2019-11-01
Patate africane spacciate per nostre. A giudizio in 14 per la mega truffa
L'accusa: un «oligopolio» rivendeva enormi quantità di tuberi scadenti come prodotti di qualità. Gravissimi i rischi per i consumatori, coinvolti nomi grossi di tutta la filiera. L'indagine è del 2013: prescrizione a un passo.Sono stati rinviati a giudizio, per associazione a delinquere, le principali realtà della lavorazione e commercializzazione delle patate in Italia, che vendevano alla Gdo patate africane (dell'Egitto), francesi, cipriote e israeliane, facendole passare per nostre. I tuberi stranieri, su cui in molti casi vengono fatti trattamenti pericolosi e illegali con antiparassitari, antigermoglianti e fitofarmaci non consentiti in Italia e in Europa, venivano «magicamente» trasformati in italiani e mandati nei supermercati, venduti ad un prezzo gonfiato, anche certificati Cpq di Conad (percorso controllo qualità), cioè garantiti come pregiati, per finire direttamente nei piatti degli italiani. Un «miracolo» che accadeva anche con le cipolle argentine che diventavano Igp rosse di Tropea o con le patate comuni etichettate e commercializzate come fossero bio. L'inchiesta potrebbe essere solo la punta dell'iceberg di un sistema di contraffazione più esteso.«Il fabbisogno nazionale di patate è di circa 2,3 milioni di tonnellate», scrive nel 2013 la Forestale dei carabinieri che ha condotto l' indagine, «mentre la produzione (nazionale, ndr) è di circa 1,5». Da dove provengono le altre 800.000 tonnellate? E soprattutto perché sugli scaffali dei supermercati troviamo quasi esclusivamente patate italiane se ne importiamo da altri Paesi?Le carte dell'inchiesta, iniziata appunto nel 2013 e che nel gergo degli addetti ai lavori ha assunto il nome di «Patata gate» nazionale, spiegano come il sistema, secondo gli inquirenti, facesse passare per patate di alta qualità, tracciate o al selenio quelle che in realtà non erano altro che vagonate di patate comuni, se non patate straniere, di scarto, infestate dalla tignola (l'insetto che le perfora), con la scabbia o così nere da essere invendibili come quelle africane. Una frode gigante per un mercato strategico che oltre a determinare le politiche dei prezzi nella «Borsa delle patate» italiane incide anche su quelli del Nord Europa. Una prassi lesiva degli interessi dei consumatori ma anche dei supermercati Conad, Pam, Esselunga e di Coldiretti oltre che del ministero dell'Agricoltura. Eppure ora tutto rischia di perdersi nel fumo. Infatti ci sono voluti, inspiegabilmente, sei anni per la fase preliminare, cioè per decidere se processare 23 persone e il gruppo di aziende coinvolte, nonostante i rischi per i consumatori e la gravità ed entità dei reati denunciati. Dal 10 marzo 2014, quando l'indagine viene chiusa dalla Forestale, la Procura inquirente ci mette 2 anni per arrivare all'avviso di conclusione d'indagine, nell'aprile 2016, e quasi altri 2 anni per depositarla sulla scrivania del giudice, il Gup Gianluca Patregnani Gelosi, che il 30 ottobre 2019 ha deciso di rinviare a giudizio per associazione a delinquere il bolognese Giulio Romagnoli, patron della Romagnoli F.lli spa ed ex presidente della Fortitudo basket, il napoletano Antonio Covone, dell'omonima società fornitrice, Claudio Gamberini, all'epoca responsabile nazionale degli acquisti ortofrutta di Conad, e Roberto Chiesa, responsabile acquisti del gruppo Romagnoli. Secondo la Forestale vi sarebbe stato «un lavoro sinergico e ben organizzato, compiuto dagli importatori dall'estero, dagli intermediari, dai produttori di patate in Italia, dai consorzi rappresentativi di questi ultimi e dai contadini (“costretti" a prestarsi a queste “malefatte" da questa sorta di oligopolio nel mercato delle patate), e la grande distribuzione, tutti perfettamente a conoscenza dell'origine del prodotto acquistato». Rapporto che nelle modalità rilevate, sempre secondo la Forestale, non si sarebbe mai interrotto neanche con i nuovi responsabili di Conad subentrati a quelli indagati. Ma la Procura ha deciso di chiedere l'archiviazione di questo specifico capitolo. «Abbiamo saputo del caso solo un anno fa», spiegano a La Verità Benedetto e Mariano Marzocchi Buratti, gli avvocati di Coldiretti, costituitasi parte civile, «confidiamo che il processo si chiuda prima della prescrizione». Oltre ai quattro a processo altri dieci imputati e cinque società dovranno a vario titolo rispondere di frode in commercio e favoreggiamento. La prima udienza è fissata per il 17 aprile 2020 con il rischio prescrizione per alcuni imputati che scatta già all'inizio del 2021. E nel caso vi fossero condanne per gli accusati di associazione a delinquere, in appello decadrebbero.Intanto la sorella di Romagnoli, Grazia, che aveva scelto il rito abbreviato, è stata condannata a dieci mesi di carcere per corruzione fra privati anche se assolta da associazione per delinquere e frode. Il dipendente della Romagnoli Michele Manenti è stato condannato ad un anno di reclusione e a 20.000 euro di provvisionale per calunnia nei confronti di un agente forestale che aveva partecipato alle indagini. Le dichiarazioni dell'avvocato dei Romagnoli, Nicola Santi, sono state: «Verrà chiesto l'appello per Grazia e siamo fiduciosi di dimostrare l'inconsistenza dell'accusa. È stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere nei confronti della gran parte degli imputati… a riprova della debolezza dell'impianto accusatorio. Siamo fiduciosi. Sarà il dibattimento a dimostrare l'infondatezza delle imputazioni residue».
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