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2019-02-20
Padre Spadaro vuole un sinodo anti leghista
Ansa
Padre Antonio Spadaro chiama e i vescovi italiani, alcuni vescovi, rispondono. Con un breve articolo sul numero di febbraio della influente rivista La Civiltà cattolica il direttore, uno dei più stretti collaboratori di papa Bergoglio, chiama a raccolta «i cristiani che fanno l'Italia», come novello don Sturzo che si rivolge ai «liberi e forti».
«La forza propulsiva del cattolicesimo democratico», scrive il direttore, «ha bisogno di essere resistente in questi tempi confusi, ma anche di ascoltare e capire meglio», perciò, ecco la parola d'ordine, c'è bisogno di «un esercizio effettivo di sinodalità all'interno della Chiesa» italiana. L'idea del partito politico dei cattolici, già pensata e proposta dallo stesso Spadaro, deve essere risultata un po' troppo azzardata visto l'attuale panorama politico, quindi per fare «discernimento» molto meglio partire da una bella assemblea. È pur sempre un modo per fare qualcosa, senza però andare direttamente a sbattere. Quindi, ecco la conclusione, posta come una domanda, ma che è il programma che attua la linea: «Che dunque stia maturando», si chiede Spadaro, «il tempo per un sinodo della Chiesa italiana?».
E alcuni vescovi italiani, che pure avrebbero una loro assemblea e un loro presidente, rispondono in ordine sparso, ma non casuale. Come nei migliori spettacoli pirotecnici, al petardo iniziale segue un florilegio di luci nel cielo. Il 31 gennaio sono le colonne di Avvenire a ripubblicare la chiamata di Spadaro, poi è un crescendo continuo, tanto che lo stesso Spadaro twitta con soddisfazione: «Urgente un #sinodo per l'#Italia. Anche l'arcivescovo di Palermo interviene sul Corriere rilanciando la proposta di Civiltà Cattolica… Lo avevano preceduto i vescovi di Rieti (sull'Osservatore Romano) e di Modena (su Avvenire)». Monsignor Corrado Lorefice, Palermo, Erio Castellucci, Modena e Domenico Pompili, Rieti, ex sottosegretario della Cei, si sono messi in fila per sostenere la proposta di Spadaro.
La sfida al cardinale Gualtiero Bassetti, presidente Cei, è aperta. Sembra, infatti, che l'attivissimo Spadaro stia lanciando un Opa sulla Cei, almeno morale. È innegabile che il ruolo di padre Spadaro in questo pontificato sia centrale e fortissimo, inserito in un contesto in cui papa Francesco preferisce affidarsi ad alcuni fedelissimi consiglieri, piuttosto che rivolgersi a chi è deputato agli uffici. Non a caso Frédéric Martel, autore francese del controverso pamphlet Sodoma, in uscita in questi giorni, ha definito padre Spadaro (con cui ha condiviso sei interviste e pasti) «la testa di ponte del papa», «giovane, dinamico, affascinante».
Il primo a rispondere alla chiamata è stato monsignor Domenico Pompili intervistato dal neo direttore dell'Osservatore romano, Andrea Monda, che pare essere stato suggerito per il ruolo proprio da Spadaro e con la benedizione del neo direttore editoriale dei media vaticani, Andrea Tornielli. L'intervistato si fa portavoce convinto della proposta del gesuita. «Sento che potrebbe avere un effetto benefico», ha detto il vescovo di Rieti. Non è tempo per un partito, ma «è proprio il percorso sinodale a scongiurare questo rischio, perché vuole essere un cammino che è espressione di un popolo e non di una parte, tanto meno di un partito».
«Non si potrà chiedere al magistero di entrare direttamente in campo nelle scelte politiche, nelle strategie partitiche e nei processi di stesura e applicazione delle leggi», gli fa eco monsignor Erio Castellucci su Avvenire. Viste le divisioni all'interno del mondo cattolico, registra il vescovo di Modena, la chiesa italiana non deve «farsi frullare dall'attualità», e non può «cedere alla tentazione di rispondere all'arroganza con l'arroganza; preparando piuttosto una generazione capace di leggere 'i segni del tempi'». Per fare questi nuovi profeti, anche Castellucci benedice la proposta di un sinodo, una mega assemblea che ha i suoi meriti certo, ma che ha anche il vantaggio di evitare di sporcarsi troppo le mani. Così tutto questo desiderio di sinodo sembra soltanto un tentativo per marcare comunque la distanza da qualsiasi «salvinismo», senza però misurarsi più o meno direttamente con le urne. Anche perché alcuni sondaggi indicano che i cattolici si ostinano in buona parte a votare Lega.
Una faccenda che Spadaro mostra di non gradire per nulla, come scrive in punta di penna nella sua chiamata al sinodo. «Se prima si dava a Dio quel che invece sarebbe stato bene restasse nelle mani di Cesare», chiosa il gesuita, «adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio, a volte pure con la complicità dei chierici». Così l'immagine di Matteo Salvini con in mano il rosario sembra emergere dal sottotesto quasi a colori.
Sulle colonne del Corriere della sera anche l'arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, alfiere della cosiddetta scuola di Bologna, marchio Doc del cattolicesimo democratico, benedice la chiamata al sinodo di Spadaro. Lorefice scrive che è necessario rivolgersi al popolo, quello vero. Quello che «va al di là delle semplicistiche separazioni tra elites e popolo»; «c'è molto altro che pulsa (…) ben oltre i social media e le dichiarazioni on line». Ma così il pastore sembra come alla ricerca del popolo che non c'è, visto che quello che si esprime lo fa in modo non sufficientemente fedele alla linea.
Spadaro ha lanciato l'idea e subito arrivano le sponde. Assenti e silenti, per ora, il presidente Cei, cardinale Bassetti, e il segretario Stefano Russo, e così la scalata di Spadaro sull'agenda dei vescovi italiani è partita.
L’appello di Burke e Brandmüller: «Fermate la deriva omosessuale»
Due dei quattro cardinali che firmarono i famosi dubia a proposito di alcuni passaggi dell'esortazione Amoris laetitia, domande a cui il Papa non ha mai risposto, hanno deciso di uscire allo scoperto alla vigilia dell'Incontro in programma da giovedì a domenica in Vaticano per gli abusi del clero.Si tratta dei cardinali Raymond Burke e Walter Brandmüller, gli unici ancora in vita delle quattro porpore che si rivolsero al Papa perché facesse chiarezza su alcune questioni di teologia morale. «Di fronte alla deriva in atto», scrivono i due cardinali rivolgendosi ai partecipanti all'incontro in Vaticano, «sembra che il problema si riduca a quello degli abusi dei minori, un orribile crimine, specialmente quando perpetrato da un sacerdote, che però è solo parte di una crisi ben più vasta».
È questo il nuovo dubia che si pongono i due cardinali, più volte attaccati, Burke anche recentemente e in modo piuttosto tendenzioso nel libro Sodoma di Frederic Martel, per le loro posizioni «tradizionaliste». Ogni riferimento agli abusi su adulti vulnerabili (quindi anche i seminaristi abusati da un vescovo, ad esempio) è stato defalcato dal programma che, come spiegato nella conferenza stampa di presentazione di lunedì, si concentra solo sugli abusi sui minori. L'omosessualità, ha spiegato, infatti, il cardinale Blase Cupich «di per sé non è una causa», pur riconoscendo il dramma dei numeri che vedono tra le vittime del clero soprattutto giovani e giovanissimi adolescenti. Ma il punto è chiaro: l'omosessualità è fuori dall'agenda, la causa è stata identificata nell'abuso di potere, definito dal Papa «clericalismo».
«Si accusa il clericalismo per gli abusi sessuali», rispondono i due cardinali, «ma la prima e principale responsabilità del clero non sta nell'abuso di potere, ma nell'essersi allontanato dalla verità del Vangelo. La negazione, anche pubblica, nelle parole e nei fatti, della legge divina e naturale, sta alla radice del male che corrompe certi ambienti della Chiesa». Per questo sottolineano che il problema non può essere eluso. «La piaga dell'agenda omosessuale è diffusa all'interno della Chiesa, promossa da reti organizzate e protetta da un clima di complicità e omertà. Le radici di questo fenomeno evidentemente stanno in quell'atmosfera di materialismo, di relativismo e di edonismo, in cui l'esistenza di una legge morale assoluta, cioè senza eccezioni, è messa apertamente in discussione».
Burke e Brandmüller chiedono che l'omertà sia vinta anche per la questione omosessualità, che ritengono una piaga nella piaga. «Di fronte a questa situazione, cardinali e vescovi tacciono. Tacerete anche voi in occasione della riunione convocata in Vaticano?».
«Siamo tra coloro che nel 2016 interpellarono il Santo Padre sui dubia che dividevano la Chiesa dopo le conclusioni del Sinodo sulla famiglia», si legge ancora nella lettera diffusa ieri nel tardo pomeriggio. «Oggi quei dubia non solo non hanno avuto risposta, ma sono parte di una più generale crisi della fede. Perciò, vi incoraggiamo ad alzare la voce per salvaguardare e proclamare l'integrità della dottrina della Chiesa». È verosimile che il loro sarà un altro appello senza risposte, o forse qualche sparuto vescovo partecipante proverà a porre il problema dell'omosessualità nel clero? È difficile pensarlo, proprio perché il tema dell'incontro è stato blindato su una questione specifica.
Intanto un'assenza tra i relatori e tra i membri del Comitato organizzativo dell'incontro solleva un altro dubia. Perché il presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori, cardinale Sean O'Malley, è di fatto escluso da ogni ruolo di rilievo? Si dice che i suoi rapporti con il Papa, un tempo cordialissimi, siano assai raffreddati.
Lorenzo Bertocchi
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Il gesuita chiama a raccolta i vescovi italiani: «C'è bisogno del cattolicesimo democratico per far chiarezza in questi tempi confusi». Un tentativo di marcare le distanze da Matteo Salvini, ma senza misurarsi con le urne. E in molti, da Domenico Pompili a Erio Castellucci, rispondono di sì.Clamorosa lettera dei cardinali ai presidenti delle conferenze episcopali chiamati a Roma.Lo speciale contiene due articoliPadre Antonio Spadaro chiama e i vescovi italiani, alcuni vescovi, rispondono. Con un breve articolo sul numero di febbraio della influente rivista La Civiltà cattolica il direttore, uno dei più stretti collaboratori di papa Bergoglio, chiama a raccolta «i cristiani che fanno l'Italia», come novello don Sturzo che si rivolge ai «liberi e forti».«La forza propulsiva del cattolicesimo democratico», scrive il direttore, «ha bisogno di essere resistente in questi tempi confusi, ma anche di ascoltare e capire meglio», perciò, ecco la parola d'ordine, c'è bisogno di «un esercizio effettivo di sinodalità all'interno della Chiesa» italiana. L'idea del partito politico dei cattolici, già pensata e proposta dallo stesso Spadaro, deve essere risultata un po' troppo azzardata visto l'attuale panorama politico, quindi per fare «discernimento» molto meglio partire da una bella assemblea. È pur sempre un modo per fare qualcosa, senza però andare direttamente a sbattere. Quindi, ecco la conclusione, posta come una domanda, ma che è il programma che attua la linea: «Che dunque stia maturando», si chiede Spadaro, «il tempo per un sinodo della Chiesa italiana?».E alcuni vescovi italiani, che pure avrebbero una loro assemblea e un loro presidente, rispondono in ordine sparso, ma non casuale. Come nei migliori spettacoli pirotecnici, al petardo iniziale segue un florilegio di luci nel cielo. Il 31 gennaio sono le colonne di Avvenire a ripubblicare la chiamata di Spadaro, poi è un crescendo continuo, tanto che lo stesso Spadaro twitta con soddisfazione: «Urgente un #sinodo per l'#Italia. Anche l'arcivescovo di Palermo interviene sul Corriere rilanciando la proposta di Civiltà Cattolica… Lo avevano preceduto i vescovi di Rieti (sull'Osservatore Romano) e di Modena (su Avvenire)». Monsignor Corrado Lorefice, Palermo, Erio Castellucci, Modena e Domenico Pompili, Rieti, ex sottosegretario della Cei, si sono messi in fila per sostenere la proposta di Spadaro.La sfida al cardinale Gualtiero Bassetti, presidente Cei, è aperta. Sembra, infatti, che l'attivissimo Spadaro stia lanciando un Opa sulla Cei, almeno morale. È innegabile che il ruolo di padre Spadaro in questo pontificato sia centrale e fortissimo, inserito in un contesto in cui papa Francesco preferisce affidarsi ad alcuni fedelissimi consiglieri, piuttosto che rivolgersi a chi è deputato agli uffici. Non a caso Frédéric Martel, autore francese del controverso pamphlet Sodoma, in uscita in questi giorni, ha definito padre Spadaro (con cui ha condiviso sei interviste e pasti) «la testa di ponte del papa», «giovane, dinamico, affascinante». Il primo a rispondere alla chiamata è stato monsignor Domenico Pompili intervistato dal neo direttore dell'Osservatore romano, Andrea Monda, che pare essere stato suggerito per il ruolo proprio da Spadaro e con la benedizione del neo direttore editoriale dei media vaticani, Andrea Tornielli. L'intervistato si fa portavoce convinto della proposta del gesuita. «Sento che potrebbe avere un effetto benefico», ha detto il vescovo di Rieti. Non è tempo per un partito, ma «è proprio il percorso sinodale a scongiurare questo rischio, perché vuole essere un cammino che è espressione di un popolo e non di una parte, tanto meno di un partito». «Non si potrà chiedere al magistero di entrare direttamente in campo nelle scelte politiche, nelle strategie partitiche e nei processi di stesura e applicazione delle leggi», gli fa eco monsignor Erio Castellucci su Avvenire. Viste le divisioni all'interno del mondo cattolico, registra il vescovo di Modena, la chiesa italiana non deve «farsi frullare dall'attualità», e non può «cedere alla tentazione di rispondere all'arroganza con l'arroganza; preparando piuttosto una generazione capace di leggere 'i segni del tempi'». Per fare questi nuovi profeti, anche Castellucci benedice la proposta di un sinodo, una mega assemblea che ha i suoi meriti certo, ma che ha anche il vantaggio di evitare di sporcarsi troppo le mani. Così tutto questo desiderio di sinodo sembra soltanto un tentativo per marcare comunque la distanza da qualsiasi «salvinismo», senza però misurarsi più o meno direttamente con le urne. Anche perché alcuni sondaggi indicano che i cattolici si ostinano in buona parte a votare Lega.Una faccenda che Spadaro mostra di non gradire per nulla, come scrive in punta di penna nella sua chiamata al sinodo. «Se prima si dava a Dio quel che invece sarebbe stato bene restasse nelle mani di Cesare», chiosa il gesuita, «adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio, a volte pure con la complicità dei chierici». Così l'immagine di Matteo Salvini con in mano il rosario sembra emergere dal sottotesto quasi a colori.Sulle colonne del Corriere della sera anche l'arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, alfiere della cosiddetta scuola di Bologna, marchio Doc del cattolicesimo democratico, benedice la chiamata al sinodo di Spadaro. Lorefice scrive che è necessario rivolgersi al popolo, quello vero. Quello che «va al di là delle semplicistiche separazioni tra elites e popolo»; «c'è molto altro che pulsa (…) ben oltre i social media e le dichiarazioni on line». Ma così il pastore sembra come alla ricerca del popolo che non c'è, visto che quello che si esprime lo fa in modo non sufficientemente fedele alla linea.Spadaro ha lanciato l'idea e subito arrivano le sponde. Assenti e silenti, per ora, il presidente Cei, cardinale Bassetti, e il segretario Stefano Russo, e così la scalata di Spadaro sull'agenda dei vescovi italiani è partita.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/padre-spadaro-vuole-un-sinodo-anti-leghista-2629427433.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lappello-di-burke-e-brandmuller-fermate-la-deriva-omosessuale" data-post-id="2629427433" data-published-at="1766340217" data-use-pagination="False"> L’appello di Burke e Brandmüller: «Fermate la deriva omosessuale» Due dei quattro cardinali che firmarono i famosi dubia a proposito di alcuni passaggi dell'esortazione Amoris laetitia, domande a cui il Papa non ha mai risposto, hanno deciso di uscire allo scoperto alla vigilia dell'Incontro in programma da giovedì a domenica in Vaticano per gli abusi del clero.Si tratta dei cardinali Raymond Burke e Walter Brandmüller, gli unici ancora in vita delle quattro porpore che si rivolsero al Papa perché facesse chiarezza su alcune questioni di teologia morale. «Di fronte alla deriva in atto», scrivono i due cardinali rivolgendosi ai partecipanti all'incontro in Vaticano, «sembra che il problema si riduca a quello degli abusi dei minori, un orribile crimine, specialmente quando perpetrato da un sacerdote, che però è solo parte di una crisi ben più vasta». È questo il nuovo dubia che si pongono i due cardinali, più volte attaccati, Burke anche recentemente e in modo piuttosto tendenzioso nel libro Sodoma di Frederic Martel, per le loro posizioni «tradizionaliste». Ogni riferimento agli abusi su adulti vulnerabili (quindi anche i seminaristi abusati da un vescovo, ad esempio) è stato defalcato dal programma che, come spiegato nella conferenza stampa di presentazione di lunedì, si concentra solo sugli abusi sui minori. L'omosessualità, ha spiegato, infatti, il cardinale Blase Cupich «di per sé non è una causa», pur riconoscendo il dramma dei numeri che vedono tra le vittime del clero soprattutto giovani e giovanissimi adolescenti. Ma il punto è chiaro: l'omosessualità è fuori dall'agenda, la causa è stata identificata nell'abuso di potere, definito dal Papa «clericalismo». «Si accusa il clericalismo per gli abusi sessuali», rispondono i due cardinali, «ma la prima e principale responsabilità del clero non sta nell'abuso di potere, ma nell'essersi allontanato dalla verità del Vangelo. La negazione, anche pubblica, nelle parole e nei fatti, della legge divina e naturale, sta alla radice del male che corrompe certi ambienti della Chiesa». Per questo sottolineano che il problema non può essere eluso. «La piaga dell'agenda omosessuale è diffusa all'interno della Chiesa, promossa da reti organizzate e protetta da un clima di complicità e omertà. Le radici di questo fenomeno evidentemente stanno in quell'atmosfera di materialismo, di relativismo e di edonismo, in cui l'esistenza di una legge morale assoluta, cioè senza eccezioni, è messa apertamente in discussione». Burke e Brandmüller chiedono che l'omertà sia vinta anche per la questione omosessualità, che ritengono una piaga nella piaga. «Di fronte a questa situazione, cardinali e vescovi tacciono. Tacerete anche voi in occasione della riunione convocata in Vaticano?». «Siamo tra coloro che nel 2016 interpellarono il Santo Padre sui dubia che dividevano la Chiesa dopo le conclusioni del Sinodo sulla famiglia», si legge ancora nella lettera diffusa ieri nel tardo pomeriggio. «Oggi quei dubia non solo non hanno avuto risposta, ma sono parte di una più generale crisi della fede. Perciò, vi incoraggiamo ad alzare la voce per salvaguardare e proclamare l'integrità della dottrina della Chiesa». È verosimile che il loro sarà un altro appello senza risposte, o forse qualche sparuto vescovo partecipante proverà a porre il problema dell'omosessualità nel clero? È difficile pensarlo, proprio perché il tema dell'incontro è stato blindato su una questione specifica. Intanto un'assenza tra i relatori e tra i membri del Comitato organizzativo dell'incontro solleva un altro dubia. Perché il presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori, cardinale Sean O'Malley, è di fatto escluso da ogni ruolo di rilievo? Si dice che i suoi rapporti con il Papa, un tempo cordialissimi, siano assai raffreddati. Lorenzo Bertocchi
La famiglia Trevallion-Birmingham (Ansa)
È infatti una prepotenza senza significato confrontare una bomba affettiva e esistenziale come tre fratellini che giocano e si vogliono evidentemente bene, accompagnata da genitori altrettanto uniti, e naturalmente affettivi con norme e abitudini di un Paese dove il nucleo abitativo più frequente nelle città più prestigiose consiste in un cittadino singolo. Pretendere che i pochi figli superstiti in qualche «terra di nessuno», con i suoi boschi e le affettuosità (che ancora esistono fuori dalle famiglie-tipo), si uniformino ai secchi diritti e cupe abitudini del sociologico e disperato «gruppo dei pari» è un’operazione di una freddezza stalinista, per fortuna destinata allo scacco. È coltivata da burocrazie che scambiano relazioni profonde e vere, comunque indispensabili alla vita e alla sua felicità, con strumenti tecnici, adoperabili solo quando la famiglia purtroppo non c’è più, molto spesso per l’ottusità e la corruzione dello Stato stesso che le subentra (come racconta Hanna Arendt) quando è riuscito a distruggerla. Se non si vuole creare danni inguaribili, tutti, anche i funzionari dello Stato, dovrebbero fare attenzione a non sostituire gli aspetti già legati all’umano fin dalla creazione del mondo, con pratiche esterne magari infiocchettate dalle burocrazie ma che non c’entrano nulla con la sostanza dell’uomo e la sua capacità di sopravvivere.
Certo, la bimba Utopia Rose, citata nel bel pezzo di Francesco Borgonovo del 18 dicembre, è una testimone insostituibile di un’altra visione del mondo rispetto alle varie ideologie che prevalgono in questo momento, unendo ferocia e ricchezza, cinismo e follia. Impossibile di fronte ai fratellini che tanto scandalizzano le burocrazie perbene non ricordare (oltretutto a pochi giorni dal Natale) l’ordine di Gesù: «Lasciate che questi piccoli vengano a me». Nessuno dubita che entreranno nel Regno prima degli assistenti sociali. Utopia Rose, la più grande, è affettuosa e impegnata, lavoratrice e giocattolona, organizzatrice e sognatrice. Però non è sola (Come si fa a non amarla, e anche un po’ invidiarla?). Non soltanto perché ha i suoi due fratellini, e i tre quarti del pubblico fa il tifo per loro. Ma perché questa visione loro e dei genitori di cercare una vita buona e naturale, semplicemente felice e affettuosa verso sé e verso gli altri e tutto il mondo vivente, cresce con la stessa velocità con la quale si sviluppa l’idolatria verso tutto ciò che è artificiale, fabbricato, mentale, non affettivo. È già qualche anno che chi viene in analisi scopre soprattutto questo: l’urgenza di mettersi al riparo dagli egoismi e pretese grandiose, vuote e fredde, e invece amare. Ormai il fenomeno trasborda nelle cronache. Trasgressione conclusiva, dialettale e popolaresca (milanese): «Spérèm»!
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(Imagoeconomica)
A leggere queste parole c’è davvero da impazzire. In pratica si continua a ripetere che questi bambini sono bravi, educati, felici e amati. Ma hanno difficoltà con la lettura e si cambiano i vestiti troppo raramente. E alle nostre istituzioni, oltre che a una parte della politica, sembra normale che tanto basti per strapparli ai genitori e lasciarli in una casa famiglia a tempo indeterminato. In aggiunta, si continuano a trattare papà e mamma Trevallion come discoli da raddrizzare. Si scrive e si dice che ora si comportano bene, che hanno accettato di modificare la propria casa, di vaccinare i figli, di farli incontrare con un insegnante. Lo ripetono pure i giudici della Corte d'appello che hanno confermato venerdì la validità del provvedimento di allontanamento e hanno passato la palla al Tribunale dei minori dell'Aquila per eventuali nuove decisioni. La corte conferma «tutte le criticità rilevate nell'ordinanza del Tribunale dei minorenni» tra cui i «gravi rischi per la salute fisica e psichica dei bambini, per la loro sana crescita, per lo sviluppo armonioso della loro personalità». Ma rileva «gli apprezzabili sforzi di collaborazione» da parte dei genitori e auspica «un definitivo superamento del muro di diffidenza da loro precedentemente alzato verso gli interventi e le offerte di sostegno». Chiaro, no? Quando papà e mamma saranno più docili e addomesticati, il ricatto potrà forse concludersi.
Pare infatti che il nodo di tutta questa storia, sia soltanto questo: bisogna compiacere i magistrati. Chi non lo fa è un pericoloso pasdaran della destra, è uno che fa campagna politica per il referendum sulla giustizia. Lo dice chiaramente Elisabetta Piccolotti di Alleanza verdi e sinistra, la quale se la prende con i ministri Matteo Salvini e Eugenia Roccella «che continuano a fare gli sciacalli con l’unico scopo di preparare il terreno per il referendum sulla giustizia. Noi di Avs», spiega Piccolotti, «crediamo che il percorso di dialogo con la famiglia debba dare i giusti frutti, come sostengono anche gli avvocati: i bambini devono tornare a casa dai genitori, con la garanzia che non saranno negati loro il diritto all’istruzione e alla socialità che solo la scuola assicura davvero». Ah, ma dai: i bambini devono tornare a scuola, perché quella parentale non va. Di più: bisogna che il ministro Valditara invii «gli ispettori nella scuola paritaria che ha certificato l’assolvimento dell’obbligo scolastico per la bambina di 11 anni, nonostante pare che la bimba sappia a stento scrivere il proprio nome sotto dettatura».
Interessante cortocircuito. Con la famiglia del bosco i compagni di Avs sono inflessibili, invocano perquisizioni e correzioni. Ma con altri sono molto più teneri. Nei riguardi degli antagonisti di Askatasuna, per dire, hanno parole di miele. Marco Grimaldi, vicecapogruppo di Avs alla Camera, si è aggregato al corteo di protesta contro lo sgombero del centro sociale. «Noi non abbiamo nulla da nascondere», grida. «Siamo parte, alla luce del sole, di un’associazione a resistere, quella dell’antifascismo che i trumpiani di tutto il mondo vorrebbero dichiarare fuori legge. Ma fino a quando la nostra Costituzione sarà in piedi nessuno potrà impedirmi di manifestare il mio dissenso ed io continuerò a farlo». La sua compagna di partito Ilaria Salis ribadisce che «lo spirito di Askatasuna continuerà ad ardere». Bravi, bravissimi, dei veri rivoluzionari, dei grandi ribelli antisistema. Ma per chi sceglie davvero un modello di vita alternativo, a quanto risulta, non hanno pietà. Anzi, dicono le stesse cose dei magistrati.
Fateci caso: Elisabetta Piccolotti ha pronunciato praticamente le stesse frasi scandite da Virginia Scalera, giudice del tribunale di Pescara e presidente della sezione Abruzzo dell’Anm. Costei è intervenuta ieri dicendo che c’è «stato un attacco scomposto e offensivo nei confronti dei giudici da parte dei ministri Salvini e Roccella, espresso peraltro in mancanza di conoscenza del provvedimento, perché le motivazioni non sono ancora uscite. E comunque è inaccettabile il tono. Abbiamo l’impressione chiara», insiste Scalera, «che sia un modo per riattivare l’attenzione dell’opinione pubblica, strumentalizzando una storia significativa in ottica referendaria. Ogni volta si additano i giudici, si parla di sequestro di bambini. Stigmatizziamo gli attacchi del governo».
Siamo sempre lì: guai a sfiorare i giudici, guai ad avanzare anche solo un minuscolo dubbio sul loro operato. Persino la sinistra radicale, quella che si batte contro i confini e contro la fantomatica «repressione», alla bisogna si rimette in riga al fianco delle toghe. E intanto tre bambini bravi e educati sono ancora tenuti lontano dai loro genitori.
A proposito di cortocircuiti sinistri, sia concessa un’ultima considerazione. Negli anni passati, con l’avvicinarsi del Natale, fior di sacerdoti e militanti progressisti hanno proposto presepi pieni zeppi di barconi e migranti. È un vero peccato che quest’anno qualcuno di questi impegnati a favore dei più deboli non abbia pensato a un bel presepe con la famiglia del bosco posizionata in mezzo ai pastori.
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Orazio Schillaci (Ansa)
Stiamo parlando della Cceps, la commissione centrale esercenti professioni sanitarie che funziona come una sorta di Corte d’Appello. Due giorni fa doveva svolgersi a Roma l’udienza, fissata a ridosso del Natale per esaminare i ricorsi di almeno 25 medici radiati dall’Ordine. Nemmeno il tempo di aprire la seduta, e subito è stata rinviata con data da destinarsi.
Il 18 sera, infatti, l’indipendenza e imparzialità dei componenti della Cceps è stata messa in discussione dalle istanze di ricusazione di uno dei legali dei medici radiati, l’avvocato Mauro Sandri. La presidente e il suo vice, così pure diversi membri dell’organo del ministero della Salute che esercita il giudizio di secondo grado, si sono già espressi contro le critiche nei confronti del vaccino Covid. In alcuni casi, anche contro gli stessi dottori che hanno presentato ricorso, si legge nella memoria di ricusazione.
Una cosa inaudita, che vanificherebbe qualsiasi conclusione della commissione. Non attiva da anni, la Cceps era stata ricostituita lo scorso ottobre dal ministro Schillaci su pressione di Filippo Anelli, presidente Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. A marzo, il capo dei medici si lamentava perché il ricorso «di fatto vanifica l’azione sanzionatoria degli Ordini, facendo sì che medici sospesi o addirittura radiati continuino a esercitare».
Così, per liquidare in fretta la questione, in un’udienza fissata per trattare i soli procedimenti dei medici radiati (in violazione del normale calendario), tutte le memorie scritte dei difensori dovevano essere presentate nella stessa mattinata del 19 e «date in pasto» a medici, a magistrati che il loro giudizio già l’hanno formulato.
Le istanze di ricusazione presentate dall’avvocato Sandri sono state nei confronti della presidente della Cceps, Giulia Ferrari, in quanto come componente del Consiglio di Stato ha partecipato alla stesura di numerose sentenze nelle quali ha «sempre respinto le domande di illegittimità delle sospensioni dal lavoro avanzate da pubblici dipendenti».
E nei confronti del vice presidente Oscar Marongiu «che ha partecipato a decisioni di contenuto analogo quale componente del Tar di Cagliari». Ma non è finita. La maggior parte dei componenti la Cceps per quanto riguarda i ricorsi dei medici sono professionisti che hanno fatto parte di Consigli dell'Ordine, che hanno emesso provvedimenti di radiazione e che hanno espresso, prima del processo, opinioni che fanno già chiaramente trasparire la posizione che avranno nel giudizio di secondo grado.
Tra questi c’è Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della Provincia di Venezia e vice presidente nazionale Fnomceo. Il presidente a luglio 2022 si era opposto all’idea dell’allora governatore Luca Zaia di reintegrare i medici sospesi perché non vaccinati: «Sarebbe un pessimo messaggio», disse. E che aveva definito l’abolizione della sanzione ai no vax «un premio ai furbetti. Questa scelta non è un messaggio educativo alla popolazione sul rispetto delle regole». Qualcuno ha dei dubbi su come Leoni giudicherà il ricorso di medici quali Ennio Caggiano, Barbara Balanzoni, Fabio Milani, Riccardo Szumski? Sono solo alcuni dei dottori stimati, amati dai loro pazienti, però presi di mira dagli Ordini professionali perché osavano contrastare la non scienza imposta con i dpcm di Speranza e Conte.
Ennio Caggiano di Camponogara, nel Veneziano mandato a processo per aver compilato 16 certificati di esenzione dal vaccino ritenuti falsi dalla Procura di Venezia, è stato assolto da ogni accusa pochi mesi fa. Eppure il 20 maggio del 2022 il presidente dell’Ordine dei medici di Venezia ne firmò la radiazione. Oggi il medico si dice sconcertato di sapere che lo stesso Leoni dovrebbe valutare il suo ricorso. «L’incompatibilità assoluta. Invece di chiudere una vicenda che si trascina da anni, analizzando oggettivamente i fatti, vogliono ribadire che avevano ragione. È una cosa ridicola e tragica nello stesso tempo».
Un periodo, quello della pandemia e dei diktat, segnato anche da brutte storie di delazioni. Fabio Milani, stimato professionista bolognese non vaccinato, nel dicembre del 2021 curò con antibiotico e cortisone una famiglia con polmonite da Covid abbandonata a Tachipirina e vigile attesa dal proprio medico di famiglia. Segnalato dal collega all'Ordine, aveva subìto un lungo processo per esercizio abusivo della professione, conclusosi nel gennaio 2025 perché «il fatto non sussiste». Ma non era finita. Il medico venne radiato nell’agosto 2022 con l’accusa di aver violato il codice deontologico. Con quale imparzialità sarà giudicato in secondo grado da una simile commissione?
«Nessun medico radiato può essere giudicato per avere espresso opinioni critiche sulla gestione dell'emergenza sanitaria», ribadisce l’avvocato Sandri. «Nessuno mi ha denunciato per aver maltrattato un paziente», osserva Riccardo Szumski, il consigliere di Resistere Veneto risultato tra i più eletti alle ultime Regionali, evidenziando l’assurdità di una sanzione così grave. «Mi sembra una commissione non a tutela dei medici e dei pazienti, ma dell’obbedienza a ogni costo. E Schillaci era un collaboratore dell’ex ministro Roberto Speranza. Nella mia radiazione venne citata la frase del presidente Sergio Mattarella “non si invochi la libertà per sottrarsi all’obbligo vaccinale” ma la libertà, secondo me, è un bene assoluto».
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Antonio Filosa (Ansa)
La Commissione sta semplicemente «rinviando» l’obiettivo: l’impianto che aveva portato all’azzeramento delle emissioni allo scarico (e quindi alla fine dei motori termici) viene riformulato con un abbassamento delle emissioni del 90% rispetto al 2021. Il 10% residuo verrebbe coperto tramite strumenti di compensazione lungo la catena del valore: come, ad esempio, prodotti a minore intensità carbonica (acciaio low-carbon) e carburanti sostenibili. Quella voluta dell’Ue è una flessibilità «contabile» più che tecnologica, secondo il manager.
Filosa sostiene che questa architettura rischia di introdurre costi e complessità che i costruttori «di massa» assorbono peggio di quelli premium: «È una misura il cui costo potrebbe non essere alla portata dei costruttori di volume che servono la maggior parte dei cittadini». Tradotto: se la conformità dipende da risorse scarse (acciaio verde, e-fuels/biocarburanti certificati) con prezzi elevati e volatilità, il rischio è che tutti i problemi si scarichino proprio sui segmenti più sensibili al prezzo, comprimendo volumi e margini.
Stellantis segnala che non vede strumenti «ponte» sufficienti per rendere praticabile la transizione, in particolare nei veicoli commerciali, dove la competitività dell’elettrico dipende molto più che nelle auto da infrastrutture di ricarica, costo dell’energia, pianificazione flotte e disponibilità prodotto. Se l’adozione dei motori elettrici resta importante, il blocco al 2035 non genera crescita: può solo spostare i problemi su regole di compensazione e materiali verdi e costosi. La reazione dell’industria è dunque polarizzata: Renault valuta il pacchetto come un tentativo di gestire alcune criticità, mentre l’associazione industriale tedesca Vda lo bolla come «disastroso» per gli ostacoli pratici e di implementazione. La Commissione, invece, nega che si tratti di un arretramento: Stéphane Séjourné, commissario europeo per il mercato interno e i servizi, afferma che l’Europa non mette in discussione gli obiettivi climatici. Un altro funzionario Ue difende l’uso di questi meccanismi perché dovrebbero «creare un mercato di sbocco» per tecnologie e materiali necessari alla transizione.
Nel dibattito, inoltre, c’è anche l’asimmetria regolatoria transatlantica: negli Stati Uniti si osserva una traiettoria più favorevole per ibridi e termici, con revisione di incentivi e standard; non a caso Stellantis ha annunciato un piano di investimenti molto rilevante negli Usa. Il messaggio implicito è che, a parità di vincoli, la stabilità e l’economia della domanda influenzano dove si costruiscono capacità e catena del valore.
La verità è che la partita vera non è lo slogan «stop ai termici sì o no», ma la definizione dei dettagli che porteranno verso una transizione sostenibile: in particolare, si tratta della definizione di carburanti sostenibili e delle regole Mrv (monitoring, reporting, verification, un sistema obbligatorio dell'Unione Europea per il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di gas serra) sulle norme industriali e, soprattutto, sulle misure lato domanda/infrastrutture che evitino che la compliance diventi un costo fisso.
Stellantis sostiene che, così com’è, la proposta non crea le sufficienti condizioni per crescere; la Commissione europea, dal canto suo, replica che serve una flessibilità che spinga filiere verdi europee senza abbandonare gli obiettivi industriali.
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