è stato alzato più di un sopracciglio sulla riforma delle regole di bilancio. E hanno aperto lo scontro anche con i tedeschi sulla necessità di avere un vincolo quantitativo per la riduzione del debito/pil, osteggiata da Parigi e invece sostenuta da Berlino. «Abbiamo bisogno di un sistema basato su regole con indicazioni quantitative nette in modo da mantenere solide le finanze pubbliche europee. È anche una questione di credibilità agli occhi dei mercati», ha detto il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner. «Il compito ora è trovare il consenso sulle proposte tecniche che sono necessarie», ha aggiunto rimarcando la posizione «costruttiva» della Germania. Che chiede regole numeriche annue prefissate per ridurre il debito: dello 0,5% per i Paesi oltre i limiti dei trattati e dell’1% per quelli fortemente indebitati. Secondo Lindner, non è troppo ambizioso ridurre dell’1% il debito rispetto al Pil. «Ci sono Stati membri che superano il 100%, il che significa nel corso della mia vita non li vedrò tornare al 60%".
Nel frattempo, sull’esclusione di certe spese dal patto di stabilità, è tornato a farsi sentire il ministro Giancarlo Giorgetti che ha rilanciato l’idea di una specie di «golden rule» per trattare in modo speciale gli investimenti nella doppia transizione energetica e digitale, in particolar modo quelli inerenti Next Generation EU. «Per assicurare stabilità è importante secondo noi che si dedichi adeguata attenzione alla politica di investimenti, in particolare investimenti che sono stati considerati prioritari in sede europea, in particolare quelli relativi alla transizione ambientale ed energetica e digitale. Per questo riteniamo che gli investimenti considerati prioritari abbiano una considerazione un trattamento particolare. Si tratta di investimenti di durata limitata e di quantificazione già accertata», ha spiegato ieri. «L’Italia e il governo italiano accolgono con favore il lavoro fatto anche se riteniamo che ci siano ancora degli aspetti da migliorare», ha poi ricordato. Esortando a coniugare la riforma della governance economica europea con la «sovranità nazionale» perché gli «aspetti metodologici e tecnici non devono prevalere rispetto alle considerazioni politiche». La settimana scorsa, intervistata da Bruno Vespa al «Forum in Masseria», Giorgia Meloni aveva stroncato le illusioni degli eurolirici sul Mes, e contemporaneamente fatto capire che l’Italia negozierà a testa alta e a schiena dritta sulla riforma del patto di Stabilità. Non si sa per quale ragione (al di là della calendarizzazione parlamentare di un documento di indirizzo sul Mes), si era infatti diffusa la convinzione che il governo fosse pronto alla ratifica, capovolgendo le convinzioni più volte esternate dalla Presidente del Consiglio, e contemporaneamente privando l’Italia di una potente arma negoziale nel semestre in cui si entrerà nel vivo della discussione sulla riforma del patto.
Ieri, intanto, Polonia e Lituania hanno perorato la causa del «trattamento speciale» delle spese solo per la difesa dato lo speciale contesto della guerra in Ucraina. L’obiettivo è trovare un’intesa entro l’anno e numerosi saranno gli incontri politici e a livello tecnico-diplomatico per trovare una soluzione comune che permetta dal 2024 di avere un sistema di regole accettabili per tutti. Sulla riforma del patto «è possibile raggiungere un accordo sotto il semestre della Presidenza spagnola» che inizierà a luglio, ha detto ieri il francese Le Maire. Aggiungendo che «Le posizioni dei 27 sono vicine e non bisogna sopravvalutare i disaccordi che possono esistere tra l’uno e l’altro». Vedremo.






