2019-06-16
La trattativa Renzi-procura
L'ex premier al padre: «I magistrati hanno dei loro giri, dei ca...i loro. Ti interrogherà uno importante». Alla fine il babbo fu ascoltato proprio dall'ex procuratore e da Paolo Ielo.Per l'ex ministro il vicepresidente del Csm era più un incapace che un ostacolo ai suoi piani: «Io al Quirinale vado su, lui si ferma alla porta dei bagni». Genova interessata alle manovre sulla Procura di Firenze.Lo speciale contiene due articoliNell'inchiesta sul cosiddetto mercato delle toghe che ruota intorno al pm romano Luca Palamara, indagato a Perugia per corruzione, piomba anche il fantasma dell'indagine Consip. E le nuove intercettazioni squadernate dai quotidiani potrebbero anticipare scenari sorprendenti. Ieri, in particolare, ci hanno colpito spezzoni di un dialogo tra l'ex sottosegretario Luca Lotti e Palamara, carpito nella notte del 9 maggio. In quelle conversazioni il pm tradisce livore nei confronti del suo vecchio capo Giuseppe Pignatone, il quale, sino al giorno della pensione, proprio il 9 maggio, era titolare del fascicolo Consip insieme con l'aggiunto Paolo Ielo e il pm Mario Palazzi. È risentito anche contro Ielo, colpevole nella sua testa di aver trasmesso a Perugia le carte che hanno innescato il procedimento contro di lui. L'impressione è di un rancore recente per un patto o una fiducia traditi. Anche perché, a voler credere alle intercettazioni, il pm indagato, quando era influente consigliere del Csm, avrebbe condotto Pignatone al cospetto di Matteo Renzi e di Luca Lotti. All'epoca il neo procuratore era un foresto alla scoperta di Roma e il compagno di corrente, consigliere del Csm, si era preso l'impegno di introdurlo nei salotti che contano. La questione è affrontata in una conversazione riportata da Repubblica.Cerino in manoPalamara: «Vedi Luca, io come ti ho già detto una volta, mi acquieterò solo quando Pignatone mi chiamerà e mi dirà che cosa è successo con Consip. Perché lui si è voluto sedere a tavola con te, ha voluto parlare con Matteo, ha creato l'affidamento e poi mi lascia con il cerino in mano. Io mi brucio e loro si divertono». Lotti: «Certo». Palamara: «Non te pensa', come dice Matteo, io sono stato il più titolato e giovane presidente dell'Anm e quindi a me non me puoi prende per culo. Punto». Il pm ricorda le noiose serate di gala sopportate per fare da spalla a Pignatone: «A me devi di' la verità. Io ho fatto come dici tu: me so' spaccato i coglioni alle cene a casa della Balducci (ex consigliera del Csm, ndr). Quante sere? E vai là a mangia' e vai là e stai seduto. Come dici tu: du' palle no? Me so' rotto i coglioni». Lotti collega il risentimento di Palamara all'ingratitudine, visto che il pm al suo vecchio capo avrebbe «sempre protetto il culo».Ma perché Palamara sarebbe rimasto con il cerino in mano? Forse perché aveva garantito con l'amico Lotti e con Renzi per Pignatone, il quale poi, nel 2018, ha chiesto il rinvio a giudizio per favoreggiamento dell'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ma non per Tiziano Renzi, graziato nonostante la censura della «totale inattendibilità delle dichiarazioni rese» ai magistrati.Altri spezzoni del supposto dialogo tra Palamara e Lotti si trovavano sul sito dell'Espresso. I due pensano di essere vittima di chissà quali oscuri giochi di potere, agnelli sacrificali di un risiko giocato sopra le loro teste.Lotti: «Io non è che ce l'ho... non è che ce l'ho a morte perché... Però questa roba, nulla, nulla, nulla mi toglie dalla testa che è stato uno scambio sulla nostra pelle Luca». Palamara: «Sulla nostra pelle, io sono certo». Lotti: «La mia soprattutto… cioè la nostra». Palamara: «Luca, ma devi capi' che so entrato in mezzo pure io, perché quello che cazzo m'hanno combinato a Perugia ancora nemmeno se sa e non è chiaro […] ma tu la bastonata, tu giustamente dici, a te t'hanno ammazzato sulla vicenda Consip. A me, sai benissimo quello che ho sofferto con questa cosa...».Palamara sospetta che con l'arrivo dei nuovi potenti in Procura si siano riposizionati: «La vicenda Siri (l'ex sottosegretario leghista Armando Siri, ndr), in condizioni normali Siri veniva arrestato! De Vito (ex presidente del consiglio comunale di Roma, ndr) è stato arrestato per molto meno! È una trattativa che vogliono fare con Salvini, fidati, io non mi sbaglio» sbotta Palamara. Il quale sospetta che il fascicolo di Perugia, di cui sarebbe stato informato nel dicembre 2017 dallo stesso Pignatone, sia utilizzato come una spada di Damocle per ridimensionare le sue ambizioni di diventare procuratore aggiunto e, magari, di sistemare la questione Consip a favore di Lotti: «L'hanno fatto per tenermi appeso, per ricattarmi» accusa. I filoniDall'inchiesta sul mercato delle toghe sembra che davvero nessuno uscirà pulito. E le frasi rubate a Palamara e Lotti potrebbero offrire una chiave di lettura interessante per le indagini che sono state condotte in due diversi filoni nei confronti di Tiziano Renzi e di suo figlio Matteo (mai indagato). Investigazioni che al tempo vennero seguite con spirito critico solo dalla Verità e dal Fatto Quotidiano. Nel dicembre 2016 da Napoli arrivano le carte del fascicolo istruito da Henry John Woodcock contro Lotti, i generali dei carabinieri Tullio Del Sette e Emanuele Saltalamacchia e Tiziano Renzi. L'inchiesta sembra a buon punto e i carabinieri consigliano un'incolpazione per babbo Tiziano di induzione alla corruzione. A Roma il fascicolo perde lo slancio iniziale, ufficialmente per le troppe fughe di notizie che l'avrebbero danneggiata. A febbraio viene inviato un avviso di garanzia per traffico di influenze illecite a Renzi senior, ma gli vengono risparmiati la perquisizione e il sequestro del cellulare. Il 3 marzo 2017 il genitore viene sentito da Pignatone e Ielo. Prima dell'interrogatorio babbo Tiziano e il figlio vengono intercettati (dalla Procura di Napoli). Renzi senior cerca conforto: «Ma a me mi dovrebbe interrogare (Mario, ndr) Palazzi, no?». Si sbaglia. Matteo pare molto più aggiornato: «Considera che tutti i magistrati di cui si sta parlando, come dire, hanno dei loro giri, […] dei cazzi loro di vario genere, quindi io credo che a te ti interrogherà un magistrato importante di Roma (come in effetti avverrà, ndr), se ho capito bene». A interrogare Tiziano saranno proprio Pignatone e Ielo. Subito dopo l'interrogatorio l'inchiesta Consip prende una piega inaspettata e diventa un'indagine sui carabinieri del Noe e in particolare sul capitano Gianpaolo Scafarto. Per mesi si parla quasi solo di quello, si susseguono interrogatori e sequestri. La presunta infedeltà degli uomini dell'Arma diventa il tema. Mentre il Giglio magico finisce quasi sullo sfondo, in particolare babbo Tiziano. Uno degli ultimi atti di Consip si svolge il 5 aprile 2018, quando il Pd di Matteo è stato spianato alle elezioni e lui viene convocato come persona informata dei fatti. Deve limitarsi a ripetere le dichiarazioni raccolte dalla difesa di Lotti.De BenedettiIl fu Rottamatore davanti a Pignatone si era già presentato in gran segreto nel 2016, quando fu sentito come testimone in un procedimento per insider trading per una telefonata in cui l'imprenditore Carlo De Benedetti, tessera numero 1 del Pd, aveva ordinato al suo broker di fiducia, Gianluca Bolengo, di investire cinque milioni di euro sulle banche Popolari, sulla base di una dritta che aveva ricevuto da Matteo a Palazzo Chigi a proposito di un'imminente riforma del settore. In poche ore l'informazione gli fruttò un guadagno secco di 600.000 euro. La Procura di Roma non ha mai iscritto sul registro degli indagati né Renzi, né De Benedetti, ma solo il broker. Salvo poi chiederne l'archiviazione. Una decisione talmente garantista che il gip Gaspare Sturzo ha ordinato l'imputazione coatta del manager per ostacolo alla vigilanza. Lo stesso Sturzo da qualche mese ha sul tavolo anche la richiesta di archiviazione per Tiziano Renzi. Una decisione che, se non fosse ancora stata presa, potrebbe essere complicata dalle intercettazioni di Palamara. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/palamara-feci-incontrare-renzi-e-pignatone-ombre-sullindagine-consip-2638875868.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ermini-ammette-le-riunioni-con-lotti-ma-io-non-ho-parlato-di-nomine" data-post-id="2638875868" data-published-at="1758064107" data-use-pagination="False"> Ermini ammette le riunioni con Lotti «Ma io non ho parlato di nomine» Minaccia il ricorso a «sedi giudiziarie sia civili che penali», David Ermini, per smentire l'articolo della Verità di ieri che raccontava di incontri tra lo stesso vicepresidente del Csm e i tre protagonisti delle intercettazioni di queste settimane roventi: il pm indagato a Perugia per corruzione Luca Palamara e i deputati Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri. Riunioni in cui si discettò - ha scritto il nostro giornale - «di giustizia, Csm e, probabilmente, di nomine». Le carte Non per Ermini. «Smentisco in modo fermo di aver partecipato a incontri con Palamara, Ferri e Lotti riguardanti le nomine di alcuni procuratori. Ribadisco che dal giorno della mia elezione il mio unico e costante punto di riferimento è sempre stato il presidente della Repubblica», ha scritto l'avvocato di Figline Valdarno. «L'incontro […] si riferisce all'ottobre 2018, al periodo della mia elezione a vicepresidente del Csm quando ho avuto contatti con tutte le componenti della magistratura, compresi Ferri e Palamara, rappresentanti di Magistratura indipendente e di Unicost, che, non è certo un mistero, hanno appoggiato la mia candidatura. Ma, ribadisco, non ho partecipato a vertici con quelle persone per parlare di nomine». Una frase che conferma quanto pubblicato ieri dalla Verità sull'esistenza di incontri con Lotti, Ferri e Palamara. Per accreditare la sua versione, Ermini si serve di ciò che i giornali hanno pubblicato a proposito della riunione all'hotel Champagne, a Roma, la notte del 9 maggio scorso. «Del resto», continua la nota di Ermini , «i toni e le espressioni che costoro usano nei miei confronti nelle intercettazioni sono la prova che mi consideravano un ostacolo per il raggiungimento dei loro piani. Accostare la mia persona a queste trame è un fatto di gravità inaudita». In realtà bisognerebbe chiarirsi sul significato di «ostacolo» che, in fisica, è un concetto che riguarda una resistenza attiva. Davvero ne parlano così Ferri, Palamara e Lotti ? Leggiamo. Di lui, l'ex ministro renziano dice che «al Quirinale, io vado su, mentre David si ferma alla porta dei bagni». Non come il suo predecessore, Giovanni Legnini, che - spiega Palamara - «ci andava sempre. Stava sempre da Mattarella che poi lo ha inculato». Il pm e Lotti si rimpallano aneddoti. Parte l'ex ministro: «Io mi sono rotto i coglioni e ho detto: “Ascolta, Giovanni, se deve venire qui (Ermini, ndr) e ogni volta mi deve dire come fare, vaffanculo". Hanno rotto». Palamara ribatte con un raccontino: «Ma quella volta che gli hanno fatto togliere le scarpe all'aeroporto in Polonia? No, dai, è vera? È vera o no la storia che il calzino era bucato?». La sintesi la fa Ferri: «Il nostro alleato più che Ermini è Davigo». Più che resistenza attiva quella di Ermini sembra resistenza passiva. Sulle carte dell'inchiesta di Perugia finora disponibili anche ieri sono fioccate smentite. Soprattutto sul presunto tentativo di insabbiamento dell'inchiesta Consip, in cui è imputato Lotti. «Nulla avrei potuto fare con qualunque procuratore fosse stato nominato, anche si fosse trattato di persona a me vicina», ha dichiarato Palamara. Pure Lotti ha sconfessato quanto pubblicato dai quotidiani sui suoi incontri al Quirinale per discutere di nomine («Come è oggettivamente evidente dalle stesse intercettazioni io non ho commesso alcun reato, pressione o forzatura»), bollati dal Colle come «millanterie». Un esposto alla Procura di Perugia è stato invece presentato dal procuratore aggiunto di Napoli, Giuseppe Borrelli, in seguito alle indiscrezioni su un presunto colloquio tra Palamara e il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, Cesare Sirignano, nel quale sarebbe stato citato. «Apprendo con sorpresa e indignazione che mi sono state attribuite affermazioni mai pronunziate e intenzioni mai nutrite» ha scritto il quotidiano La Nazione «nell'ambito di una vicenda alla quale sono completamente estraneo. Da giorni ho provveduto a depositare al procuratore della Repubblica la documentazione comprovante la mia più totale estraneità a quei fatti, per l'inoltro della stessa agli organi competenti. Ho già dato mandato per tutelare in ogni sede giudiziaria la mia onorabilità di uomo e magistrato». Borrelli è uno dei 20 magistrati che ha presentato domanda per concorrere al posto di procuratore di Perugia, dopo il pensionamento di Luigi De Ficchy. Il sorteggio Dalla sponda Pd continua a cannoneggiare l'eurodeputato dem Franco Roberti, ex procuratore nazionale antimafia, per il quale sarebbe «ingenuo pensare che il caso Palamara sia isolato». Le intercettazioni restituiscono un «quadro inquietante e allarmante di commistione impropria e illegale tra politica e giustizia […] Questi incontri impropri danno segno di degrado morale della magistratura estremamente preoccupante. Bisognerebbe arrivare a una revisione generale delle coscienze, del senso etico». Un vero e proprio «mercato delle vacche». Per ora, però, non c'è nemmeno accordo sulla riforma del Csm. L'ipotesi del sorteggio è stata nuovamente bocciata. Unicost, la corrente a cui appartengono sia Palamara sia Luigi Spina, altro giudice indagato, l'ha definito «crudele gioco di una roulette russa in cui il grilletto in mano lo avranno ancor più in mano le lobby e le massonerie». Intanto, la Procura di Genova potrebbe acquisire gli atti dell'inchiesta di Perugia, in particolare le intercettazioni in cui si discuteva del procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, finito nel mirino di Lotti e Palamara.