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2025-08-18
I pagamenti del Comune di Milano alla fondazione che fa capo a Catella
Manfredi Catella (Ansa)
La Biblioteca degli Alberi di Milano non è soltanto un giardino. È il cuore di una rete che tiene insieme politica, urbanistica e grandi affari immobiliari, con al vertice la Fondazione Riccardo Catella, espressione civico-culturale di Coima e del suo patron, Manfredi Catella. Da oltre dieci anni la Fondazione si presenta come soggetto impegnato nella valorizzazione del verde urbano e nell’inclusione sociale. Ma i documenti di trasparenza, i bilanci e soprattutto le intercettazioni depositate nelle ultime inchieste urbanistiche raccontano un quadro molto diverso: milioni di euro provenienti da fondi pubblici e sponsor privati, rapporti costanti e diretti con il sindaco, assessori e architetti di primo piano, potenziali conflitti di interesse negli organi comunali che decidono il destino dei progetti urbani.
La narrazione ufficiale, quando nel 2019 il Comune di Milano affidò la gestione della Biblioteca degli Alberi alla Fondazione insieme a Coima, parlava di «costo zero per le casse pubbliche», perché la manutenzione del parco sarebbe stata coperta da sponsor privati. In realtà, incrociando i bilanci e le pagine di governance, emerge che dal 2019 al 2025 la Fondazione ha incassato 1 milione e 52.000 euro di contributi pubblici dal ministero della Cultura, dalla Regione Lombardia, dalla Camera di Commercio e da fondazioni come Cariplo e Aem. Solo dal Comune di Milano sono arrivati 160.000 euro in cinque anni, a cui vanno aggiunti altri 10.000 euro dalla Fondazione Aem, partecipata di Palazzo Marino. In totale, dunque, la quota riconducibile direttamente o indirettamente al Comune ammonta a 170.000 euro. A questi vanno aggiunti i 410.000 euro annui stimati di copertura dei costi di gestione di Bam garantiti dagli sponsor privati e ulteriori introiti legati alla concessione degli «spazi eventi», che consentono alla Fondazione di incassare risorse supplementari. Non è dunque soltanto un soggetto che vive di donazioni volontarie: è un attore che intercetta fondi pubblici consistenti e li somma a sponsorizzazioni e ricavi commerciali, costruendo un flusso stabile e rilevante di denaro.
Dentro questo meccanismo spicca la presenza di figure che pongono più di una domanda sulla separazione dei ruoli. Nell’organigramma 2019 della Fondazione compare il nome di Giuseppe Marinoni, indicato come membro del comitato scientifico per l’area Architettura e Territorio. Pochi anni dopo, nel 2022, Marinoni diventa presidente della Commissione Paesaggio del Comune di Milano, l’organo che esprime pareri vincolanti sui progetti urbanistici più delicati della città. Le intercettazioni mettono nero su bianco il rischio di commistione: in un messaggio a Catella, per esempio, l’archistar Stefano Boeri scrive che Marinoni «appoggia totalmente questa ipotesi e lo farà in Commissione», riferendosi a una soluzione progettuale che avrebbe dovuto superare rilievi critici.
Il sistema di relazioni di Catella (accusato di corruzione e falso e che mercoledì 20 avrà udienza riesame sugli arresti domiciliari) con il potere politico e amministrativo milanese è fotografato dalle chat sequestrate dagli inquirenti. Con il sindaco Giuseppe Sala i rapporti sono diretti e continui. È Catella a scrivere nel pieno delle trattative urbanistiche: «Avvio asta entro fine anno. Su parco trovate un accordo!», messaggio che fa emergere come il sindaco fosse informato in tempo reale su scadenze e strategie. In un altro scambio, Catella gli propone di vedersi «con calma, per un gin tonic e ragionare sul futuro», e Sala risponde con disponibilità. In un passaggio significativo, Catella aggiorna il primo cittadino sul Villaggio Olimpico e sui fondi Pnrr concludendo con un cordiale «buon cantiere».
Con Boeri, oltre alle valutazioni progettuali, entrano in gioco persino vicende personali: il 23 marzo 2022 Boeri scrive a Catella che «Giovanna Melandri che conosci bene sta cercando appartamento per sua figlia diciottenne a Milano, budget 450.000 circa. Se hai qualche dritta gliene parlo». Qualche settimana dopo, l’8 giugno 2022, è Catella a scrivergli indignato per le dichiarazioni dell’ex assessore Pierfrancesco Maran sui progetti di Porta Nuova e CityLife: «Modeste ma gravi», dice, e Boeri replica: «Basterebbe pensare a come ha gestito lui la vicenda». Anche Maran lo interpella: il 13 gennaio 2023 l’ex assessore scrive a Catella di aver visto Luca Sofri del Post, con un’idea per la nuova sede che potrebbe incrociarsi con gli spazi allo Scalo Farini: «Se hai voglia di incontrarlo vi metto in contatto. Colgo l’occasione per chiederti se vogliamo vederci per aggiornarci sui progetti». Catella accetta. «Ciao Pierfrancesco, organizziamo incrocio con Sofri per ascoltare progetto e tra di noi». Con l’ex assessore Tancredi e con il dirigente Christian Malangone emergono dialoghi su verifiche preliminari e accelerazioni di pratiche urbanistiche.
All’interno della Fondazione, la macchina organizzativa funziona con parametri manageriali da grande azienda. Francesca Colombo, direttrice generale e culturale della Bam e direttrice della Fondazione, nel 2023 ha percepito 128.000 euro di fisso più 40.000 di bonus per Bam e altri 32.000 più 10.000 per la Fondazione, arrivando a un totale di 210.000 euro.
Il confronto con gli altri spazi verdi di Milano è illuminante. La Biblioteca degli Alberi copre circa 90.000 metri quadrati, con un costo stimato di gestione di circa 4,5 euro al metro quadrato all’anno. I Giardini Pubblici Indro Montanelli, 172.000 metri quadrati, secondo stime comunali ricevono invece circa 1 euro al metro quadrato. Una sproporzione che si accentua se si ricorda l’estate del 2023, quando una tempesta abbatté migliaia di alberi in città, colpendo proprio i parchi storici che soffrono di cronico sottofinanziamento.
Il pressing di Tancredi sulla Procura
C’era un tempo, non troppo lontano, in cui a Milano i confini tra politica e magistratura sembravano più sfumati. L’allora procuratore capo Francesco Greco partecipava, nel novembre 2016, per esempio alla festa per i 60 anni di Stefano Boeri, architetto e amministratore pubblico, oggi indagato nelle inchieste urbanistiche. Con l’arrivo di Marcello Viola nel 2022 il clima sembra cambiato. Non più brindisi con gli archistar, ma faldoni giudiziari, acquisizioni di atti e incontri negli uffici del palazzo di Giustizia. È in questo contesto che si collocano le chat acquisite dagli inquirenti dell’ex assessore all’Urbanistica Giancarlo Tancredi, indirizzate al sindaco Beppe Sala e al direttore generale Christian Malangone, tra la primavera 2023 e i primi mesi del 2024.
Già nel maggio 2023 Tancredi scrive a Malangone: «Oggi Procura ha acquisito atti su altri due progetti. Situazione critica. Sconforto uffici su pratiche regolarissime». Poche ore dopo aggiunge: «Oggi ne parlo al Capo. Mi sembra che ci sia una improvvisa degenerazione. Io vorrei andare dalla Procuratrice e spiegarle, anche cosa intendo fare in prospettiva».
Il 24 giugno avvisa Sala sul progetto di tre torri al Parco Lambro: «Molto contestato a livello di Municipio e quartiere, ma soprattutto nel mirino della Procura. La mia richiesta è stata di non ridurre di un mq, ma di modificare il progetto, evitando edifici molto alti sul parco. Lui l’ha presa male e minaccia azioni legali». Sala gli risponde di tenerlo aggiornato. A luglio insiste con Malangone: «Riesci a trovare un momento martedì mattina prima della Giunta sul problema dell’ultimo procedimento aperto dalla Procura sugli edifici di altezza oltre i 25 metri? È molto urgente». A dicembre, con il Pgt in discussione, scrive a Sala: «Io rimarrei fermo su una linea il più possibile orientata al sociale (casa, ecc.) e a dare segnali forti alla Procura, che ci sta creando enormi problemi». Nello stesso mese annuncia: «Passaggio in Procura, questa volta chiedo incontro a Petruzzella». E il 23 dicembre propone a Sala una mossa mediatica sulla Torre Milano: «Uscirei sulla stampa dichiarando la nostra disponibilità a collaborare con la magistratura... cercherò di non essere polemico ma citerei sentenze di giurisprudenza che rovesciano quanto sostenuto dalla Procura». Sala risponde di sentire prima Antonello Mandarano, dell’avvocatuta comunale.
Il 13 gennaio 2024 informa Sala di andare a parlare «con il procuratore capo Viola sulle inchieste edilizie... negli uffici il clima è pessimo, sconforto e terrore di ricevere da un giorno all’altro avvisi di garanzia». Dopo i provvedimenti che colpiscono l’ex assessore Marco Granelli per la ciclabile di Corso Buenos Aires, dopo la morte di una ciclista investita, scrive ancora: «Ci siamo appena visti sul tema Procura e sulle indicazioni da dare agli uffici sui procedimenti simili a quelli contestati. Ti chiederei un incontro a breve... e direi anche Arianna per la situazione analoga negli uffici della Mobilità dopo i provvedimenti di ieri nei confronti di Granelli e dirigenti».
Il 26 gennaio aggiorna il sindaco: «Decisioni difficili ma stiamo definendo una linea». Il 2 febbraio aggiunge che il Comune, insieme alla Regione, avrebbe trovato una via istituzionale. Qualche giorno dopo frena: «Io non direi nulla sulle trattative con la Procura, perché porterebbero molto scompiglio sugli oneri aggiuntivi. Direi che stiamo valutando comunicazioni per ora interlocutorie sui punti sollevati dalla Procura».
Infine, il 4 marzo, dopo che una troupe televisiva ha inseguito una dirigente comunale indagata, Tancredi avvisa Sala: «Domani ho appuntamento con troupe Rete 4 su vicende Procura. Direi meglio parlargli, se sei d’accordo. Sarò ermetico, zero polemico, rimandando allo sviluppo dei procedimenti penali in corso e alla necessità di fare luce il prima possibile sull’interpretazione di norme urbanistiche, peraltro molto complesse».
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L’ente ha incassato oltre 1 milione di contributi pubblici anche da Ministero della Cultura e Regione Lombardia. Boeri e Maran si rivolgevano all’immobiliarista per aiutare la Melandri e Luca Sofri.Negli anni l’ex assessore all’Urbanistica Giancarlo Tancredi ha sempre aggiornato Sala delle mosse per «ammorbidire» il clima nel Palazzo di Giustizia, cambiato con l’arrivo di Viola.Lo speciale contiene due articoli.La Biblioteca degli Alberi di Milano non è soltanto un giardino. È il cuore di una rete che tiene insieme politica, urbanistica e grandi affari immobiliari, con al vertice la Fondazione Riccardo Catella, espressione civico-culturale di Coima e del suo patron, Manfredi Catella. Da oltre dieci anni la Fondazione si presenta come soggetto impegnato nella valorizzazione del verde urbano e nell’inclusione sociale. Ma i documenti di trasparenza, i bilanci e soprattutto le intercettazioni depositate nelle ultime inchieste urbanistiche raccontano un quadro molto diverso: milioni di euro provenienti da fondi pubblici e sponsor privati, rapporti costanti e diretti con il sindaco, assessori e architetti di primo piano, potenziali conflitti di interesse negli organi comunali che decidono il destino dei progetti urbani.La narrazione ufficiale, quando nel 2019 il Comune di Milano affidò la gestione della Biblioteca degli Alberi alla Fondazione insieme a Coima, parlava di «costo zero per le casse pubbliche», perché la manutenzione del parco sarebbe stata coperta da sponsor privati. In realtà, incrociando i bilanci e le pagine di governance, emerge che dal 2019 al 2025 la Fondazione ha incassato 1 milione e 52.000 euro di contributi pubblici dal ministero della Cultura, dalla Regione Lombardia, dalla Camera di Commercio e da fondazioni come Cariplo e Aem. Solo dal Comune di Milano sono arrivati 160.000 euro in cinque anni, a cui vanno aggiunti altri 10.000 euro dalla Fondazione Aem, partecipata di Palazzo Marino. In totale, dunque, la quota riconducibile direttamente o indirettamente al Comune ammonta a 170.000 euro. A questi vanno aggiunti i 410.000 euro annui stimati di copertura dei costi di gestione di Bam garantiti dagli sponsor privati e ulteriori introiti legati alla concessione degli «spazi eventi», che consentono alla Fondazione di incassare risorse supplementari. Non è dunque soltanto un soggetto che vive di donazioni volontarie: è un attore che intercetta fondi pubblici consistenti e li somma a sponsorizzazioni e ricavi commerciali, costruendo un flusso stabile e rilevante di denaro.Dentro questo meccanismo spicca la presenza di figure che pongono più di una domanda sulla separazione dei ruoli. Nell’organigramma 2019 della Fondazione compare il nome di Giuseppe Marinoni, indicato come membro del comitato scientifico per l’area Architettura e Territorio. Pochi anni dopo, nel 2022, Marinoni diventa presidente della Commissione Paesaggio del Comune di Milano, l’organo che esprime pareri vincolanti sui progetti urbanistici più delicati della città. Le intercettazioni mettono nero su bianco il rischio di commistione: in un messaggio a Catella, per esempio, l’archistar Stefano Boeri scrive che Marinoni «appoggia totalmente questa ipotesi e lo farà in Commissione», riferendosi a una soluzione progettuale che avrebbe dovuto superare rilievi critici. Il sistema di relazioni di Catella (accusato di corruzione e falso e che mercoledì 20 avrà udienza riesame sugli arresti domiciliari) con il potere politico e amministrativo milanese è fotografato dalle chat sequestrate dagli inquirenti. Con il sindaco Giuseppe Sala i rapporti sono diretti e continui. È Catella a scrivere nel pieno delle trattative urbanistiche: «Avvio asta entro fine anno. Su parco trovate un accordo!», messaggio che fa emergere come il sindaco fosse informato in tempo reale su scadenze e strategie. In un altro scambio, Catella gli propone di vedersi «con calma, per un gin tonic e ragionare sul futuro», e Sala risponde con disponibilità. In un passaggio significativo, Catella aggiorna il primo cittadino sul Villaggio Olimpico e sui fondi Pnrr concludendo con un cordiale «buon cantiere». Con Boeri, oltre alle valutazioni progettuali, entrano in gioco persino vicende personali: il 23 marzo 2022 Boeri scrive a Catella che «Giovanna Melandri che conosci bene sta cercando appartamento per sua figlia diciottenne a Milano, budget 450.000 circa. Se hai qualche dritta gliene parlo». Qualche settimana dopo, l’8 giugno 2022, è Catella a scrivergli indignato per le dichiarazioni dell’ex assessore Pierfrancesco Maran sui progetti di Porta Nuova e CityLife: «Modeste ma gravi», dice, e Boeri replica: «Basterebbe pensare a come ha gestito lui la vicenda». Anche Maran lo interpella: il 13 gennaio 2023 l’ex assessore scrive a Catella di aver visto Luca Sofri del Post, con un’idea per la nuova sede che potrebbe incrociarsi con gli spazi allo Scalo Farini: «Se hai voglia di incontrarlo vi metto in contatto. Colgo l’occasione per chiederti se vogliamo vederci per aggiornarci sui progetti». Catella accetta. «Ciao Pierfrancesco, organizziamo incrocio con Sofri per ascoltare progetto e tra di noi». Con l’ex assessore Tancredi e con il dirigente Christian Malangone emergono dialoghi su verifiche preliminari e accelerazioni di pratiche urbanistiche. All’interno della Fondazione, la macchina organizzativa funziona con parametri manageriali da grande azienda. Francesca Colombo, direttrice generale e culturale della Bam e direttrice della Fondazione, nel 2023 ha percepito 128.000 euro di fisso più 40.000 di bonus per Bam e altri 32.000 più 10.000 per la Fondazione, arrivando a un totale di 210.000 euro. Il confronto con gli altri spazi verdi di Milano è illuminante. La Biblioteca degli Alberi copre circa 90.000 metri quadrati, con un costo stimato di gestione di circa 4,5 euro al metro quadrato all’anno. I Giardini Pubblici Indro Montanelli, 172.000 metri quadrati, secondo stime comunali ricevono invece circa 1 euro al metro quadrato. Una sproporzione che si accentua se si ricorda l’estate del 2023, quando una tempesta abbatté migliaia di alberi in città, colpendo proprio i parchi storici che soffrono di cronico sottofinanziamento.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pagamenti-comune-milano-fondazione-catella-2673891390.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-pressing-di-tancredi-sulla-procura" data-post-id="2673891390" data-published-at="1755482973" data-use-pagination="False"> Il pressing di Tancredi sulla Procura C’era un tempo, non troppo lontano, in cui a Milano i confini tra politica e magistratura sembravano più sfumati. L’allora procuratore capo Francesco Greco partecipava, nel novembre 2016, per esempio alla festa per i 60 anni di Stefano Boeri, architetto e amministratore pubblico, oggi indagato nelle inchieste urbanistiche. Con l’arrivo di Marcello Viola nel 2022 il clima sembra cambiato. Non più brindisi con gli archistar, ma faldoni giudiziari, acquisizioni di atti e incontri negli uffici del palazzo di Giustizia. È in questo contesto che si collocano le chat acquisite dagli inquirenti dell’ex assessore all’Urbanistica Giancarlo Tancredi, indirizzate al sindaco Beppe Sala e al direttore generale Christian Malangone, tra la primavera 2023 e i primi mesi del 2024.Già nel maggio 2023 Tancredi scrive a Malangone: «Oggi Procura ha acquisito atti su altri due progetti. Situazione critica. Sconforto uffici su pratiche regolarissime». Poche ore dopo aggiunge: «Oggi ne parlo al Capo. Mi sembra che ci sia una improvvisa degenerazione. Io vorrei andare dalla Procuratrice e spiegarle, anche cosa intendo fare in prospettiva».Il 24 giugno avvisa Sala sul progetto di tre torri al Parco Lambro: «Molto contestato a livello di Municipio e quartiere, ma soprattutto nel mirino della Procura. La mia richiesta è stata di non ridurre di un mq, ma di modificare il progetto, evitando edifici molto alti sul parco. Lui l’ha presa male e minaccia azioni legali». Sala gli risponde di tenerlo aggiornato. A luglio insiste con Malangone: «Riesci a trovare un momento martedì mattina prima della Giunta sul problema dell’ultimo procedimento aperto dalla Procura sugli edifici di altezza oltre i 25 metri? È molto urgente». A dicembre, con il Pgt in discussione, scrive a Sala: «Io rimarrei fermo su una linea il più possibile orientata al sociale (casa, ecc.) e a dare segnali forti alla Procura, che ci sta creando enormi problemi». Nello stesso mese annuncia: «Passaggio in Procura, questa volta chiedo incontro a Petruzzella». E il 23 dicembre propone a Sala una mossa mediatica sulla Torre Milano: «Uscirei sulla stampa dichiarando la nostra disponibilità a collaborare con la magistratura... cercherò di non essere polemico ma citerei sentenze di giurisprudenza che rovesciano quanto sostenuto dalla Procura». Sala risponde di sentire prima Antonello Mandarano, dell’avvocatuta comunale.Il 13 gennaio 2024 informa Sala di andare a parlare «con il procuratore capo Viola sulle inchieste edilizie... negli uffici il clima è pessimo, sconforto e terrore di ricevere da un giorno all’altro avvisi di garanzia». Dopo i provvedimenti che colpiscono l’ex assessore Marco Granelli per la ciclabile di Corso Buenos Aires, dopo la morte di una ciclista investita, scrive ancora: «Ci siamo appena visti sul tema Procura e sulle indicazioni da dare agli uffici sui procedimenti simili a quelli contestati. Ti chiederei un incontro a breve... e direi anche Arianna per la situazione analoga negli uffici della Mobilità dopo i provvedimenti di ieri nei confronti di Granelli e dirigenti».Il 26 gennaio aggiorna il sindaco: «Decisioni difficili ma stiamo definendo una linea». Il 2 febbraio aggiunge che il Comune, insieme alla Regione, avrebbe trovato una via istituzionale. Qualche giorno dopo frena: «Io non direi nulla sulle trattative con la Procura, perché porterebbero molto scompiglio sugli oneri aggiuntivi. Direi che stiamo valutando comunicazioni per ora interlocutorie sui punti sollevati dalla Procura».Infine, il 4 marzo, dopo che una troupe televisiva ha inseguito una dirigente comunale indagata, Tancredi avvisa Sala: «Domani ho appuntamento con troupe Rete 4 su vicende Procura. Direi meglio parlargli, se sei d’accordo. Sarò ermetico, zero polemico, rimandando allo sviluppo dei procedimenti penali in corso e alla necessità di fare luce il prima possibile sull’interpretazione di norme urbanistiche, peraltro molto complesse».
Luis «Toto» Caputo (Getty Images)
Caputo, classe 1965, cresciuto al Collegio Cardenal Newman e laureato in Economia all’Università di Buenos Aires, è il fulcro del sistema Milei. Dopo una lunga carriera tra Jp Morgan e Deutsche Bank, dov’è stato uno dei trader di riferimento per l’America Latina, entra in politica con Mauricio Macri nel 2015 come segretario e poi ministro delle Finanze, gestendo il rientro dell’Argentina nei mercati con il compromesso sui fondi avvoltoio e il celebre bond centenario (un’obbligazione da 45 miliardi di dollari con scadenza a 100 anni e cedola del 7,125%). Nell’esperienza di governo con Macri, il debito privato argentino è salito dal 16% al 38% del Pil.
Con Milei, torna al centro della scena come ministro dell’Economia dal dicembre 2023. Subito attua tagli feroci a sussidi e spesa, operazioni che riportano l’Argentina al surplus fiscale dopo anni di disavanzi.
Accanto a lui, nel ruolo di vice, c’è José Luis Daza, nato a Buenos Aires da diplomatici cileni ma formato tra Cile, Stati Uniti e i grandi desk di Wall Street. Economista dell’Universidad de Chile, con un dottorato all’Università di Georgetown, rappresentante del Banco Central de Chile a Tokyo, poi capo ricerca mercati emergenti a Jp Morgan e Deutsche Bank. Daza ha fondato l’hedge fund Qfr Capital ed è stato consigliere del candidato conservatore cileno José Antonio Kast. Dal 2024 è segretario alla politica economica e viceministro di Caputo, con il compito chiave di tenere i rapporti con il Fondo monetario internazionale e con gli investitori di tutto il mondo.
Pablo Quirno è invece il ponte tra l’universo finanziario e la diplomazia. Discendente di una storica famiglia conservatrice argentina, studia Economia alla University of Pennsylvania (Wharton) e costruisce una carriera in Jp Morgan come direttore per l’America Latina e membro del comitato di gestione regionale, seguendo privatizzazioni e ristrutturazioni di debito in mezzo mondo. Nel 2016 entra nel governo Macri come coordinatore della segreteria delle Finanze e capo di gabinetto di Caputo, passando anche dal board della Banca centrale argentina. Con Milei è prima segretario alle Finanze, poi (dopo le dimissioni di Gerardo Werthein) promosso ministro degli Esteri nell’ottobre 2025, simbolo dell’allineamento sempre più netto con gli Stati Uniti.
Infine, Santiago Bausili, 1974, anche lui formatosi al Collegio Cardenal Newman e poi all’Università di San Andrés. Per oltre undici anni in Jp Morgan e quasi nove in Deutsche Bank, si specializza in debito sovrano latinoamericano e derivati, spesso in tandem con Caputo. Nel 2016 passa al settore pubblico come sottosegretario e poi segretario alle Finanze nel governo Macri. Nel dicembre 2023 Milei lo nomina presidente della Banca centrale, dietro raccomandazione di Caputo.
La strategia del team Caputo è quella della disciplina fiscale a tutti i costi. L’obiettivo immediato è stato frenare l’inflazione, crollata da oltre il 200% all’inizio del mandato a circa il 30%. Ma il prezzo è la macelleria sociale. Pensioni, salari pubblici e prestazioni sociali non sono state adeguate all’inflazione e la disoccupazione è aumentata.
L’altro elemento critico della strategia di Caputo è la gestione della valuta argentina. Nonostante Milei avesse un tempo definito il peso «escremento», la sua amministrazione ha adottato una politica di sostegno alla valuta, mantenendo tassi di interesse elevati e controlli stretti su cambi e capitali. Questa formula, già tentata dai predecessori senza successo, ha lo scopo di stabilizzare l’inflazione in un mercato dei cambi volatile e ristretto.
Questa politica monetaria rigida ha avuto un impatto tossico sul sistema bancario. I tassi di interesse elevati hanno spinto il tasso di morosità sui prestiti ai massimi da almeno 15 anni, costringendo le banche a ridurre drasticamente l’erogazione di credito.
Il grande rischio per Caputo e la sua squadra di ex- trader è che l’accumulo di riserve in valuta forte si sta rivelando troppo impegnativo (secondo il Fmi), nonostante gli sforzi. La sopravvivenza politica di Milei, e l’efficacia dell’esperimento di Caputo, dipendono dalla capacità di tradurre l’austerità e il sostegno finanziario di Washington in prosperità per la maggioranza. Finora, l’esperimento è basato su un precario equilibrio tra disciplina finanziaria draconiana e un sostegno esterno senza precedenti, una miscela esplosiva che sta mettendo a dura prova il tessuto sociale argentino.
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Javier Milei (Ansa)
Milei, l’economista libertario dalla chioma selvatica, ha ottenuto una vittoria sorprendente nelle elezioni di medio termine a fine ottobre, un risultato che gli ha conferito un mandato inequivocabile per il suo programma di terapia shock. Il suo partito, La Libertad Avanza (Lla), ha conquistato circa il 41% dei voti a livello nazionale, doppiando la sua rappresentanza al Congresso, contro il 32% del fronte peronista. Questo risultato ha trasformato il suo gruppo nel più numeroso della Camera bassa, garantendogli la minoranza necessaria per preservare il potere di veto e difendere i suoi decreti presidenziali.
Il trionfo del partito di Milei è stato un inatteso ribaltamento del paesaggio politico. Il dato più sorprendente è che le periferie povere di Buenos Aires, da sempre la roccaforte del movimento peronista, hanno compiuto una svolta storica a sfavore del partito erede del peronismo storico, Fuerza Patria di Cristina Kirchner. I peronisti hanno governato l’Argentina per vent’anni dal 2003, salvo la pausa di quattro anni di Mauricio Macri tra il 2015 e il 2019.
Mentre gli elettori della classe media si sono mobilitati per sostenere la motosega di Milei, la chiave della sconfitta peronista è stata l’astensione o il voto contrario degli elettori più poveri, stanchi di un’instabilità economica permanente cui le fiacche politiche dei passati presidenti li condannavano. Il mandato presidenziale di Alberto Fernández, considerato quasi all’unanimità come il peggior presidente della giovane democrazia argentina, ha significato la fine della pazienza in gran parte dell’elettorato.
Il pilastro della rivoluzione di Milei è l’austerità feroce e senza compromessi. Fin dall’inizio del suo mandato, il presidente ha avviato riforme drastiche, riuscendo a trasformare un deficit fiscale primario in un surplus. Ha tagliato l’occupazione pubblica di oltre il 10%, ha tolto protezioni sociali e rendite diffuse.
Il risultato di questa cura drastica è stato l’abbattimento dell’iperinflazione, che è crollata da oltre il 200% all’inizio del suo mandato a circa il 30% al momento delle elezioni. I mercati internazionali hanno premiato questa determinazione, con il calo del rischio sovrano e un rally nei titoli e nelle obbligazioni subito dopo il voto. Tuttavia, la terapia shock ha avuto un costo sociale elevato, con Milei stesso che ha ammesso che l’austerità aveva portato alla chiusura di fabbriche e all’aumento della disoccupazione.
La scalata di Milei non sarebbe stata possibile senza l’intervento diretto degli Stati Uniti. Il presidente Donald Trump ha scommesso pesantemente sul successo del presidente, offrendo un salvataggio finanziario senza precedenti: un accordo di swap di valuta da 20 miliardi di dollari e la promessa di raccogliere altri 20 miliardi di dollari da banche private e fondi sovrani. Questo sostegno finanziario è stato esplicitamente condizionato al successo di Milei nelle elezioni di medio termine, confermando che l’Argentina è ora un alleato ideologico chiave di Washington, fondamentale per contrastare l’influenza cinese in America Latina.
La squadra economica di Milei, soprannominata i «ragazzi di Jp Morgan» per la forte presenza di ex trader di Wall Street come il ministro dell’Economia Luis Caputo, è ora impegnata in un atto di equilibrismo, cercando di stabilizzare il traballante peso e ricondurre l’Argentina sui mercati internazionali.
Milei sta capitalizzando il suo mandato non solo per aggiustare i conti, ma per smantellare lo Stato in senso profondo. Ha introdotto il regime di incentivi per i grandi investimenti (Rigi), che garantisce 30 anni di stabilità fiscale, disponibilità di valuta estera e protezioni legali agli investitori stranieri per progetti superiori a 200 milioni di dollari. Questa mossa è strategica per trasformare l’Argentina in una potenza mineraria, sfruttando le sue immense riserve inesplorate di rame e litio.
L’Argentina, che condivide la stessa catena montuosa del Cile, esportatore per 20 miliardi di dollari di rame all’anno, non esporta un solo grammo di questo metallo critico. L’obiettivo di Milei è attrarre circa 26 miliardi di dollari in investimenti per i progetti di rame, promettendo che l’Argentina «avrà dollari a sufficienza». L’Argentina, inoltre, detiene riserve significative nel Triangolo del litio ed è il quarto esportatore mondiale di questo minerale.
A riprova della sua visione radicale, l’amministrazione Milei sta rimodellando la struttura dello Stato, avvicinandola al modello di sicurezza nordamericano. La Direzione nazionale delle migrazioni è stata trasferita dal ministero dell’Interno a quello della Sicurezza. Poi, per la prima volta dal ritorno alla democrazia nel 1983, Milei ha nominato un generale, Carlos Presti, a capo del ministero della Difesa, con l’intento dichiarato di «porre fine alla demonizzazione dei nostri ufficiali, sottufficiali e soldati». Infine, il presidente sta spingendo per la privatizzazione e la modernizzazione dell’obsoleta rete ferroviaria per potenziare le esportazioni di cereali, rame e litio, aumentando le esportazioni di 100 miliardi di dollari in sette anni.
Nonostante il chiaro allineamento con Washington, Milei è costretto a un difficile pragmatismo verso Pechino, principale cliente per la soia argentina. Nonostante avesse liquidato la Cina come partner «comunista» in campagna elettorale, Milei ha dovuto riconoscerla come un «partner commerciale molto interessante» dopo la conferma di uno swap valutario multimiliardario da parte di Pechino.
Il destino politico di Milei dipende dalla sua capacità di tradurre le riforme orientate al mercato in prosperità tangibile per la maggioranza, specialmente in un momento in cui gli argentini sono preoccupati per la perdita di posti di lavoro e il calo del reddito. Le politiche deflazioniste attuate per compiacere i mercati e frenare l’inflazione hanno un costo sociale alto, quello della disoccupazione e del calo dei consumi. Milei deve quindi trovare sempre nuovi obiettivi e nuovi capri espiatori per evitare che la questione sociale esploda e faccia dell’Argentina una polveriera.
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Ansa
Secondo le prime ricostruzioni almeno due uomini vestiti di nero - mentre le autorità non escludono la presenza di un terzo complice - hanno aperto il fuoco a breve distanza dalla spiaggia, scatenando il panico tra la folla. Diversi testimoni, citati dai media locali, hanno raccontato di colpi esplosi senza sosta e di persone in fuga nel tentativo di mettersi in salvo. L’emittente pubblica Abc ha reso noto il nome di uno dei due attentatori, senza precisare se sia deceduto durante l’assalto. Si tratta di Naveed Akram, cittadino pakistano di 25 anni residente a Sydney, nel quartiere di Bonnyrigg; nella sua auto sono stati ritrovate altre armi e esplosivi, segno che il disegno era molto più ampio. Il secondo autore dell’attacco terroristico è stato identificato come Khaled al Nablusi, cittadino libanese di origine palestinese, affiliato all’Isis, che tuttavia non ha rivendicato l’attacco. Le autorità hanno confermato che almeno uno degli aggressori era noto ai servizi di sicurezza. A riferirlo è stato il direttore dell’Australian security intelligence organisation (Asio), Mike Burgess: «Uno di questi individui ci era noto, ma non con la prospettiva di rappresentare una minaccia immediata. Dobbiamo capire cos’è successo qui».
Resta aperto il nodo delle misure di sicurezza: l’assenza di un dispositivo rafforzato appare difficilmente spiegabile, considerata l’ondata di antisemitismo e le minacce contro la comunità ebraica che da mesi attraversano l’Australia. Invece di smantellare le reti estremiste, il governo ha permesso ai centri islamici legati all’ideologia radicale, tra cui l’Istituto Al Murad, di continuare a operare. Queste istituzioni hanno contribuito a radicalizzare i giovani e persino i bambini, creando le condizioni che hanno prodotto terroristi come Naveed Akram. Secondo quanto emerso, i due uomini armati sono arrivati indisturbati nei pressi dell’area dell’evento e hanno sparato per circa nove minuti utilizzando fucili a pompa Remington 870. Prima dell’intervento della polizia Hamad el Ahmed, arabo-australiano e gestore di un chiosco sulla spiaggia, ha affrontato a mani nude uno degli attentatori riuscendo a neutralizzarlo, salvando così altre vite umane. Colpito da due proiettili, è rimasto ferito e dovrà essere sottoposto a un intervento chirurgico.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accusato l’Australia di aver alimentato il clima di odio, affermando che il Paese «ha gettato benzina sul fuoco dell’antisemitismo» prima dell’attacco di Sydney. Netanyahu ha ricordato di aver inviato ad agosto una lettera al primo ministro Anthony Albanese. Come riportato dal Times of Israel, il premier israeliano ha sostenuto che le politiche di Albanese, incluso il riconoscimento di uno Stato palestinese, incoraggiano «l’odio per gli ebrei che ora infesta le vostre strade. L’antisemitismo è un cancro. Si diffonde quando i leader rimangono in silenzio. Dovete sostituire la debolezza con l’azione». Il presidente dell’Organizzazione sionista mondiale, Yaakov Hagoel, ha collegato la strage a una più ampia escalation globale: «La serie di aggressioni antisemite che si registrano in tutto il mondo è scioccante e richiama alla memoria i periodi più bui della storia». «Dal 7 ottobre è in corso una guerra che non colpisce soltanto lo Stato di Israele, ma ogni ebreo ovunque si trovi. Questo è diventato l’ottavo fronte di quel conflitto». Resta ora da chiarire se l’attacco sia opera di due «lupi solitari», ipotesi improbabile, o se vi sia una regia esterna.
Israele ha avviato consultazioni strategiche e di sicurezza per individuare eventuali mandanti. Negli ultimi mesi, le autorità israeliane avevano lanciato avvertimenti sulla possibile preparazione, da parte dell’Iran, di infrastrutture terroristiche destinate a colpire comunità ebraiche in Australia. Secondo le valutazioni israeliane, il principale sospettato resta Teheran, con possibili collegamenti a organizzazioni come Hezbollah, Hamas e Lashkar-e-Taiba, gruppi che negli anni hanno dimostrato capacità operative anche al di fuori del Medio Oriente; così come non va scartato l’Isis. L’ipotesi prevalente, però, è che l’Iran abbia fornito supporto logistico, finanziario o di addestramento, sfruttando reti già esistenti e canali di radicalizzazione attivi sui social media. Se dovesse emergere una responsabilità diretta di Teheran, la risposta di Israele sarà inevitabile, in linea con la dottrina di deterrenza adottata negli ultimi anni. Tempi, luoghi e modalità restano da definire ma potremmo scoprilo a breve.
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Erika Kirk (Ansa)
Le parole che ha pronunciato e sta pronunciando in televisione in queste settimane sono le migliore e più elevata risposta non solo a coloro che uccidono in nome di un Dio o di una idea, ma pure a tutti quelli che in questi mesi hanno vilipeso la memoria di Charlie, ne hanno mistificato il pensiero e le frasi.
Parlando alla Cbs, Erika ha ribadito che «l’unico modo per combattere il male, proprio come ha fatto Charlie, è attraverso il dialogo e non avendo paura di praticarlo». Quando le hanno fatto notare che Donald Trump aveva chiesto punizioni feroci per i democratici, Erika ha risposto con determinazione: «Non sarò mai d’accordo con la violenza politica». «Mio marito ne è vittima. Io ne sono vittima».
Non c’è spazio per l’odio nel cuore di Erika Kirk, c’è piuttosto il rifiuto per ogni forma di discriminazione vera, a partire dall’antisemitismo. Certo, Charlie aveva criticato la politica e gli attacchi di Israele su Gaza, ma «diceva sempre molto chiaramente che l’odio verso gli ebrei è frutto di un cervello marcio». Erika respinge dunque l’odio contro gli ebrei in quanto tali, e pure le teorie del complotto, comprese quelle sull’omicidio di suo marito. Anche per questo invita i genitori a limitare il tempo che i figli trascorrono sul Web. «Volete che vostro figlio diventi un leader di pensiero o un assassino?», domanda agli ascoltatori.
Erika risponde pure a tutti quelli che hanno giustificato più o meno direttamente l’uccisione di Charlie (e come sappiamo ce ne sono molti anche dalle nostre parti). «Vuoi guardare in alta risoluzione il video dell’omicidio di mio marito, ridere e dire che se lo merita? C’è qualcosa di molto malato nella tua anima, e prego che Dio ti salvi», dice. Quindi si rivolge ai vari commentatori e opinionisti che hanno tentato di dipingere suo marito come un odiatore, pescando qui e là fra i suoi interventi per suggerire che fosse intollerante, razzista, omofobo. «Mio marito non si lascia ridurre a due frasi...», spiega Erika. «No. Era un leader di pensiero, ed era un uomo brillante. Quindi va bene se si vogliono togliere le parole dalla sua bocca o decontestualizzarle senza dare la giusta prospettiva, ma è proprio questo il problema». Già: l’astio nei confronti di Charlie si è manifestato anche dopo la sua morte proprio attraverso la decontestualizzazione e manipolazione delle sue parole.
Hanno avuto il fegato, pure in Italia, di contestare il suo funerale, ovviamente trascurando ciò che Erika disse in quella occasione, la sua straordinaria lezione di umanità e amore. Alla Cbs ha raccontato come decise di perdonare il killer del marito. Prima di prendere il microfono e parlare al mondo si chiese: «Mi prenderò quel momento per dire: “Radunate le truppe, bruciate la città, marciate per le strade”? Oppure prenderò quel momento e farò qualcosa di ancora più grande, più potente, e dirò: “È una rinascita. E lascerò che si scateni, e lascerò che il Signore la usi in modi che nessun altro avrebbe mai potuto immaginare”?». Sappiamo che cosa abbia scelto Erika: ha respinto l’odio e scelto il perdono. E lo sceglie anche oggi: riceve ancora tonnellate di minacce di morte, ma non viene meno al suo impegno. Perché sa che solo così si può rispondere alla violenza. Mentre tutto attorno si consumano stragi, si sparge odio politico e si censurano le idee sgradite, la via di Erika resta l’unica percorribile: la più difficile, e la più forte.
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