2023-11-28
Pagelle ai magistrati, ma niente test. Chigi approva la bozza di riforma
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio (Ansa)
La proposta di esami psicoattitudinali salta in extremis. Giro di vite ai fuori ruolo.Era il rovello di Silvio Berlusconi. Visto l’assillante accerchiamento giudiziario propose test psicoattitudinali per i magistrati. L’ipotesi periodicamente è riemersa. Persino in un disegno di legge dell’ex Guardasigilli grillino, Alfonso Bonafede. E anche stavolta, ieri mattina per la precisione, è rispuntata: durante la riunione preparatoria del Consiglio dei ministri per presentare due decreti legislativi sulla riforma dell’ordinamento giudiziario. Niente di sconvolgente né inedito, tra l’altro: per entrare nelle forze di polizia e nell’esercito si fanno simili test. Eppure, anche stavolta, l’ipotesi è evaporata. Era nata durante il confronto tra governo e tecnici. Non figurava quindi nelle bozze dei provvedimenti. Potrebbero aver pesato allora le parole del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha annunciato sibillino il rischio di un’«opposizione giudiziaria». Così, mentre infuriava lo scontro tra politica e giustizia, riemerge la vecchia intenzione del Cavaliere. Salvo essere immediatamente riposta in un cassetto. Comunque, un messaggio agli indomabili naviganti. Il consiglio dei ministri vara invece un altro provvedimento avversatissimo: le pagelle per le toghe, già previste dalla riforma dell’ex Guardiasigilli, Marta Cartabia. Si dovrebbe chiamare «fascicolo del magistrato». Dentro ci sarebbero: numeri, dati, giudizi dei vertici, procedimenti sospesi, richieste e provvedimenti durante il processo, verbali di udienze. Tutto, insomma. Del resto, i casi di scarsa produttività tra le toghe sono diventati leggendari. Assassini scarcerati, giudici malati in barca a vela, errori clamorosi. Il Csm infine valuterà le toga: promozioni e bocciature ogni quattro anni, a partire dalla data di nomina. L’esame si conclude dopo la settima valutazione: cioè dopo 28 anni di carriera.I due decreti legislativi approvati regolano anche un’altra eterna diatriba: il collocamento fuori ruolo dei magistrati. Non sarà più così semplice. O meglio: il governo inserisce adesso dei paletti temporali. Dovranno passare dieci anni di servizio. Per evitare possibile conflitto di interessi e porte girevoli, serviranno tre anni prima di poter ottenere un altro incarico esterno, se quest’ultimo è durato almeno un lustro. A meno di incarichi in istituzioni di particolare rilievo. Viene però introdotto un elemento preclusivo: la scopertura dell’ufficio di provenienza. Insomma, se il prescelto è in servizio in una Procura con carenza d’organico, potrebbe dover rimanere chino sui fascicoli arretrati. A decidere dovrebbe essere il Csm, sulla base appunto di eventuali urgenze. In sostanza: la toga chiamata fuori ruolo, in questo caso dovrebbe rimanere al suo posto. Per non aggravare la situazione dell’ufficio. Anche la durata viene limitata: sette anni al massimo. Salvo che per gli incarichi particolarmente rilevanti, meno che quelli avuti all’estero: la durata, in questo caso, resta di dieci anni. Il governo mette un argine anche al numero. Escludendo ministero della Giustizia, dicastero degli Esteri, Csm e organi costituzionali, i magistrati fuori ruolo non potranno essere più di quaranta. Dallo schema di uno dei decreti legislativi approvato dal Consiglio dei ministri, emerge anche maggiore attenzione su eventuali «gravi anomalie» nei procedimenti penali e nei giudizi. In particolare sul «rigetto delle richieste formulate» dal pm o la «riforma dei provvedimenti dei magistrati giudicanti», legati «a motivi particolarmente gravi o particolarmente numerosi».Niente test psicoattitudinali, invece. Già, era il settembre 2003. Berlusconi viene intervistato dalla rivista inglese The Spectator. I magistrati sono «mentalmente disturbati», spara. L’allora Guardasigilli, il leghista Roberto Castelli, ipotizza quindi dei test psicoattitudinali. Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, smentisce irritato. Stavolta, non ce n’è stato bisogno. Forse.
Ursula von der Leyen (Ansa)
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