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2019-07-02
Palamara alla sbarra, ma il pg che lo accusa rischia grosso: gli passava le notizie
Ansa
Il colpo di scena era nell'aria, ma ieri c'è stato un completo capovolgimento di fronte. Il pg della Cassazione che, proprio questa mattina, dovrà sostenere l'accusa a carico di Luca Palamara, è finito nel tritacarne del virus trojan installato nel cellulare del pm indagato a Perugia per corruzione. Riccardo Fuzio è stato intercettato mentre discute col suo futuro imputato non solo delle nomine di Roma («bisogna lavorare sui numeri», suggerisce), ma soprattutto mentre gli rivela informazioni sull'indagine in cui è coinvolto. Condotta che al consigliere Luigi Spina è costata la poltrona a Palazzo dei Marescialli e l'accusa di rivelazione di segreto investigativo. Che cosa succederà ora a Fuzio? Le intercettazioni, pubblicate online ieri dall'Espresso, sono eloquenti. Il pg della Suprema Corte, componente di Unicost, la stessa corrente di Palamara, riferisce all'ex presidente dell'Anm contenuti dell'informativa di 98 pagine arrivata, da pochi giorni, al Csm. Dice che «ci stanno le cose con Adele (l'amica con cui Palamara avrebbe condiviso soggiorni pagati da Fabrizio Centofanti, ndr)... e il viaggio a Dubai...». L'accusatore e l'accusato, insomma, il 21 maggio scorso parlavano tranquillamente dei risultati delle investigazioni di Perugia. Fuzio, addirittura, si spinge a dichiarare che se davvero il pm avesse favorito il procuratore Giancarlo Longo, in cambio di soldi, «ti arrestavano».
Palamara - che rischia la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio - è accusato di violazione dei doveri di «imparzialità, correttezza ed equilibrio», in relazione ai rapporti tenuti con l'imprenditore Fabrizio Centofanti, nonché di un «comportamento gravemente scorretto» attuato nella riunione notturna del 9 maggio scorso, in cui, alla presenza dei deputati Pd Luca Lotti (imputato nella Capitale per il caso Consip) e Cosimo Ferri, e di 5 consiglieri del Csm (4 dei quali si sono dimessi), avrebbe brigato per pilotare la successione del pensionato Giuseppe Pignatone alla guida di Piazzale Clodio. La difesa di Palamara, nei giorni scorsi, ha ricusato il consigliere di «Autonomia&Indipendenza» Sebastiano Ardita dopo che già due consiglieri, componenti della disciplinare, si erano astenuti: Marco Mancinetti (Unicost), e Giuseppe Cascini (Area). Se l'istanza dovesse essere accolta (gli avvocati lo scopriranno solo oggi), il tribunale delle toghe dovrebbe essere modificato visto che, dopo le dimissioni di Luigi Spina e Antonio Lepre, Ardita e Cascini sono gli unici togati pm.
A Palazzo dei Marescialli, la difesa di Palamara punta soprattutto a demolire i rapporti con l'imprenditore Centofanti. Come? Facendo leva su un particolare che il nostro giornale è in grado di anticipare. Nel quinquennio 2014-2018 la famiglia Palamara (il pm Luca e la moglie Giovanna Remigi, ex dirigente esterno della Regione Lazio) ha sviluppato una capacità finanziaria complessiva di ben 835.000 euro. Una ricchezza che ben giustificherebbe i viaggi e i soggiorni, in Italia e all'estero, e che minerebbe del tutto - secondo gli avvocati - l'assunto accusatorio della corruzione ad opera di Centofanti. Anche per il famoso anello regalato all'amica Adele Attisani, che per i pm di Perugia sarebbe stato in realtà pagato dall'imprenditore, l'ex presidente dell'Anm è pronto a offrire una spiegazione che, paradossalmente, lo espone ancor di più dal punto di vista familiare. Del monile, che per gli inquirenti valeva 2.000 euro ma che Palamara sostiene di aver acquistato per 6.500 euro, aveva parlato con l'allora capocentro della Dia di Catania, Renato Panvino, al quale il pm, in più tranche, avrebbe consegnato il contante a estinzione del debito col gioielliere di Misterbianco.
Sul fronte della contestata «disponibilità» dell'ex togato, in seno al Csm (2014-2018), che nel fascicolo di Perugia diventa addirittura l'accusa di aver incassato 40.000 euro per favorire la nomina di Giancarlo Longo alla guida della Procura di Gela, la linea difensiva trae spunto dalle stesse carte della magistratura umbra. Infatti, all'epoca Palamara non faceva parte della Quinta commissione (incarichi direttivi e semidirettivi). A smentire l'interessamento del pm romano sarebbe addirittura l'avvocato Giuseppe Calafiore, condannato insieme al collega Piero Amara per le presunte sentenze pilotate al Consiglio di Stato. Pur ammettendo di aver egli stesso tentato di favorire l'amico magistrato nella sua aspirazione, Calafiore ha negato che Palamara e Longo possano aver parlato di soldi. Resta da chiarire l'ultima contestazione, quella di aver saputo in anticipo i contenuti dell'inchiesta umbra grazie a Spina ma anche, come abbiamo visto, allo stesso pg. Aspetto su cui la difesa è pronta a dare battaglia. Anche perché, secondo i legali, la notizia era già da tempo non più riservata considerati gli articoli di giornale che avevano dato ampio risalto alla storia. Inoltre, a testimonianza di ciò, ci sarebbero delle chat WhatsApp tra Palamara e i magistrati Sergio Colaiocco e Giuseppe Cascini. Quest'ultimo viene citato, ripetutamente, nelle intercettazioni col virus spia. In particolare, nella ormai famosa conversazione del 9 maggio scorso, a cui erano presenti Lotti e Ferri, il consigliere dimissionario del Csm Luigi Spina sbotta: «Oggi, se fosse per me, Cascini gli impugnavo pure l'elezione e gli controllavamo i voti (...) tiravamo fuori la cosa del fratello...». In che cosa consista questa «cosa» non è chiaro. Il riferimento è a Marcello Cascini, sostituto procuratore di Roma. Ancora un fratello, dunque, nelle intercettazioni al veleno del «mercato delle toghe», dopo quelli di Giuseppe Pignatone e Paolo Ielo. Consulenti di aziende finite nel mirino dell'autorità giudiziaria capitolina, e fulcro centrale dell'esposto firmato dal pm Stefano Fava contro i suoi superiori in Procura.
Simone Di Meo
Intermediario per la Roma all’emiro. Il Bullo non smentisce il nostro scoop
Abbiamo atteso tutto il giorno, ma alla fine Matteo Renzi, sempre loquace, non ha smentito di essere il presunto intermediario di una trattativa per la cessione della Roma agli emiri del Qatar. Nella notte tra il 15 e il 16 maggio Luca Lotti aveva rivelato al pm Luca Palamara (intercettato dalla Guardia di finanza) quanto segue: «Matteo era a Doha (incomprensibile) ha detto “oh io la compro la Roma" c'era scritto “io la compro davvero la Roma, ma lo stadio si fa o no?" e Matteo gli ha risposto: “Guardi vediamoci a Parigi con Luca la settimana prossima…"».
Non è chiaro chi dovessero incontrare a Parigi Renzi e «Luca», probabilmente Lotti, per parlare dell'affare. Lo stesso Palamara, in un'altra convesazione, aveva detto alla moglie che l'ex ministro stava facendo da «intermediario per far comprare al Qatar la Roma». «Non commentiamo stronzate, siamo una società quotata» risponde con savoir faire il vicepresidente della società Mauro Baldissoni. A questo punto domandiamo se Lotti dica «stronzate»: «Questo lo dice lei. Noi non commentiamo false notizie». L'intercettazione, però, è vera: «I dialoghi tra terze persone non ci riguardano» è la conclusione del dirigente.
Di certo i rapporti tra il Giglio magico e il Qatar si sono consolidati nel tempo, favoriti anche dagli ottimi rapporti personali di Matteo con l'ambasciatore italiano a Doha, Pasquale Salzano. Ad aprile avevamo ricordato alcuni recenti viaggi dell'ex premier nell'emirato per non meglio specificate missioni. Le nostre fonti ci avevano parlato di un viaggio a fine marzo e di un altro tra il 29 e 30 dicembre scorsi. Nell'aprile 2018 l'ex premier era volato a Doha con l'imprenditore Marco Carrai al seguito, su invito dell'emiro, Tamim Bin Hamad Al Thani, per partecipare all'inaugurazione della biblioteca nazionale, insieme a un «gruppo ristretto di ex uomini di governo accomunati dalla passione per l'islam sunnita di Doha», tra cui Nicolas Sarkozy. Nell'occasione l'ex segretario del Pd si intrattenne per più di un'ora con i vertici della ricchissima Qatar foundation.
L'ex segretario Pd era volato a Doha anche subito dopo le sue dimissioni da capo del governo: era il 19 gennaio del 2017, e anche in quel caso si trattò di una visita lampo. L'emiro del piccolo Stato arabo controlla un fondo d'investimento che in Europa possiede quote di colossi bancari, ma anche immobili e hotel. Tra questi il Four seasons di Firenze, acquistato proprio dalla famiglia al-Thani: Matteo lo usa come ufficio, palestra e ristorante. È nota la passione per il calcio degli emiri, che organizzeranno il prossimo Mondiale e che possiedono il Paris Saint Germain. Ad aprile i giornali avevano dato la notizia di contatti tra un fondo del Qatar e Lotti per trovare finanziatori per la Fiorentina. Alla fine la squadra viola è stata acquistata dall'italo-americano Rocco Commisso. Da tempo nella capitale si vocifera di un interessamento del Qatar per la Roma. Si è parlato anche di un'offerta da 1,5 miliardi, comprendente la realizzazione del nuovo stadio. A febbraio rappresentanti dell'emirato avevano sondato la disponibilità di Francesco Totti a fare l'ambasciatore per i Mondiali del 2022. L'agenzia di stampa Adn kronos, citando fonti qatariote, ha riferito il «fastidio» del governo emiratino per le notizie apparse sul nostro giornale. Una mancanza di riservatezza che sarebbe stata bollata come «odiosa». Un incidente diplomatico che potrebbe far naufragare la trattativa. Ieri hanno commentato il nostro scoop molti tifosi, compresi diversi politici. «La Roma ha già tante disgrazie, ci manca solo se ne occupi Renzi: e poi a che titolo?» ha dichiarato il senatore di Forza Italia e tifoso giallorosso, Maurizio Gasparri. «Il Qatar non mi fa impazzire. È uno dei più noti finanziatori delle peggiori frange del fondamentalismo islamico».
Giacomo Amadori
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Riduci
Oggi giorno del giudizio al Csm. Caos nella sezione disciplinare: Riccardo Fuzio e il consigliere Ardita potrebbero dover lasciare il posto.Tengono banco le parole di Luca Lotti intercettato con il pm al centro di «toghe sporche».Lo speciale contiene due articoliIl colpo di scena era nell'aria, ma ieri c'è stato un completo capovolgimento di fronte. Il pg della Cassazione che, proprio questa mattina, dovrà sostenere l'accusa a carico di Luca Palamara, è finito nel tritacarne del virus trojan installato nel cellulare del pm indagato a Perugia per corruzione. Riccardo Fuzio è stato intercettato mentre discute col suo futuro imputato non solo delle nomine di Roma («bisogna lavorare sui numeri», suggerisce), ma soprattutto mentre gli rivela informazioni sull'indagine in cui è coinvolto. Condotta che al consigliere Luigi Spina è costata la poltrona a Palazzo dei Marescialli e l'accusa di rivelazione di segreto investigativo. Che cosa succederà ora a Fuzio? Le intercettazioni, pubblicate online ieri dall'Espresso, sono eloquenti. Il pg della Suprema Corte, componente di Unicost, la stessa corrente di Palamara, riferisce all'ex presidente dell'Anm contenuti dell'informativa di 98 pagine arrivata, da pochi giorni, al Csm. Dice che «ci stanno le cose con Adele (l'amica con cui Palamara avrebbe condiviso soggiorni pagati da Fabrizio Centofanti, ndr)... e il viaggio a Dubai...». L'accusatore e l'accusato, insomma, il 21 maggio scorso parlavano tranquillamente dei risultati delle investigazioni di Perugia. Fuzio, addirittura, si spinge a dichiarare che se davvero il pm avesse favorito il procuratore Giancarlo Longo, in cambio di soldi, «ti arrestavano».Palamara - che rischia la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio - è accusato di violazione dei doveri di «imparzialità, correttezza ed equilibrio», in relazione ai rapporti tenuti con l'imprenditore Fabrizio Centofanti, nonché di un «comportamento gravemente scorretto» attuato nella riunione notturna del 9 maggio scorso, in cui, alla presenza dei deputati Pd Luca Lotti (imputato nella Capitale per il caso Consip) e Cosimo Ferri, e di 5 consiglieri del Csm (4 dei quali si sono dimessi), avrebbe brigato per pilotare la successione del pensionato Giuseppe Pignatone alla guida di Piazzale Clodio. La difesa di Palamara, nei giorni scorsi, ha ricusato il consigliere di «Autonomia&Indipendenza» Sebastiano Ardita dopo che già due consiglieri, componenti della disciplinare, si erano astenuti: Marco Mancinetti (Unicost), e Giuseppe Cascini (Area). Se l'istanza dovesse essere accolta (gli avvocati lo scopriranno solo oggi), il tribunale delle toghe dovrebbe essere modificato visto che, dopo le dimissioni di Luigi Spina e Antonio Lepre, Ardita e Cascini sono gli unici togati pm.A Palazzo dei Marescialli, la difesa di Palamara punta soprattutto a demolire i rapporti con l'imprenditore Centofanti. Come? Facendo leva su un particolare che il nostro giornale è in grado di anticipare. Nel quinquennio 2014-2018 la famiglia Palamara (il pm Luca e la moglie Giovanna Remigi, ex dirigente esterno della Regione Lazio) ha sviluppato una capacità finanziaria complessiva di ben 835.000 euro. Una ricchezza che ben giustificherebbe i viaggi e i soggiorni, in Italia e all'estero, e che minerebbe del tutto - secondo gli avvocati - l'assunto accusatorio della corruzione ad opera di Centofanti. Anche per il famoso anello regalato all'amica Adele Attisani, che per i pm di Perugia sarebbe stato in realtà pagato dall'imprenditore, l'ex presidente dell'Anm è pronto a offrire una spiegazione che, paradossalmente, lo espone ancor di più dal punto di vista familiare. Del monile, che per gli inquirenti valeva 2.000 euro ma che Palamara sostiene di aver acquistato per 6.500 euro, aveva parlato con l'allora capocentro della Dia di Catania, Renato Panvino, al quale il pm, in più tranche, avrebbe consegnato il contante a estinzione del debito col gioielliere di Misterbianco.Sul fronte della contestata «disponibilità» dell'ex togato, in seno al Csm (2014-2018), che nel fascicolo di Perugia diventa addirittura l'accusa di aver incassato 40.000 euro per favorire la nomina di Giancarlo Longo alla guida della Procura di Gela, la linea difensiva trae spunto dalle stesse carte della magistratura umbra. Infatti, all'epoca Palamara non faceva parte della Quinta commissione (incarichi direttivi e semidirettivi). A smentire l'interessamento del pm romano sarebbe addirittura l'avvocato Giuseppe Calafiore, condannato insieme al collega Piero Amara per le presunte sentenze pilotate al Consiglio di Stato. Pur ammettendo di aver egli stesso tentato di favorire l'amico magistrato nella sua aspirazione, Calafiore ha negato che Palamara e Longo possano aver parlato di soldi. Resta da chiarire l'ultima contestazione, quella di aver saputo in anticipo i contenuti dell'inchiesta umbra grazie a Spina ma anche, come abbiamo visto, allo stesso pg. Aspetto su cui la difesa è pronta a dare battaglia. Anche perché, secondo i legali, la notizia era già da tempo non più riservata considerati gli articoli di giornale che avevano dato ampio risalto alla storia. Inoltre, a testimonianza di ciò, ci sarebbero delle chat WhatsApp tra Palamara e i magistrati Sergio Colaiocco e Giuseppe Cascini. Quest'ultimo viene citato, ripetutamente, nelle intercettazioni col virus spia. In particolare, nella ormai famosa conversazione del 9 maggio scorso, a cui erano presenti Lotti e Ferri, il consigliere dimissionario del Csm Luigi Spina sbotta: «Oggi, se fosse per me, Cascini gli impugnavo pure l'elezione e gli controllavamo i voti (...) tiravamo fuori la cosa del fratello...». In che cosa consista questa «cosa» non è chiaro. Il riferimento è a Marcello Cascini, sostituto procuratore di Roma. Ancora un fratello, dunque, nelle intercettazioni al veleno del «mercato delle toghe», dopo quelli di Giuseppe Pignatone e Paolo Ielo. Consulenti di aziende finite nel mirino dell'autorità giudiziaria capitolina, e fulcro centrale dell'esposto firmato dal pm Stefano Fava contro i suoi superiori in Procura.Simone Di Meo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/palamara-alla-sbarra-ma-il-pg-che-lo-accusa-rischia-grosso-gli-passava-le-notizie-2639047528.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="intermediario-per-la-roma-allemiro-il-bullo-non-smentisce-il-nostro-scoop" data-post-id="2639047528" data-published-at="1765428316" data-use-pagination="False"> Intermediario per la Roma all’emiro. Il Bullo non smentisce il nostro scoop Abbiamo atteso tutto il giorno, ma alla fine Matteo Renzi, sempre loquace, non ha smentito di essere il presunto intermediario di una trattativa per la cessione della Roma agli emiri del Qatar. Nella notte tra il 15 e il 16 maggio Luca Lotti aveva rivelato al pm Luca Palamara (intercettato dalla Guardia di finanza) quanto segue: «Matteo era a Doha (incomprensibile) ha detto “oh io la compro la Roma" c'era scritto “io la compro davvero la Roma, ma lo stadio si fa o no?" e Matteo gli ha risposto: “Guardi vediamoci a Parigi con Luca la settimana prossima…"». Non è chiaro chi dovessero incontrare a Parigi Renzi e «Luca», probabilmente Lotti, per parlare dell'affare. Lo stesso Palamara, in un'altra convesazione, aveva detto alla moglie che l'ex ministro stava facendo da «intermediario per far comprare al Qatar la Roma». «Non commentiamo stronzate, siamo una società quotata» risponde con savoir faire il vicepresidente della società Mauro Baldissoni. A questo punto domandiamo se Lotti dica «stronzate»: «Questo lo dice lei. Noi non commentiamo false notizie». L'intercettazione, però, è vera: «I dialoghi tra terze persone non ci riguardano» è la conclusione del dirigente. Di certo i rapporti tra il Giglio magico e il Qatar si sono consolidati nel tempo, favoriti anche dagli ottimi rapporti personali di Matteo con l'ambasciatore italiano a Doha, Pasquale Salzano. Ad aprile avevamo ricordato alcuni recenti viaggi dell'ex premier nell'emirato per non meglio specificate missioni. Le nostre fonti ci avevano parlato di un viaggio a fine marzo e di un altro tra il 29 e 30 dicembre scorsi. Nell'aprile 2018 l'ex premier era volato a Doha con l'imprenditore Marco Carrai al seguito, su invito dell'emiro, Tamim Bin Hamad Al Thani, per partecipare all'inaugurazione della biblioteca nazionale, insieme a un «gruppo ristretto di ex uomini di governo accomunati dalla passione per l'islam sunnita di Doha», tra cui Nicolas Sarkozy. Nell'occasione l'ex segretario del Pd si intrattenne per più di un'ora con i vertici della ricchissima Qatar foundation. L'ex segretario Pd era volato a Doha anche subito dopo le sue dimissioni da capo del governo: era il 19 gennaio del 2017, e anche in quel caso si trattò di una visita lampo. L'emiro del piccolo Stato arabo controlla un fondo d'investimento che in Europa possiede quote di colossi bancari, ma anche immobili e hotel. Tra questi il Four seasons di Firenze, acquistato proprio dalla famiglia al-Thani: Matteo lo usa come ufficio, palestra e ristorante. È nota la passione per il calcio degli emiri, che organizzeranno il prossimo Mondiale e che possiedono il Paris Saint Germain. Ad aprile i giornali avevano dato la notizia di contatti tra un fondo del Qatar e Lotti per trovare finanziatori per la Fiorentina. Alla fine la squadra viola è stata acquistata dall'italo-americano Rocco Commisso. Da tempo nella capitale si vocifera di un interessamento del Qatar per la Roma. Si è parlato anche di un'offerta da 1,5 miliardi, comprendente la realizzazione del nuovo stadio. A febbraio rappresentanti dell'emirato avevano sondato la disponibilità di Francesco Totti a fare l'ambasciatore per i Mondiali del 2022. L'agenzia di stampa Adn kronos, citando fonti qatariote, ha riferito il «fastidio» del governo emiratino per le notizie apparse sul nostro giornale. Una mancanza di riservatezza che sarebbe stata bollata come «odiosa». Un incidente diplomatico che potrebbe far naufragare la trattativa. Ieri hanno commentato il nostro scoop molti tifosi, compresi diversi politici. «La Roma ha già tante disgrazie, ci manca solo se ne occupi Renzi: e poi a che titolo?» ha dichiarato il senatore di Forza Italia e tifoso giallorosso, Maurizio Gasparri. «Il Qatar non mi fa impazzire. È uno dei più noti finanziatori delle peggiori frange del fondamentalismo islamico». Giacomo Amadori
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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