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2019-02-20
Padre Spadaro vuole un sinodo anti leghista
Ansa
Padre Antonio Spadaro chiama e i vescovi italiani, alcuni vescovi, rispondono. Con un breve articolo sul numero di febbraio della influente rivista La Civiltà cattolica il direttore, uno dei più stretti collaboratori di papa Bergoglio, chiama a raccolta «i cristiani che fanno l'Italia», come novello don Sturzo che si rivolge ai «liberi e forti».
«La forza propulsiva del cattolicesimo democratico», scrive il direttore, «ha bisogno di essere resistente in questi tempi confusi, ma anche di ascoltare e capire meglio», perciò, ecco la parola d'ordine, c'è bisogno di «un esercizio effettivo di sinodalità all'interno della Chiesa» italiana. L'idea del partito politico dei cattolici, già pensata e proposta dallo stesso Spadaro, deve essere risultata un po' troppo azzardata visto l'attuale panorama politico, quindi per fare «discernimento» molto meglio partire da una bella assemblea. È pur sempre un modo per fare qualcosa, senza però andare direttamente a sbattere. Quindi, ecco la conclusione, posta come una domanda, ma che è il programma che attua la linea: «Che dunque stia maturando», si chiede Spadaro, «il tempo per un sinodo della Chiesa italiana?».
E alcuni vescovi italiani, che pure avrebbero una loro assemblea e un loro presidente, rispondono in ordine sparso, ma non casuale. Come nei migliori spettacoli pirotecnici, al petardo iniziale segue un florilegio di luci nel cielo. Il 31 gennaio sono le colonne di Avvenire a ripubblicare la chiamata di Spadaro, poi è un crescendo continuo, tanto che lo stesso Spadaro twitta con soddisfazione: «Urgente un #sinodo per l'#Italia. Anche l'arcivescovo di Palermo interviene sul Corriere rilanciando la proposta di Civiltà Cattolica… Lo avevano preceduto i vescovi di Rieti (sull'Osservatore Romano) e di Modena (su Avvenire)». Monsignor Corrado Lorefice, Palermo, Erio Castellucci, Modena e Domenico Pompili, Rieti, ex sottosegretario della Cei, si sono messi in fila per sostenere la proposta di Spadaro.
La sfida al cardinale Gualtiero Bassetti, presidente Cei, è aperta. Sembra, infatti, che l'attivissimo Spadaro stia lanciando un Opa sulla Cei, almeno morale. È innegabile che il ruolo di padre Spadaro in questo pontificato sia centrale e fortissimo, inserito in un contesto in cui papa Francesco preferisce affidarsi ad alcuni fedelissimi consiglieri, piuttosto che rivolgersi a chi è deputato agli uffici. Non a caso Frédéric Martel, autore francese del controverso pamphlet Sodoma, in uscita in questi giorni, ha definito padre Spadaro (con cui ha condiviso sei interviste e pasti) «la testa di ponte del papa», «giovane, dinamico, affascinante».
Il primo a rispondere alla chiamata è stato monsignor Domenico Pompili intervistato dal neo direttore dell'Osservatore romano, Andrea Monda, che pare essere stato suggerito per il ruolo proprio da Spadaro e con la benedizione del neo direttore editoriale dei media vaticani, Andrea Tornielli. L'intervistato si fa portavoce convinto della proposta del gesuita. «Sento che potrebbe avere un effetto benefico», ha detto il vescovo di Rieti. Non è tempo per un partito, ma «è proprio il percorso sinodale a scongiurare questo rischio, perché vuole essere un cammino che è espressione di un popolo e non di una parte, tanto meno di un partito».
«Non si potrà chiedere al magistero di entrare direttamente in campo nelle scelte politiche, nelle strategie partitiche e nei processi di stesura e applicazione delle leggi», gli fa eco monsignor Erio Castellucci su Avvenire. Viste le divisioni all'interno del mondo cattolico, registra il vescovo di Modena, la chiesa italiana non deve «farsi frullare dall'attualità», e non può «cedere alla tentazione di rispondere all'arroganza con l'arroganza; preparando piuttosto una generazione capace di leggere 'i segni del tempi'». Per fare questi nuovi profeti, anche Castellucci benedice la proposta di un sinodo, una mega assemblea che ha i suoi meriti certo, ma che ha anche il vantaggio di evitare di sporcarsi troppo le mani. Così tutto questo desiderio di sinodo sembra soltanto un tentativo per marcare comunque la distanza da qualsiasi «salvinismo», senza però misurarsi più o meno direttamente con le urne. Anche perché alcuni sondaggi indicano che i cattolici si ostinano in buona parte a votare Lega.
Una faccenda che Spadaro mostra di non gradire per nulla, come scrive in punta di penna nella sua chiamata al sinodo. «Se prima si dava a Dio quel che invece sarebbe stato bene restasse nelle mani di Cesare», chiosa il gesuita, «adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio, a volte pure con la complicità dei chierici». Così l'immagine di Matteo Salvini con in mano il rosario sembra emergere dal sottotesto quasi a colori.
Sulle colonne del Corriere della sera anche l'arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, alfiere della cosiddetta scuola di Bologna, marchio Doc del cattolicesimo democratico, benedice la chiamata al sinodo di Spadaro. Lorefice scrive che è necessario rivolgersi al popolo, quello vero. Quello che «va al di là delle semplicistiche separazioni tra elites e popolo»; «c'è molto altro che pulsa (…) ben oltre i social media e le dichiarazioni on line». Ma così il pastore sembra come alla ricerca del popolo che non c'è, visto che quello che si esprime lo fa in modo non sufficientemente fedele alla linea.
Spadaro ha lanciato l'idea e subito arrivano le sponde. Assenti e silenti, per ora, il presidente Cei, cardinale Bassetti, e il segretario Stefano Russo, e così la scalata di Spadaro sull'agenda dei vescovi italiani è partita.
L’appello di Burke e Brandmüller: «Fermate la deriva omosessuale»
Due dei quattro cardinali che firmarono i famosi dubia a proposito di alcuni passaggi dell'esortazione Amoris laetitia, domande a cui il Papa non ha mai risposto, hanno deciso di uscire allo scoperto alla vigilia dell'Incontro in programma da giovedì a domenica in Vaticano per gli abusi del clero.Si tratta dei cardinali Raymond Burke e Walter Brandmüller, gli unici ancora in vita delle quattro porpore che si rivolsero al Papa perché facesse chiarezza su alcune questioni di teologia morale. «Di fronte alla deriva in atto», scrivono i due cardinali rivolgendosi ai partecipanti all'incontro in Vaticano, «sembra che il problema si riduca a quello degli abusi dei minori, un orribile crimine, specialmente quando perpetrato da un sacerdote, che però è solo parte di una crisi ben più vasta».
È questo il nuovo dubia che si pongono i due cardinali, più volte attaccati, Burke anche recentemente e in modo piuttosto tendenzioso nel libro Sodoma di Frederic Martel, per le loro posizioni «tradizionaliste». Ogni riferimento agli abusi su adulti vulnerabili (quindi anche i seminaristi abusati da un vescovo, ad esempio) è stato defalcato dal programma che, come spiegato nella conferenza stampa di presentazione di lunedì, si concentra solo sugli abusi sui minori. L'omosessualità, ha spiegato, infatti, il cardinale Blase Cupich «di per sé non è una causa», pur riconoscendo il dramma dei numeri che vedono tra le vittime del clero soprattutto giovani e giovanissimi adolescenti. Ma il punto è chiaro: l'omosessualità è fuori dall'agenda, la causa è stata identificata nell'abuso di potere, definito dal Papa «clericalismo».
«Si accusa il clericalismo per gli abusi sessuali», rispondono i due cardinali, «ma la prima e principale responsabilità del clero non sta nell'abuso di potere, ma nell'essersi allontanato dalla verità del Vangelo. La negazione, anche pubblica, nelle parole e nei fatti, della legge divina e naturale, sta alla radice del male che corrompe certi ambienti della Chiesa». Per questo sottolineano che il problema non può essere eluso. «La piaga dell'agenda omosessuale è diffusa all'interno della Chiesa, promossa da reti organizzate e protetta da un clima di complicità e omertà. Le radici di questo fenomeno evidentemente stanno in quell'atmosfera di materialismo, di relativismo e di edonismo, in cui l'esistenza di una legge morale assoluta, cioè senza eccezioni, è messa apertamente in discussione».
Burke e Brandmüller chiedono che l'omertà sia vinta anche per la questione omosessualità, che ritengono una piaga nella piaga. «Di fronte a questa situazione, cardinali e vescovi tacciono. Tacerete anche voi in occasione della riunione convocata in Vaticano?».
«Siamo tra coloro che nel 2016 interpellarono il Santo Padre sui dubia che dividevano la Chiesa dopo le conclusioni del Sinodo sulla famiglia», si legge ancora nella lettera diffusa ieri nel tardo pomeriggio. «Oggi quei dubia non solo non hanno avuto risposta, ma sono parte di una più generale crisi della fede. Perciò, vi incoraggiamo ad alzare la voce per salvaguardare e proclamare l'integrità della dottrina della Chiesa». È verosimile che il loro sarà un altro appello senza risposte, o forse qualche sparuto vescovo partecipante proverà a porre il problema dell'omosessualità nel clero? È difficile pensarlo, proprio perché il tema dell'incontro è stato blindato su una questione specifica.
Intanto un'assenza tra i relatori e tra i membri del Comitato organizzativo dell'incontro solleva un altro dubia. Perché il presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori, cardinale Sean O'Malley, è di fatto escluso da ogni ruolo di rilievo? Si dice che i suoi rapporti con il Papa, un tempo cordialissimi, siano assai raffreddati.
Lorenzo Bertocchi
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Il gesuita chiama a raccolta i vescovi italiani: «C'è bisogno del cattolicesimo democratico per far chiarezza in questi tempi confusi». Un tentativo di marcare le distanze da Matteo Salvini, ma senza misurarsi con le urne. E in molti, da Domenico Pompili a Erio Castellucci, rispondono di sì.Clamorosa lettera dei cardinali ai presidenti delle conferenze episcopali chiamati a Roma.Lo speciale contiene due articoliPadre Antonio Spadaro chiama e i vescovi italiani, alcuni vescovi, rispondono. Con un breve articolo sul numero di febbraio della influente rivista La Civiltà cattolica il direttore, uno dei più stretti collaboratori di papa Bergoglio, chiama a raccolta «i cristiani che fanno l'Italia», come novello don Sturzo che si rivolge ai «liberi e forti».«La forza propulsiva del cattolicesimo democratico», scrive il direttore, «ha bisogno di essere resistente in questi tempi confusi, ma anche di ascoltare e capire meglio», perciò, ecco la parola d'ordine, c'è bisogno di «un esercizio effettivo di sinodalità all'interno della Chiesa» italiana. L'idea del partito politico dei cattolici, già pensata e proposta dallo stesso Spadaro, deve essere risultata un po' troppo azzardata visto l'attuale panorama politico, quindi per fare «discernimento» molto meglio partire da una bella assemblea. È pur sempre un modo per fare qualcosa, senza però andare direttamente a sbattere. Quindi, ecco la conclusione, posta come una domanda, ma che è il programma che attua la linea: «Che dunque stia maturando», si chiede Spadaro, «il tempo per un sinodo della Chiesa italiana?».E alcuni vescovi italiani, che pure avrebbero una loro assemblea e un loro presidente, rispondono in ordine sparso, ma non casuale. Come nei migliori spettacoli pirotecnici, al petardo iniziale segue un florilegio di luci nel cielo. Il 31 gennaio sono le colonne di Avvenire a ripubblicare la chiamata di Spadaro, poi è un crescendo continuo, tanto che lo stesso Spadaro twitta con soddisfazione: «Urgente un #sinodo per l'#Italia. Anche l'arcivescovo di Palermo interviene sul Corriere rilanciando la proposta di Civiltà Cattolica… Lo avevano preceduto i vescovi di Rieti (sull'Osservatore Romano) e di Modena (su Avvenire)». Monsignor Corrado Lorefice, Palermo, Erio Castellucci, Modena e Domenico Pompili, Rieti, ex sottosegretario della Cei, si sono messi in fila per sostenere la proposta di Spadaro.La sfida al cardinale Gualtiero Bassetti, presidente Cei, è aperta. Sembra, infatti, che l'attivissimo Spadaro stia lanciando un Opa sulla Cei, almeno morale. È innegabile che il ruolo di padre Spadaro in questo pontificato sia centrale e fortissimo, inserito in un contesto in cui papa Francesco preferisce affidarsi ad alcuni fedelissimi consiglieri, piuttosto che rivolgersi a chi è deputato agli uffici. Non a caso Frédéric Martel, autore francese del controverso pamphlet Sodoma, in uscita in questi giorni, ha definito padre Spadaro (con cui ha condiviso sei interviste e pasti) «la testa di ponte del papa», «giovane, dinamico, affascinante». Il primo a rispondere alla chiamata è stato monsignor Domenico Pompili intervistato dal neo direttore dell'Osservatore romano, Andrea Monda, che pare essere stato suggerito per il ruolo proprio da Spadaro e con la benedizione del neo direttore editoriale dei media vaticani, Andrea Tornielli. L'intervistato si fa portavoce convinto della proposta del gesuita. «Sento che potrebbe avere un effetto benefico», ha detto il vescovo di Rieti. Non è tempo per un partito, ma «è proprio il percorso sinodale a scongiurare questo rischio, perché vuole essere un cammino che è espressione di un popolo e non di una parte, tanto meno di un partito». «Non si potrà chiedere al magistero di entrare direttamente in campo nelle scelte politiche, nelle strategie partitiche e nei processi di stesura e applicazione delle leggi», gli fa eco monsignor Erio Castellucci su Avvenire. Viste le divisioni all'interno del mondo cattolico, registra il vescovo di Modena, la chiesa italiana non deve «farsi frullare dall'attualità», e non può «cedere alla tentazione di rispondere all'arroganza con l'arroganza; preparando piuttosto una generazione capace di leggere 'i segni del tempi'». Per fare questi nuovi profeti, anche Castellucci benedice la proposta di un sinodo, una mega assemblea che ha i suoi meriti certo, ma che ha anche il vantaggio di evitare di sporcarsi troppo le mani. Così tutto questo desiderio di sinodo sembra soltanto un tentativo per marcare comunque la distanza da qualsiasi «salvinismo», senza però misurarsi più o meno direttamente con le urne. Anche perché alcuni sondaggi indicano che i cattolici si ostinano in buona parte a votare Lega.Una faccenda che Spadaro mostra di non gradire per nulla, come scrive in punta di penna nella sua chiamata al sinodo. «Se prima si dava a Dio quel che invece sarebbe stato bene restasse nelle mani di Cesare», chiosa il gesuita, «adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio, a volte pure con la complicità dei chierici». Così l'immagine di Matteo Salvini con in mano il rosario sembra emergere dal sottotesto quasi a colori.Sulle colonne del Corriere della sera anche l'arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, alfiere della cosiddetta scuola di Bologna, marchio Doc del cattolicesimo democratico, benedice la chiamata al sinodo di Spadaro. Lorefice scrive che è necessario rivolgersi al popolo, quello vero. Quello che «va al di là delle semplicistiche separazioni tra elites e popolo»; «c'è molto altro che pulsa (…) ben oltre i social media e le dichiarazioni on line». Ma così il pastore sembra come alla ricerca del popolo che non c'è, visto che quello che si esprime lo fa in modo non sufficientemente fedele alla linea.Spadaro ha lanciato l'idea e subito arrivano le sponde. Assenti e silenti, per ora, il presidente Cei, cardinale Bassetti, e il segretario Stefano Russo, e così la scalata di Spadaro sull'agenda dei vescovi italiani è partita.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/padre-spadaro-vuole-un-sinodo-anti-leghista-2629427433.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lappello-di-burke-e-brandmuller-fermate-la-deriva-omosessuale" data-post-id="2629427433" data-published-at="1765009436" data-use-pagination="False"> L’appello di Burke e Brandmüller: «Fermate la deriva omosessuale» Due dei quattro cardinali che firmarono i famosi dubia a proposito di alcuni passaggi dell'esortazione Amoris laetitia, domande a cui il Papa non ha mai risposto, hanno deciso di uscire allo scoperto alla vigilia dell'Incontro in programma da giovedì a domenica in Vaticano per gli abusi del clero.Si tratta dei cardinali Raymond Burke e Walter Brandmüller, gli unici ancora in vita delle quattro porpore che si rivolsero al Papa perché facesse chiarezza su alcune questioni di teologia morale. «Di fronte alla deriva in atto», scrivono i due cardinali rivolgendosi ai partecipanti all'incontro in Vaticano, «sembra che il problema si riduca a quello degli abusi dei minori, un orribile crimine, specialmente quando perpetrato da un sacerdote, che però è solo parte di una crisi ben più vasta». È questo il nuovo dubia che si pongono i due cardinali, più volte attaccati, Burke anche recentemente e in modo piuttosto tendenzioso nel libro Sodoma di Frederic Martel, per le loro posizioni «tradizionaliste». Ogni riferimento agli abusi su adulti vulnerabili (quindi anche i seminaristi abusati da un vescovo, ad esempio) è stato defalcato dal programma che, come spiegato nella conferenza stampa di presentazione di lunedì, si concentra solo sugli abusi sui minori. L'omosessualità, ha spiegato, infatti, il cardinale Blase Cupich «di per sé non è una causa», pur riconoscendo il dramma dei numeri che vedono tra le vittime del clero soprattutto giovani e giovanissimi adolescenti. Ma il punto è chiaro: l'omosessualità è fuori dall'agenda, la causa è stata identificata nell'abuso di potere, definito dal Papa «clericalismo». «Si accusa il clericalismo per gli abusi sessuali», rispondono i due cardinali, «ma la prima e principale responsabilità del clero non sta nell'abuso di potere, ma nell'essersi allontanato dalla verità del Vangelo. La negazione, anche pubblica, nelle parole e nei fatti, della legge divina e naturale, sta alla radice del male che corrompe certi ambienti della Chiesa». Per questo sottolineano che il problema non può essere eluso. «La piaga dell'agenda omosessuale è diffusa all'interno della Chiesa, promossa da reti organizzate e protetta da un clima di complicità e omertà. Le radici di questo fenomeno evidentemente stanno in quell'atmosfera di materialismo, di relativismo e di edonismo, in cui l'esistenza di una legge morale assoluta, cioè senza eccezioni, è messa apertamente in discussione». Burke e Brandmüller chiedono che l'omertà sia vinta anche per la questione omosessualità, che ritengono una piaga nella piaga. «Di fronte a questa situazione, cardinali e vescovi tacciono. Tacerete anche voi in occasione della riunione convocata in Vaticano?». «Siamo tra coloro che nel 2016 interpellarono il Santo Padre sui dubia che dividevano la Chiesa dopo le conclusioni del Sinodo sulla famiglia», si legge ancora nella lettera diffusa ieri nel tardo pomeriggio. «Oggi quei dubia non solo non hanno avuto risposta, ma sono parte di una più generale crisi della fede. Perciò, vi incoraggiamo ad alzare la voce per salvaguardare e proclamare l'integrità della dottrina della Chiesa». È verosimile che il loro sarà un altro appello senza risposte, o forse qualche sparuto vescovo partecipante proverà a porre il problema dell'omosessualità nel clero? È difficile pensarlo, proprio perché il tema dell'incontro è stato blindato su una questione specifica. Intanto un'assenza tra i relatori e tra i membri del Comitato organizzativo dell'incontro solleva un altro dubia. Perché il presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori, cardinale Sean O'Malley, è di fatto escluso da ogni ruolo di rilievo? Si dice che i suoi rapporti con il Papa, un tempo cordialissimi, siano assai raffreddati. Lorenzo Bertocchi
Galeazzo Bignami (Ansa)
Se per il giudice che l’ha condannato a 14 anni e 9 mesi di carcere (in primo grado la Corte d’Assise di Asti gliene aveva dati 17, senza riconoscere la legittima difesa), nonché a un risarcimento milionario ai familiari dei due rapinatori uccisi (con una provvisionale immediata di circa mezzo milione di euro e le richieste totali che potrebbero raggiungere milioni) c’è stata sproporzione tra difesa e offesa, la stessa sproporzione è stata applicata nella sentenza, tra l’atto compiuto e la pena smisurata che dovrà scontare Roggero. Confermare tale condanna equivarrebbe all’ergastolo per l’anziano, solo per aver difeso la sua famiglia e sé stesso.
Una severità che ha scosso le coscienze dell’opinione pubblica nonché esasperato gli animi del Parlamento. Ma la colpa è dei giudici o della legge? Giovedì sera a Diritto e Rovescio su Rete 4 è intervenuto il deputato di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, il quale alla Verità non ha timore nel ribadire che «qualsiasi legge si può sempre migliorare, per carità. Questa legge mette in campo tutti gli elementi che, se valutati correttamente, portano ad escludere pressoché sempre la responsabilità dell’aggredito, salvo casi esorbitanti. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e in questo caso il mare è la magistratura», spiega Bignami, «ci sono giudici che, comprendendo il disposto di legge e lo spirito della stessa, la applicano in maniera conforme alla ratio legis e giudici che, invece, pur comprendendola, preferiscono ignorarla. Siccome questa è una legge che si ispira sicuramente a valori di destra come la difesa della vita, della famiglia, della proprietà privata e che, come extrema ratio, consente anche una risposta immediata in presenza di un pericolo imminente, certi giudici la applicano con una prospettiva non coerente con la sua finalità».
In questo caso la giustificazione di una reazione istintiva per proteggere la propria famiglia dai rapinatori non ha retto in aula. Ma oltre al rispetto della legge non è forse fondamentale anche l’etica nell’applicarla? «Su tante cose i giudici applicano le leggi sulla base delle proprie sensibilità, come in materia di immigrazione, per esempio», continua Bignami, «però ricordiamo che la legge deve essere ispirata da principi di astrattezza e generalità. Poi va applicata al caso concreto e lì vanno presi in esame tutti i fattori che connotano la condotta. L’articolo 52 parla di danno ingiusto, di pericolo attuale e proporzione tra difesa e offesa. Per pericolo attuale non si può intendere che sto lì con il cronometro a verificare se il rapinatore abbia finito di rapinarmi o se magari intenda tornare indietro con un fucile. Lo sai dopo se il pericolo è cessato e l’attualità non può essere valutata con il senno di poi. Ed anche il turbamento d’animo di chi viene aggredito non finisce con i rapinatori che escono dal negozio e chiudono la porta. Questo sentimento di turbamento è individuale e, secondo me, si riflette sulla proporzione. Vanno sempre valutate le condizioni soggettive e il vissuto della persona».
Merita ricordare, infatti, che Roggero aveva subito in passato altre 5 rapine oltre a quella in esame e che in una di quelle fu anche gonfiato di botte. La sua vita e quella della sua famiglia è compromessa, sia dal punto di vista psicologico che professionale. È imputato di omicidio volontario plurimo per aver ucciso i due rapinatori e tentato omicidio per aver ferito il terzo che faceva da palo. E sapete quanto si è preso quest’ultimo? Appena 4 anni e 10 mesi di reclusione.
La reazione emotiva del commerciante, la paura per l’incolumità dei familiari, sono attenuanti che non possono non essere considerate. Sono attimi di terrore tremendi. Se vedi tua figlia minacciata con una pistola, tua moglie trascinata e sequestrata, come minimo entri nel panico. «Intanto va detto quel che forse è così ovvio che qualcuno se n’è dimenticato: se i banditi fossero stati a casa loro, non sarebbe successo niente», prosegue Bignami, «poi penso che, se Roggero avesse avuto la certezza che quei banditi stavano fuggendo senza più tornare, non avrebbe reagito così. Lo ha fatto, come ha detto lui, perché non sapeva e non poteva immaginare se avessero davvero finito o se invece volessero tornare indietro. Facile fare previsioni a fatti già compiuti».
Ma anche i rapinatori hanno i loro diritti? «Per carità. Tutti i cittadini hanno i loro diritti ma se fai irruzione con un’arma in un negozio e minacci qualcuno, sei tu che decidi di mettere in discussione i tuoi diritti».
Sulla severità della pena e sul risarcimento faraonico, poi, Bignami è lapidario. «C’è una proposta di legge di Raffaele Speranzon, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, che propone di ridurre fino ad azzerare il risarcimento dovuto da chi è punito per eccesso colposo di legittima difesa».
Chi lavora e protegge la propria vita non può essere trattato come un criminale. La giustizia deve tornare a distinguere tra chi aggredisce e chi si difende.
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Ansa
La dinamica, ricostruita nelle perizie, avrebbe confermato che l’azione della ruspa aveva compromesso la struttura dell’edificio. Ma oltre a trovarsi davanti quel «mezzo di irresistibile forza», così è stata giuridicamente valutata la ruspa, si era messa di traverso pure la Procura, che aveva chiesto ai giudici di condannarlo a 4 anni di carcere. Ma ieri Sandro Mugnai, artigiano aretino accusato di omicidio volontario per essersi difeso, mentre ascoltava le parole del presidente della Corte d’assise si è messo le mani sul volto ed è scoppiato a piangere. Il fatto non sussiste: fu legittima difesa. «Finalmente faremo un Natale sereno», ha detto poco dopo, aggiungendo: «Sono stati anni difficili, ma ho sempre avuto fiducia nella giustizia. La Corte ha agito per il meglio». E anche quando la pm Laura Taddei aveva tentato di riqualificare l’accusa in eccesso colposo di legittima difesa, è prevalsa la tesi della difesa: Mugnai sparò perché stava proteggendo la sua famiglia da una minaccia imminente, reale e concreta. Una minaccia che avanzava a bordo di una ruspa. La riqualificazione avrebbe attenuato la pena, ma comunque presupponeva una responsabilità penale dell’imputato. Il caso, fin dall’inizio, era stato definito dai giuristi «legittima difesa da manuale». Una formula tanto scolastica quanto raramente facile da dimostrare in un’aula di Tribunale. La giurisprudenza richiede il rispetto di criteri stringenti: attualità del pericolo, necessità della reazione e proporzione. La sentenza mette un punto a un procedimento che ha riletto, passo dopo passo, la notte in cui l’albanese entrò nel piazzale di casa Mugnai mentre la famiglia era riunita per la cena dell’Epifania. Prima sfogò la ruspa sulle auto parcheggiate, poi diresse il mezzo contro l’abitazione, sfondando una parte della parete. La Procura ha sostenuto che, pur di fronte a un’aggressione reale e grave, l’esito mortale «poteva essere evitato». Il nodo centrale era se Mugnai avesse alternative non letali. Per la pm Taddei, quella reazione, scaturita da «banali ruggini» con il vicino, aveva superato il limite della proporzione. I difensori, gli avvocati Piero Melani Graverini e Marzia Lelli, invece, hanno martellato sul concetto di piena legittima difesa, richiamando il contesto: buio, zona isolata, panico dentro casa, il tutto precipitato «in soli sei minuti» nei quali, secondo gli avvocati, «non esisteva alcuna alternativa per proteggere i propri cari». Durante le udienze si è battuto molto sul fattore tempo ed è stata dimostrata l’impossibilità di fuga. Nel dibattimento sono stati ascoltati anche i familiari della vittima, costituiti parte civile e rappresentati dall’avvocato Francesca Cotani, che aveva chiesto la condanna dell’imputato. In aula c’era molta gente e anche la politica ha fatto sentire la sua presenza: la deputata della Lega Tiziana Nisini e Cristiano Romani, esponente del movimento Il Mondo al contrario del generale Roberto Vannacci. Entrambi si erano schierati pubblicamente con Mugnai. Nel paese c’erano anche state fiaccolate e manifestazioni di solidarietà per l’artigiano. Il fascicolo era passato attraverso momenti tortuosi: un primo giudice non aveva accolto la richiesta di condanna a 2 anni e 8 mesi e aveva disposto ulteriori accertamenti sull’ipotesi di omicidio volontario. Poi è stata disposta la scarcerazione di Mugnai. La fase iniziale è stata caratterizzata da incertezza e oscillazioni interpretative. E, così, alla lettura della sentenza l’aula è esplosa: lacrime, abbracci e applausi. Mugnai, commosso, ha detto: «Ho sparato per salvare la pelle a me e ai miei cari. Non potrò dimenticare quello che è successo, ora spero che possa cominciare una vita diversa. Tre anni difficili, pesanti». Detenzione preventiva compresa. «Oggi è un giorno di giustizia. Ma la battaglia non è finita», commenta Vannacci: «Mugnai ha fatto ciò che qualunque padre, marito, figlio farebbe davanti a un’aggressione brutale. È una vittoria di buon senso, ma anche un segnale, perché in Italia c’è ancora troppo da fare per difendere le vere vittime, quelle finite sotto processo solo perché hanno scelto di salvarsi la vita. E mentre oggi festeggiamo questo risultato, non possiamo dimenticare chi non ha avuto la stessa sorte: penso a casi come quello di Mario Roggero, il gioielliere piemontese condannato a 15 anni per aver difeso la propria attività da una rapina». «La difesa è sempre legittima e anche in questo caso, grazie a una legge fortemente voluta e approvata dalla Lega, una persona perbene che ha difeso se stesso e la sua famiglia non andrà in carcere, bene così», rivendica il segretario del Carroccio Matteo Salvini. «Questa sentenza dimostra come la norma sulla legittima difesa tuteli i cittadini che si trovano costretti a reagire di fronte a minacce reali e gravi», ha precisato il senatore leghista (componente della commissione Giustizia) Manfredi Potenti. La vita di Sandro Mugnai ricomincia adesso, fuori dall’aula. Ma con la consapevolezza che, per salvare se stesso e la sua famiglia, ha dovuto sparare e poi aspettare quasi tre anni perché qualcuno glielo riconoscesse.
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Carlo Melato continua a dialogare con il critico musicale Alberto Mattioli, aspettando la Prima del 7 dicembre del teatro alla Scala di Milano. Tra i misteri più affascinanti del capolavoro di Shostakovich c’è sicuramente il motivo profondo per il quale il dittatore comunista fece sparire questo titolo dai cartelloni dell’Unione sovietica dopo due anni di incredibili successi.