2025-04-03
Orbán accoglie Bibi e bastona la Cpi. L’Ue prepara sanzioni per l’altolà ai Pride
L’ungherese molla la Corte che chiede l’arresto di Netanyahu, da ieri a Budapest. Bruxelles minaccia la procedura d’infrazione.Cdu e Spd pronte a bandire per legge l’avversario di Afd. La norma in cantiere, che vieta la candidatura ai condannati per «incitamento all’odio», stroncherebbe il futuro del turingio Höcke.Lo speciale contiene due articoli.Quando si tratta dell’Ungheria a Bruxelles non pare vero di picchiare - s’intende dialetticamente - botte da Orbán. Se la prendono sia Michael O’Flaherty commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, istituzione che conta come il due di coppe quando la briscola è bastoni, sia Michael - pure lui - McGarth, commissario europeo per la Giustizia, perché il parlamento ungherese ha votato una legge che vieta i gay pride a Budapest. Siccome la comunità Lgbt a Bruxelles è più sacra di San Benedetto patrono d’Europa, la Commissione sta studiando una procedura d’infrazione contro l’Ungheria. La verità è però un’altra e i due si nascondono dietro «i diritti della persona» potenzialmente violati perché non hanno il coraggio di affrontare Viktor Orbán sul terreno vero: la disubbidienza che il premier ungherese ha dichiarato verso la Corte penale internazionale che peraltro vuole abbandonare. Orbán ospita infatti da ieri, in visita ufficiale di Stato, Benjamin Netanyahu - il leader israeliano arrivato ieri a Budapest accolto con tutti gli onori nel castello di Buda. Stamane i due avranno un lungo vertice, lasciando basita l’Ue che sui rapporti con Israele ha dato il massimo esempio di cerchiobottismo. Se Joseph Borrell - il fu fino all’altro ieri Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue - contro il premier israeliano ne ha dette di ogni, oggi l’Europa di fronte alla crisi israelo-palestinese balbetta. Aspetta forse che il tribunale israeliano che deve giudicare Bibi per corruzione levi la castagna Netanyahu dal fuoco, ma continua a tener fede a una richiesta di arresto emessa dalla Corte internazionale. Karim Khan - procuratore capo della Cpi - ha chiesto l’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità dei capi di Hamas e di Netanyahu mettendo sullo stesso piano gli israeliani e i terroristi di Hamas. È la prima volta che la Cpi spicca un ordine di arresto contro il capo di governo di un paese democratico. Ripartendo da lì, ieri per Bruxelles è scoppiata la grana Orbán. Accogliendo Netanyahu, il premier ungherese ha dichiarato di ignorare il mandato di arresto internazionale, atto a cui dovrebbe invece «obbedire» - lo pensa in cuor suo l’Ue - visto che Budapest ha firmato il trattato di Roma che istituisce la Cpi. Il ministro degli esteri di Budapest - Péter Szíjjártó - annunciando l’arrivo di Bibi ha commentato: «Siamo pronti a lasciare la Corte penale, riteniamo il mandato d’arresto per Netanyahu assurdo e antisemita: è un moderno processo Dreyfus dove la Cpi ha messo sullo stesso piano i terroristi di Hamas e la legittima difesa di Israele». Szíjjártó ha anche spiegato che il Parlamento ungherese non ha adottato alcuna regola procedurale per dare corso all’arresto, il che lascia libero il governo di non tenere conto dell’ordine della Cpi. Bruxelles - comme d’habitude ai piani alti di palazzo Berlaymont - fa mostra d’ignavia: «Non siamo a conoscenza di alcuna notifica formale che l’Ungheria abbia chiesto di ritirarsi dalla Cpi - ha commentato la portavoce della Commissione Ue Anitta Hipper - se così fosse ci rammaricheremmo profondamente».Poi ha tenuto a precisare: «L’Ue continuerà a cooperare con la Cpi». Sta di fatto però che la Corte è al centro di numerose critiche. A cominciare dal caso Almasri - il rimpatrio del generale libico operato dal governo italiano dopo una pronuncia della Corte d’Appello di Roma - su cui i giudici dell’Aia hanno chiesto chiarimenti a Giorgia Meloni. Ma come si sa a Bruxelles se vai in verso ostinato e contrario ai voleri dell’euroburocrazia cercano in tutti i modi di fartela pagare. Così si attaccano al Pride. Sostiene Michael McGarth: «Stiamo facendo un’analisi approfondita sulla legge approvata dal Parlamento ungherese che limita il diritto di riunione, vietando l’organizzazione e la partecipazione a manifestazioni che violino la legge sulla protezione dell’infanzia». Da qui si ricava che gli ungheresi ce l’hanno con la comunità Lgbt che «è sottoposta a molestie in continuo aumento in tutto il mondo, la Comunità europea - sostiene McGarth - è a fianco della comunità Lgbt in Ungheria e ovunque: seguiamo gli sviluppi relativi allo stato di diritto in Ungheria». Che tira dritto. Secondo Radio Free Europe la decisione di Budapest di lasciare la Cpi è maturata nelle scorse settimane e il ministro della Giustizia Bence Tuzson ne avrebbe parlato in una riunione degli ambasciatori. Budapest ha osservato le mosse di Donald Trump e l’annuncio, il 6 febbraio scorso, di sanzioni alla Cpi proprio in relazione al caso Netanyahu sarebbe stato un via libera Usa al governo magiaro, che presenterà una proposta di risoluzione al Parlamento sul ritiro dalla Corte nei prossimi giorni avviando così la procedura ufficiale di uscita. Gli Usa non riconoscono la Cpi, tant’è che la prima visita ufficiale, dopo il mandato d’arresto, Netanyahu l’ha fatta proprio a Washington, dove non correva alcun pericolo. Le relazioni tra Israele e Ungheria sono sempre più solide. Appena due settimane fa il ministro dell’Economia ungherese, Márton Nagy, ha incontrato il ministro del Turismo israeliano Haim Katz e ha firmato un accordo sullo sviluppo delle relazioni economiche, tenendo conto del boom di turisti israeliani a Budapest dopo l’apertura di voli diretti tra i due Paesi. Da quel che si sa, l’Ungheria si è impegnata a mantenere e rafforzare la posizione favorevole a Gerusalemme all’interno dell’Ue. Detto fatto.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/orban-accoglie-bibi-bastona-cpi-2671665699.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cdu-e-spd-pronte-a-bandire-per-legge-lavversario-di-afd" data-post-id="2671665699" data-published-at="1743660244" data-use-pagination="False"> Cdu e Spd pronte a bandire per legge l’avversario di Afd Due esponenti di Alternative für Deutschland, Björn Höcke e Petr Bystron, rischiano di diventare gli ennesimi bersagli della magistratura. Le loro carriere politiche rischiano una stroncatura, sulla stessa scia di quanto è accaduto a Marine Le Pen e Călin Georgescu. Björn Höcke è una figura assai influente all’interno di Afd. Dai suoi comizi sono partite le invettive più pungenti contro le istituzioni, le ambizioni alla presidenza della Turingia ma anche svariate condanne giudiziarie. All’orizzonte, però, sembra profilarsi un punto di non ritorno. Secondo la Bild, infatti, nel programma stilato da l’Unione (Cdu-Csu) e Spd figura una misura che può decretare l’ineleggibilità di Höcke. «Come parte del rafforzamento della nostra democrazia», le parole del programma riportate dal quotidiano tedesco, «stiamo regolamentando il ritiro del diritto di voto passivo in caso di condanne multiple per incitamento all’odio. Vogliamo combattere il terrorismo, l’antisemitismo e, in particolare, rafforzare il reato di incitamento all’odio». A proposito di reati di questo genere, nel corso degli anni, Höcke si è visto revocare dieci volte la sua immunità dal parlamento regionale della Turingia e perquisire la propria casa. L’ultimo procedimento giudiziario è ancora in corso, con l’accusa del tribunale di Mühlhausen di incitamento all’odio per un commento rilasciato su Telegram dopo un attentato islamico a Ludwigshafen, in cui sono morte due persone. Un’eventuale sentenza sfavorevole, insieme all’entrata in vigore della nuova norma a firma della grande coalizione, possono determinare la fine della carriera politica di Höcke. «Il paragrafo sull’incitamento all’odio», ha dichiarato «viene completamente ridefinito nell’accordo di coalizione tra Cdu e Spd. L’opposizione deve essere criminalizzata e infine eliminata privandola della possibilità di essere eletta». Nel frattempo, nel mirino della magistratura rischia di finire anche Petr Bystron, eurodeputato ed esponente di Afd. Infatti, martedì scorso il Parlamento europeo gli ha revocato l’immunità con il voto della maggioranza. Il motivo è un fotomontaggio ritraente alcuni politici tedeschi che, secondo la Procura, allungano il braccio verso l’alto, dando l’impressione di eseguire il saluto hitleriano. La vicenda, però, risale al 2023: già il Bundestag aveva revocato l’immunità all’esponente di Afd che prontamente ha fatto notare come la questione non avesse dato fastidio a nessuno per oltre un anno. «Solo con l’inizio della campagna elettorale per le elezioni europee il pubblico ministero ha scoperto il saluto hitleriano e ha inscenato un procedimento contro di me con l’attenzione dei media» ha dichiarato Bystron. Su di lui, però, dallo scorso anno pendono anche delle indagini su riciclaggio di denaro e corruzione nell’ambito dello scandalo «Voice of Russia», un portale di propaganda filorussa. Non è la prima volta che la destra tedesca si ritrova sotto i fuochi incrociati. Nei mesi precedenti alle elezioni, infatti, una maggioranza bipartisan del Bundestag si è rivolta alla Corte costituzionale, con una mozione, per mettere al bando Afd, dopo averla dichiarata «anticostituzionale», e per tagliarle i fondi. La singola vicenda ha avuto un esito noto a tutti: Alternative fur Deutschland è stato il secondo partito più votato alle elezioni di febbraio, superando il 20% delle preferenze.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)