2022-11-28
Paolo Agnelli: «Dobbiamo buttare l’agenda Draghi»
L’industriale dell’alluminio: «In Spagna, Francia e Portogallo c’è un tetto al prezzo del gas. La Polonia scava carbone. La Germania regala 200 miliardi. Ma da noi è vietato un 1% di debito in più a sostegno delle aziende».Paolo Agnelli industriale delle pentole e dell’alluminio…«Siamo conosciuti per le nostre pentole. Mio nonno ha fondato la prima azienda nel 1907 portando in Italia l’alluminio del Montenegro. La prima di 14 aziende fondate successivamente da mio papà, da noi, dai figli e i nipoti. Ma le pentole rappresentano il 10% del nostro fatturato».Ci descrive il gruppo Alluminio Agnelli?«Il nostro core business è l’alluminio. Abbiamo una fonderia in provincia di Brescia. Vorremmo raddoppiare i forni ma la buona burocrazia italiana ci ha già preso sei mesi e ce ne prende altri sei per l’autorizzazione integrata ambientale. Abbiamo la trafileria in Valchiavenna che produce profilati in alluminio. Saranno il cavallo di battaglia della transizione ecologica dei prossimi anni. Con questi si fanno i treni, i treni leggeri, gli aerei, le auto elettriche, i pannelli fotovoltaici e le pale eoliche. La loro produzione in economia circolare consente di risparmiare il 95% di CO2 se la paragoniamo ad altre lavorazioni e altri metalli».Insomma… alluminio, alluminio, alluminio.«Lo lavoriamo in termini di design anche per marchi di arredamento conosciuti. E un’azienda in cui facciamo l’ossidazione anodica. Fatturiamo 235 milioni (stima 2022) e da noi lavorano 350 persone».Stabilimenti nel Nord Italia?«Sì. Due a Zingonia, uno a Lallio, uno a Brescia, uno in Valchiavenna. E così via. Praticamente in Lombardia. Abbiamo costruito un nuovo stabilimento con industria 4.0 ed entrerà in funzione a gennaio ammesso che ci arrivi il gas, ammesso che ci arrivi l’energia elettrica. Ammesso che ci arrivi l’acqua». Il suo gruppo mangia tanta corrente. La negozia direttamente con i fornitori, immagino.«Abbiamo dovuto consegnare all’unica società che è in grado di fornirci l’energia che ci serve una fideiussione di quattro milioni e mezzo. Cosa non semplicissima da ottenere con i tempi che corrono. E loro ci daranno il gas al prezzo che… sarà nel momento in cui arriverà!».Quanto incideva prima e quanto incide oggi il costo dell’energia sul suo fatturato?«Le fonderie sono le aziende più energivore, ma il gruppo Agnelli prima pagava 2 milioni e quest’anno 20: 18 milioni di costi in più, che in parte scarichiamo sul prodotto. E qui uno capisce perché i costi delle materie prime e dei semilavorati aumentano e di conseguenza aumenta l’inflazione. Ma non tutto. Perché noi esportiamo il 30% del nostro fatturato. E la concorrenza funziona che tutti si fanno gli affari loro. Spagna, Portogallo e Francia hanno messo un tetto al prezzo. La Polonia scava carbone che costa meno. La Germania ha messo sul piatto 200 miliardi per le sue aziende. E noi vogliamo fare i primi della classe con l’agenda Draghi. Quando poi tante aziende chiuderanno, perché non tutte hanno 115 anni di storia, le radici e un marchio cui aggrapparsi, altro che reddito di cittadinanza!».Suggerimenti al premier Giorgia Meloni?«Vogliamo rimanere entro i parametri? Lavoriamo su una soluzione fuori bilancio. Va bene il credito di imposta sull’extra costo. Dal 35% al 45%. Ma rimane un buon 60% ancora da coprire. Tu stato metti una garanzia, e io impresa mi indebito e restituisco tutto in dieci anni quasi senza accorgermene».Soluzione pratica e intelligente. Ed è comunque un atto di fiducia. Se i prezzi continuano su questi livelli non ci si potrà indebitare all’infinito.«Ci vorrà ancora un altro anno buono nell’attesa che si cominci a trivellare e fare cose anche in Italia. E non basta dare la colpa solo al Movimento 5 stelle se non si fanno le cose. Tanti partiti per quieto vivere hanno chinato la testa di fronte agli esagitati che dicono no a tutto. Io dal 2014 parlo di energia in tv, quando dicevo già che in Italia paghiamo l’energia elettrica l’87% in più della media europea».Esiste secondo lei un rischio di delocalizzazione nei paesi dove l’energia costa meno? Una volta si delocalizzava dove il lavoro costava di meno.«Le racconto la storia dell’industria dell’alluminio. Questa insegue sempre l’energia. Prima in Norvegia e Canada dove c’era tanto idroelettrico con le cascate. Poi Francia e Germania dove c’era il nucleare. Addirittura, oggi le grandi multinazionali producono in Qatar, Dubai e Bahrein dove hanno tanti residui di catrame e petrolio. Non possono scaricarli a mare e quindi li bruciano in normalissime centrali termoelettriche che producono energia che non è a buon prezzo, ma gratis. Devono tenere sempre le luci attese per consumarla. Una media azienda italiana che non voglia scegliere Paesi politicamente a rischio può andarsene in Polonia dove bruciano carbone e negli Stati Uniti. Lo ripeto: in Europa tutti si fanno gli affari loro. Il Portogallo ha messo il suo tetto. La Germania aiuta le imprese. E noi vogliamo fare i bravi scolaretti perché abbiamo il debito a 2.740 miliardi. Ma se il debito aumentasse dell’1% o del 2% per salvare le imprese, sarebbe forse un problema?».Si indignano se spendiamo i soldi per tenere le aziende in piedi e trovano normale farlo quando queste sono morte. Si pensi alla spesa per gli ammortizzatori sociali.«Un’azienda che chiude costa in termini di cassa integrazione e sussidi vari. Ma un’azienda chiusa non produce più gettito Iva, né Ires, né Imu. Ma questi sanno come funziona l’economia? Se lo sapessero comincerebbero a capire che bisogna salvare il salvabile da subito».Agnelli, da dove le arriva la materia prima?«Dieci anni fa ho litigato con un fighetto di una multinazionale tedesca che mi rinfacciava come fossimo nell’Europa del Sud e non fossimo affidabili. Mi aumenta i prezzi e mi riduce l’affidamento della metà. A noi che abbiamo lavorato per primi l’alluminio nel mondo. Mi sono detto: questi prima o poi ci fanno chiudere. Fanno politica industriale sulla nostra pelle. E allora ho scoperto quasi per caso l’economia circolare. Me ne vado in giro per il mondo a comprare rottami di alluminio e così non devo più sottostare ai ricatti del fighetto tedesco. Non ho un unico fornitore: ne ho tantissimi».Ingegnoso. Deve sbattersi per trovare i rottami ma i prezzi di fornitura li tiene anche meglio sotto controllo.«Con un altro imprenditore, che s’intendeva di rottami, abbiamo fatto società intraprendendo quella che oggi va tanto di moda: l’economia circolare. Ma come ho anche scritto nel mio libro Oro grigio, questa non è una novità per la mia famiglia. Nel 1935 mancava l’alluminio. E noi nel dopoguerra ci siamo comprati gli aerei caduti in combattimento proprio per ricavarne l’alluminio che ci serviva. Se solo ci facessero lavorare… Ma le sembra normale che debba perdere tempo prezioso con la burocrazia per costruire un forno? Per un’autorizzazione di impatto ambientale riferita a un posto dove ho già un forno? E dove ce n’è uno vicino? Se avessi avuto la fonderia operativa un anno fa, avrei fatto 3-4 milioni di utili in più». Lentezza esasperante…«Perché mi massacrano di controlli prima impedendomi di fare le cose? Fatemi lavorare e poi mi controllate. E invece riunioni infinite per controllare le virgole. Era una vecchia idea di Silvio Berlusconi. Ed aveva ragione».Serve la pace in Ucraina, per ricominciare a fare impresa in maniera normale?«Io mi sono già spostato dalla Russia che fornisce il 30% dell’alluminio mondiale e ha la filiera più grande del mondo. Si stanno affermando India e Turchia. Ma ci sono aziende che hanno perso fatturati importanti. Penso alla moda, alle calzature, all’alimentare. Va bene, questi due si sono presi a cazzotti. Ma la vogliamo finire? Non mi interessa più quando questo conflitto è scoppiato. Cosa vuoi fare, Occidente? Vuoi continuare ad assistere alla guerra all’infinito? Sta arrivando un freddo terribile in Ucraina e non hanno energia. Dovranno venire in Italia a lavorare e stare al caldo. Per poter mangiare. Ma sono lavoratori. Ripenso a quando, collegato in tv con una piazza palermitana, chiedevo 40 lavoratori per le mie fonderie. Mi ridevano in faccia: “Vuoi farci fare gli emigranti, vieni tu da noi”, mi dicevano…. Sicuramente avevano il reddito di cittadinanza».Va superato il reddito di cittadinanza?«Ascoltando la tv ho sentito opinionisti secondo i quali senza reddito di cittadinanza molti di questi percettori potrebbero delinquere. Ma che ricatto è? Non è che prima del M5s non esistesse la disoccupazione. E poi, diciamolo chiaramente: il reddito di cittadinanza è una calamita per il lavoro in nero. Chi già prende il reddito vuol lavorare in nero e continuare a prendersi il sussidio».Il ponte sullo stretto di Messina s’ha da fare?«Ma facciamolo. Ero ragazzo e ne sentivo parlare. Non so dove prenderemo i soldi. Fondi europei?».Ci vorrà tanto alluminio per quel ponte?«Per adesso sono ancora in acciaio, da quello che so e dai progetti che vedo. I ponti più piccoli usano già molto alluminio. Noi, infatti, ci siamo già strutturati con una mega pressa per costruire grandi travi in alluminio. È più leggero. Non si sgretola come il cemento armato. Non collassa come il ferro che si arrugginisce. L’alluminio più sta all’aperto più si rafforza e più diventa duro. Non si ossida più. L’alluminio è il futuro. Ecco perché abbiamo investito 25 milioni in questo “bellissimo” momento storico».Una curiosità. A parità di volume quanto pesa l’acciaio e quanto l’alluminio?«2,7 il decimetro cubo di alluminio e 7,8 quello di acciaio».
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)