2020-02-16
Panico in Italia viva: il Pd va a caccia dei parlamentari renziani pentiti
Serve una decina di senatori perché l'esecutivo possa andare avanti anche senza il sostegno del Bullo. E fra i dem si sussurra: «Siamo pronti a mettere sul fuoco i vitelli grassi. In sei stanno già tentennando».Caccia grossa ai responsabili, con qualche paradosso. Matteo Renzi lascia messaggi nella chat dei senatori per tranquillizzare le truppe allo sbando, gli interessati non riescono a stare dieci minuti senza che il telefonino non squilli, e i principali sospetti - malgrado quello che si pensava all'inizio - non sono tra le fila dei senatori di Forza Italia ma fra quelle del partito dell'ex premier. Riepilogo sintetico: servono dieci dodici senatori perché il governo di Giuseppe Conte possa andare avanti anche senza il sostegno del partito di Renzi. E, per trovarli, gli ambasciatori giallorossi lì stanno cercando ovunque in ogni angolo del Senato, in ogni gruppo, in ogni angolo di inquietudine manifesta o meno. Ma per gli azzurri c'è un discorso a parte. Per esempio, se provi a sentire Massimo Mallegni, il senatore di Forza Italia che molti additano come possibile leader dei «responsabili di destra», lui si mette a ridere: «Ma com'è che ho chiamate tutti, e proprio oggi?». Me lo dica lei, gli faccio. E lui: «Perché sono amico di tutti. Parlo con uomini della maggioranza, e talvolta do anche consigli, ovviamente inascoltati». Il caso Mallegni nel giorno in cui c'è la caccia al senatore spiega il paradosso nel paradosso di questa vicenda. Su tutto potrebbe smarcarsi l'ex sindaco di Marina Pietrasanta, tranne che su un tema come la prescrizione. Per via della sua storia: ex imputato per una vicenda amministrativa, condannato, poi assolto e prescritto, Mallegni fece addirittura la sua campagna con un manifesto in cui aveva messo una foto con le manette ai polsi. Il paradosso è questo, e lui stesso lo spiega così: «Io vengo da una storia socialista, sono uno che rivuole la vecchia Forza Italia liberale di massa, non schiacciata sulla destra estrema. Ma su tutto potrei convergere, in Parlamento tranne che sulla prescrizione!». Fa una pausa: «Oppure, scrivilo così: se il governo reintroduce la prescrizione io lo posso votare». Il caso è in qualche modo emblematico: gli azzurri che sono in sofferenza - perché soffrono l'egemonia salviniana, o perché non si trovano bene con i vari cerchi magici, e sono tanti - sono tutti di formazione liberal-democratica e ipergarantista. Difficilmente potrebbero smarcarsi su questi temi, o su una mozione di sfiducia a Bonafede. Il principale gruppo attenzionato, invece, è proprio quello dell'ex sindaco di Firenze. In queste ore si stanno consumando telefonate, abboccamenti, piccoli psicodrammi. Uno dei senatori che in queste ore sta facendo il «trapper» reclutatore mi spiega: «È difficile anche per noi ricucire un rapporto con chi solo pochi mesi fa ha fatto una scissione. Tuttavia...». Tuttavia? «Tuttavia siamo pronti a mettere sul fuoco i vitelli grassi per chi torna sui propri passi, se fosse davvero e sinceramente disposto a sostenere il governo». Chiedo al senatore dem se pensa davvero di poter convertire qualche renziano. Lui sospira: «Ce ne sono almeno sei in grandissima difficoltà. Ci parliamo tutti i giorni». Non sempre le motivazioni sono nobili. Qualcuno aveva fatto il salto in Italia viva convinto di entrare in un partito forte. Qualcuno altro convinto che avrebbe riottenuto un seggio, sapendo che la maggioranza degli eletti sarebbe toccata agli zingarettiani (e quindi certo che il suo posto sarebbe saltato). Molti di questi senatori adesso si stanno invece convincendo che è molto più difficile essere eletti con Italia viva che con il Pd (ed è tutto dire). Altri, infine, sono sinceramente delusi della linea dell'ex sindaco di Firenze: pensavano di ritrovarsi in un partito moderato, si sentono stetti nella linea di guerriglia. Ieri il Messaggero ha intercettato una piccola perla, un sms dello stesso Renzi nella chat dei suoi parlamentari: «State tranquilli, tanto il voto anticipato non c'è». Duro in pubblico, morbidissimo in privato. Non è schizofrenia. Ma la reazione all'onda d'urto e ai malumori che gli è arrivata dopo la diretta Facebook. Molti sono rimasti choccati dal discorso sullo staccare la spina, e Renzi deve tornare a vestire i panni dell'agnello per rassicurarli sul fatto che non ci saranno atteggiamenti da kamikaze: «Evitiamo falli di reazione. Non forniamo pretesti. Rimaniamo lucidi e rilassati». L'ex presidente del Consiglio per ora ripete che non vuole strappare, ma non chiude mai la porta: «Indietro non si torna. Accada quel che accada». Un altro parlamentare dem, un ex ministro, sotto garanzia di anonimato mi dice: «Io li conosco bene. In questi giorni i renziani hanno la faccia della morte!». E poi c'è il lavoro di un altro ministro, Stefano Patuanelli, triestino, che dialoga con quelli del gruppo delle Autonomie. E infine c'è il barone: Dario Franceschini, stratega di mille battaglie parlamentari in queste ore ripete a tutti che lui e Zingaretti se salta il governo non faranno prigionieri: saltano le alleanze a tutti i livelli, a partire dalle regioni. Anche Conte, ieri mattina al Colle, manda un messaggio netto: «Noi andiamo avanti. Se Renzi vuole strappare, lo faccia: ma sappia che non avrà i numeri, perché i suoi non lo seguiranno». È un bluff, una prova di sicurezza, o il frutto del lavoro, nome per nome, di intelligence a Palazzo Chigi? Martedì, quando riapre il Senato, saranno chiari quali i rapporti di forza.
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