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2025-04-03
Orbán accoglie Bibi e bastona la Cpi. L’Ue prepara sanzioni per l’altolà ai Pride
Viktor Orbán (Ansa)
Quando si tratta dell’Ungheria a Bruxelles non pare vero di picchiare - s’intende dialetticamente - botte da Orbán. Se la prendono sia Michael O’Flaherty commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, istituzione che conta come il due di coppe quando la briscola è bastoni, sia Michael - pure lui - McGarth, commissario europeo per la Giustizia, perché il parlamento ungherese ha votato una legge che vieta i gay pride a Budapest. Siccome la comunità Lgbt a Bruxelles è più sacra di San Benedetto patrono d’Europa, la Commissione sta studiando una procedura d’infrazione contro l’Ungheria. La verità è però un’altra e i due si nascondono dietro «i diritti della persona» potenzialmente violati perché non hanno il coraggio di affrontare Viktor Orbán sul terreno vero: la disubbidienza che il premier ungherese ha dichiarato verso la Corte penale internazionale che peraltro vuole abbandonare. Orbán ospita infatti da ieri, in visita ufficiale di Stato, Benjamin Netanyahu - il leader israeliano arrivato ieri a Budapest accolto con tutti gli onori nel castello di Buda. Stamane i due avranno un lungo vertice, lasciando basita l’Ue che sui rapporti con Israele ha dato il massimo esempio di cerchiobottismo. Se Joseph Borrell - il fu fino all’altro ieri Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue - contro il premier israeliano ne ha dette di ogni, oggi l’Europa di fronte alla crisi israelo-palestinese balbetta. Aspetta forse che il tribunale israeliano che deve giudicare Bibi per corruzione levi la castagna Netanyahu dal fuoco, ma continua a tener fede a una richiesta di arresto emessa dalla Corte internazionale. Karim Khan - procuratore capo della Cpi - ha chiesto l’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità dei capi di Hamas e di Netanyahu mettendo sullo stesso piano gli israeliani e i terroristi di Hamas.
È la prima volta che la Cpi spicca un ordine di arresto contro il capo di governo di un paese democratico. Ripartendo da lì, ieri per Bruxelles è scoppiata la grana Orbán. Accogliendo Netanyahu, il premier ungherese ha dichiarato di ignorare il mandato di arresto internazionale, atto a cui dovrebbe invece «obbedire» - lo pensa in cuor suo l’Ue - visto che Budapest ha firmato il trattato di Roma che istituisce la Cpi. Il ministro degli esteri di Budapest - Péter Szíjjártó - annunciando l’arrivo di Bibi ha commentato: «Siamo pronti a lasciare la Corte penale, riteniamo il mandato d’arresto per Netanyahu assurdo e antisemita: è un moderno processo Dreyfus dove la Cpi ha messo sullo stesso piano i terroristi di Hamas e la legittima difesa di Israele». Szíjjártó ha anche spiegato che il Parlamento ungherese non ha adottato alcuna regola procedurale per dare corso all’arresto, il che lascia libero il governo di non tenere conto dell’ordine della Cpi. Bruxelles - comme d’habitude ai piani alti di palazzo Berlaymont - fa mostra d’ignavia: «Non siamo a conoscenza di alcuna notifica formale che l’Ungheria abbia chiesto di ritirarsi dalla Cpi - ha commentato la portavoce della Commissione Ue Anitta Hipper - se così fosse ci rammaricheremmo profondamente».Poi ha tenuto a precisare: «L’Ue continuerà a cooperare con la Cpi». Sta di fatto però che la Corte è al centro di numerose critiche. A cominciare dal caso Almasri - il rimpatrio del generale libico operato dal governo italiano dopo una pronuncia della Corte d’Appello di Roma - su cui i giudici dell’Aia hanno chiesto chiarimenti a Giorgia Meloni. Ma come si sa a Bruxelles se vai in verso ostinato e contrario ai voleri dell’euroburocrazia cercano in tutti i modi di fartela pagare. Così si attaccano al Pride.
Sostiene Michael McGarth: «Stiamo facendo un’analisi approfondita sulla legge approvata dal Parlamento ungherese che limita il diritto di riunione, vietando l’organizzazione e la partecipazione a manifestazioni che violino la legge sulla protezione dell’infanzia». Da qui si ricava che gli ungheresi ce l’hanno con la comunità Lgbt che «è sottoposta a molestie in continuo aumento in tutto il mondo, la Comunità europea - sostiene McGarth - è a fianco della comunità Lgbt in Ungheria e ovunque: seguiamo gli sviluppi relativi allo stato di diritto in Ungheria». Che tira dritto. Secondo Radio Free Europe la decisione di Budapest di lasciare la Cpi è maturata nelle scorse settimane e il ministro della Giustizia Bence Tuzson ne avrebbe parlato in una riunione degli ambasciatori. Budapest ha osservato le mosse di Donald Trump e l’annuncio, il 6 febbraio scorso, di sanzioni alla Cpi proprio in relazione al caso Netanyahu sarebbe stato un via libera Usa al governo magiaro, che presenterà una proposta di risoluzione al Parlamento sul ritiro dalla Corte nei prossimi giorni avviando così la procedura ufficiale di uscita. Gli Usa non riconoscono la Cpi, tant’è che la prima visita ufficiale, dopo il mandato d’arresto, Netanyahu l’ha fatta proprio a Washington, dove non correva alcun pericolo.
Le relazioni tra Israele e Ungheria sono sempre più solide. Appena due settimane fa il ministro dell’Economia ungherese, Márton Nagy, ha incontrato il ministro del Turismo israeliano Haim Katz e ha firmato un accordo sullo sviluppo delle relazioni economiche, tenendo conto del boom di turisti israeliani a Budapest dopo l’apertura di voli diretti tra i due Paesi. Da quel che si sa, l’Ungheria si è impegnata a mantenere e rafforzare la posizione favorevole a Gerusalemme all’interno dell’Ue. Detto fatto.
Cdu e Spd pronte a bandire per legge l’avversario di Afd
Due esponenti di Alternative für Deutschland, Björn Höcke e Petr Bystron, rischiano di diventare gli ennesimi bersagli della magistratura. Le loro carriere politiche rischiano una stroncatura, sulla stessa scia di quanto è accaduto a Marine Le Pen e Călin Georgescu.
Björn Höcke è una figura assai influente all’interno di Afd. Dai suoi comizi sono partite le invettive più pungenti contro le istituzioni, le ambizioni alla presidenza della Turingia ma anche svariate condanne giudiziarie. All’orizzonte, però, sembra profilarsi un punto di non ritorno. Secondo la Bild, infatti, nel programma stilato da l’Unione (Cdu-Csu) e Spd figura una misura che può decretare l’ineleggibilità di Höcke. «Come parte del rafforzamento della nostra democrazia», le parole del programma riportate dal quotidiano tedesco, «stiamo regolamentando il ritiro del diritto di voto passivo in caso di condanne multiple per incitamento all’odio. Vogliamo combattere il terrorismo, l’antisemitismo e, in particolare, rafforzare il reato di incitamento all’odio».
A proposito di reati di questo genere, nel corso degli anni, Höcke si è visto revocare dieci volte la sua immunità dal parlamento regionale della Turingia e perquisire la propria casa. L’ultimo procedimento giudiziario è ancora in corso, con l’accusa del tribunale di Mühlhausen di incitamento all’odio per un commento rilasciato su Telegram dopo un attentato islamico a Ludwigshafen, in cui sono morte due persone. Un’eventuale sentenza sfavorevole, insieme all’entrata in vigore della nuova norma a firma della grande coalizione, possono determinare la fine della carriera politica di Höcke. «Il paragrafo sull’incitamento all’odio», ha dichiarato «viene completamente ridefinito nell’accordo di coalizione tra Cdu e Spd. L’opposizione deve essere criminalizzata e infine eliminata privandola della possibilità di essere eletta».
Nel frattempo, nel mirino della magistratura rischia di finire anche Petr Bystron, eurodeputato ed esponente di Afd. Infatti, martedì scorso il Parlamento europeo gli ha revocato l’immunità con il voto della maggioranza. Il motivo è un fotomontaggio ritraente alcuni politici tedeschi che, secondo la Procura, allungano il braccio verso l’alto, dando l’impressione di eseguire il saluto hitleriano. La vicenda, però, risale al 2023: già il Bundestag aveva revocato l’immunità all’esponente di Afd che prontamente ha fatto notare come la questione non avesse dato fastidio a nessuno per oltre un anno. «Solo con l’inizio della campagna elettorale per le elezioni europee il pubblico ministero ha scoperto il saluto hitleriano e ha inscenato un procedimento contro di me con l’attenzione dei media» ha dichiarato Bystron. Su di lui, però, dallo scorso anno pendono anche delle indagini su riciclaggio di denaro e corruzione nell’ambito dello scandalo «Voice of Russia», un portale di propaganda filorussa.
Non è la prima volta che la destra tedesca si ritrova sotto i fuochi incrociati. Nei mesi precedenti alle elezioni, infatti, una maggioranza bipartisan del Bundestag si è rivolta alla Corte costituzionale, con una mozione, per mettere al bando Afd, dopo averla dichiarata «anticostituzionale», e per tagliarle i fondi. La singola vicenda ha avuto un esito noto a tutti: Alternative fur Deutschland è stato il secondo partito più votato alle elezioni di febbraio, superando il 20% delle preferenze.
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L’ungherese molla la Corte che chiede l’arresto di Netanyahu, da ieri a Budapest. Bruxelles minaccia la procedura d’infrazione.Cdu e Spd pronte a bandire per legge l’avversario di Afd. La norma in cantiere, che vieta la candidatura ai condannati per «incitamento all’odio», stroncherebbe il futuro del turingio Höcke.Lo speciale contiene due articoli.Quando si tratta dell’Ungheria a Bruxelles non pare vero di picchiare - s’intende dialetticamente - botte da Orbán. Se la prendono sia Michael O’Flaherty commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, istituzione che conta come il due di coppe quando la briscola è bastoni, sia Michael - pure lui - McGarth, commissario europeo per la Giustizia, perché il parlamento ungherese ha votato una legge che vieta i gay pride a Budapest. Siccome la comunità Lgbt a Bruxelles è più sacra di San Benedetto patrono d’Europa, la Commissione sta studiando una procedura d’infrazione contro l’Ungheria. La verità è però un’altra e i due si nascondono dietro «i diritti della persona» potenzialmente violati perché non hanno il coraggio di affrontare Viktor Orbán sul terreno vero: la disubbidienza che il premier ungherese ha dichiarato verso la Corte penale internazionale che peraltro vuole abbandonare. Orbán ospita infatti da ieri, in visita ufficiale di Stato, Benjamin Netanyahu - il leader israeliano arrivato ieri a Budapest accolto con tutti gli onori nel castello di Buda. Stamane i due avranno un lungo vertice, lasciando basita l’Ue che sui rapporti con Israele ha dato il massimo esempio di cerchiobottismo. Se Joseph Borrell - il fu fino all’altro ieri Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue - contro il premier israeliano ne ha dette di ogni, oggi l’Europa di fronte alla crisi israelo-palestinese balbetta. Aspetta forse che il tribunale israeliano che deve giudicare Bibi per corruzione levi la castagna Netanyahu dal fuoco, ma continua a tener fede a una richiesta di arresto emessa dalla Corte internazionale. Karim Khan - procuratore capo della Cpi - ha chiesto l’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità dei capi di Hamas e di Netanyahu mettendo sullo stesso piano gli israeliani e i terroristi di Hamas. È la prima volta che la Cpi spicca un ordine di arresto contro il capo di governo di un paese democratico. Ripartendo da lì, ieri per Bruxelles è scoppiata la grana Orbán. Accogliendo Netanyahu, il premier ungherese ha dichiarato di ignorare il mandato di arresto internazionale, atto a cui dovrebbe invece «obbedire» - lo pensa in cuor suo l’Ue - visto che Budapest ha firmato il trattato di Roma che istituisce la Cpi. Il ministro degli esteri di Budapest - Péter Szíjjártó - annunciando l’arrivo di Bibi ha commentato: «Siamo pronti a lasciare la Corte penale, riteniamo il mandato d’arresto per Netanyahu assurdo e antisemita: è un moderno processo Dreyfus dove la Cpi ha messo sullo stesso piano i terroristi di Hamas e la legittima difesa di Israele». Szíjjártó ha anche spiegato che il Parlamento ungherese non ha adottato alcuna regola procedurale per dare corso all’arresto, il che lascia libero il governo di non tenere conto dell’ordine della Cpi. Bruxelles - comme d’habitude ai piani alti di palazzo Berlaymont - fa mostra d’ignavia: «Non siamo a conoscenza di alcuna notifica formale che l’Ungheria abbia chiesto di ritirarsi dalla Cpi - ha commentato la portavoce della Commissione Ue Anitta Hipper - se così fosse ci rammaricheremmo profondamente».Poi ha tenuto a precisare: «L’Ue continuerà a cooperare con la Cpi». Sta di fatto però che la Corte è al centro di numerose critiche. A cominciare dal caso Almasri - il rimpatrio del generale libico operato dal governo italiano dopo una pronuncia della Corte d’Appello di Roma - su cui i giudici dell’Aia hanno chiesto chiarimenti a Giorgia Meloni. Ma come si sa a Bruxelles se vai in verso ostinato e contrario ai voleri dell’euroburocrazia cercano in tutti i modi di fartela pagare. Così si attaccano al Pride. Sostiene Michael McGarth: «Stiamo facendo un’analisi approfondita sulla legge approvata dal Parlamento ungherese che limita il diritto di riunione, vietando l’organizzazione e la partecipazione a manifestazioni che violino la legge sulla protezione dell’infanzia». Da qui si ricava che gli ungheresi ce l’hanno con la comunità Lgbt che «è sottoposta a molestie in continuo aumento in tutto il mondo, la Comunità europea - sostiene McGarth - è a fianco della comunità Lgbt in Ungheria e ovunque: seguiamo gli sviluppi relativi allo stato di diritto in Ungheria». Che tira dritto. Secondo Radio Free Europe la decisione di Budapest di lasciare la Cpi è maturata nelle scorse settimane e il ministro della Giustizia Bence Tuzson ne avrebbe parlato in una riunione degli ambasciatori. Budapest ha osservato le mosse di Donald Trump e l’annuncio, il 6 febbraio scorso, di sanzioni alla Cpi proprio in relazione al caso Netanyahu sarebbe stato un via libera Usa al governo magiaro, che presenterà una proposta di risoluzione al Parlamento sul ritiro dalla Corte nei prossimi giorni avviando così la procedura ufficiale di uscita. Gli Usa non riconoscono la Cpi, tant’è che la prima visita ufficiale, dopo il mandato d’arresto, Netanyahu l’ha fatta proprio a Washington, dove non correva alcun pericolo. Le relazioni tra Israele e Ungheria sono sempre più solide. Appena due settimane fa il ministro dell’Economia ungherese, Márton Nagy, ha incontrato il ministro del Turismo israeliano Haim Katz e ha firmato un accordo sullo sviluppo delle relazioni economiche, tenendo conto del boom di turisti israeliani a Budapest dopo l’apertura di voli diretti tra i due Paesi. Da quel che si sa, l’Ungheria si è impegnata a mantenere e rafforzare la posizione favorevole a Gerusalemme all’interno dell’Ue. 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All’orizzonte, però, sembra profilarsi un punto di non ritorno. Secondo la Bild, infatti, nel programma stilato da l’Unione (Cdu-Csu) e Spd figura una misura che può decretare l’ineleggibilità di Höcke. «Come parte del rafforzamento della nostra democrazia», le parole del programma riportate dal quotidiano tedesco, «stiamo regolamentando il ritiro del diritto di voto passivo in caso di condanne multiple per incitamento all’odio. Vogliamo combattere il terrorismo, l’antisemitismo e, in particolare, rafforzare il reato di incitamento all’odio». A proposito di reati di questo genere, nel corso degli anni, Höcke si è visto revocare dieci volte la sua immunità dal parlamento regionale della Turingia e perquisire la propria casa. L’ultimo procedimento giudiziario è ancora in corso, con l’accusa del tribunale di Mühlhausen di incitamento all’odio per un commento rilasciato su Telegram dopo un attentato islamico a Ludwigshafen, in cui sono morte due persone. Un’eventuale sentenza sfavorevole, insieme all’entrata in vigore della nuova norma a firma della grande coalizione, possono determinare la fine della carriera politica di Höcke. «Il paragrafo sull’incitamento all’odio», ha dichiarato «viene completamente ridefinito nell’accordo di coalizione tra Cdu e Spd. L’opposizione deve essere criminalizzata e infine eliminata privandola della possibilità di essere eletta». Nel frattempo, nel mirino della magistratura rischia di finire anche Petr Bystron, eurodeputato ed esponente di Afd. Infatti, martedì scorso il Parlamento europeo gli ha revocato l’immunità con il voto della maggioranza. Il motivo è un fotomontaggio ritraente alcuni politici tedeschi che, secondo la Procura, allungano il braccio verso l’alto, dando l’impressione di eseguire il saluto hitleriano. La vicenda, però, risale al 2023: già il Bundestag aveva revocato l’immunità all’esponente di Afd che prontamente ha fatto notare come la questione non avesse dato fastidio a nessuno per oltre un anno. «Solo con l’inizio della campagna elettorale per le elezioni europee il pubblico ministero ha scoperto il saluto hitleriano e ha inscenato un procedimento contro di me con l’attenzione dei media» ha dichiarato Bystron. Su di lui, però, dallo scorso anno pendono anche delle indagini su riciclaggio di denaro e corruzione nell’ambito dello scandalo «Voice of Russia», un portale di propaganda filorussa. Non è la prima volta che la destra tedesca si ritrova sotto i fuochi incrociati. Nei mesi precedenti alle elezioni, infatti, una maggioranza bipartisan del Bundestag si è rivolta alla Corte costituzionale, con una mozione, per mettere al bando Afd, dopo averla dichiarata «anticostituzionale», e per tagliarle i fondi. La singola vicenda ha avuto un esito noto a tutti: Alternative fur Deutschland è stato il secondo partito più votato alle elezioni di febbraio, superando il 20% delle preferenze.
Ansa
L’accordo è stato siglato con Certares, fondo statunitense specializzato nel turismo e nei viaggi, nome ben noto nel settore per American express global business travel e per una rete di partecipazioni che abbraccia distribuzione, servizi e tecnologia legata alla mobilità globale. Il piano è robusto: una joint venture e investimenti complessivi per circa un miliardo di euro tra Francia e Regno Unito.
Il primo terreno di gioco è Trenitalia France, la controllata con sede a Parigi che negli ultimi anni ha dimostrato come la concorrenza sui binari francesi non sia più un tabù. Oggi opera nell’Alta velocità sulle tratte Parigi-Lione e Parigi-Marsiglia, oltre al collegamento internazionale Parigi-Milano. Dal debutto ha trasportato oltre 4,7 milioni di passeggeri, ritagliandosi il ruolo di secondo operatore nel mercato francese. A dominarlo il monopolio storico di Sncf il cui Tgv è stato il primo treno super-veloce in Europa. Intaccarne il primato richiede investimenti e impegno. Il nuovo capitale messo sul tavolo servirà a consolidare la presenza di Fs non solo in Francia, ma anche nei mercati transfrontalieri. Il progetto prevede l’ampliamento della flotta fino a 19 treni, aumento delle frequenze - sulla Parigi-Lione si arriverà a 28 corse giornaliere - e la realizzazione di un nuovo impianto di manutenzione nell’area parigina. A questo si aggiunge la creazione di centinaia di nuovi posti di lavoro e il rafforzamento degli investimenti in tecnologia, brand e marketing. Ma il vero orizzonte strategico è oltre il Canale della Manica. La partnership punta infatti all’ingresso sulla rotta Parigi-Londra entro il 2029, un corridoio simbolico e ad altissimo traffico, finora appannaggio quasi esclusivo dell’Eurostar. Portare l’Alta velocità italiana su quella linea significa non solo competere su prezzi e servizi, ma anche ridisegnare la geografia dei viaggi europei, offrendo un’alternativa all’aereo.
In questo disegno Certares gioca un ruolo chiave. Il fondo americano non si limita a investire capitale, ma mette a disposizione la rete di distribuzione e le società in portafoglio per favorire la transizione dei clienti business verso il treno ad Alta velocità. Parallelamente, l’accordo guarda anche ad altro. Trenitalia France e Certares intendono promuovere itinerari integrati che includano il treno, semplificare gli strumenti di prenotazione e spingere milioni di viaggiatori a scegliere la ferrovia come modalità di trasporto preferita, soprattutto sulle medie distanze. L’operazione si inserisce nel piano strategico 2025-2029 del gruppo Fs, che punta su una crescita internazionale accelerata attraverso alleanze con partner finanziari e industriali di primo piano. Sarà centrale Fs International, la divisione che si occupa delle attività passeggeri fuori dall’Italia. Oggi vale circa 3 miliardi di euro di fatturato e conta su 12.000 dipendenti.
L’obiettivo, come spiega un comunicato del gruppo, combinare l’eccellenza operativa di Fs e di Trenitalia France con la potenza commerciale e distributiva globale di Certares per trasformare la Francia, il corridoio Parigi-Londra e i futuri mercati della joint venture in una vetrina del trasporto europeo. Un’Europa che viaggia veloce, sempre più su rotaia, e che riscopre il treno non come nostalgia del passato, ma come infrastruttura del futuro.
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Brigitte Bardot guarda Gunter Sachs (Ansa)
Ora che è morta, la destra la vorrebbe ricordare. Ma non perché in passato aveva detto di votare il Front National. Semplicemente perché la Bardot è stata un simbolo della Francia, come ha chiesto Eric Ciotti, del Rassemblement National, a Emmanuel Macron. Una proposta scontata, alla quale però hanno risposto negativamente i socialisti. Su X, infatti, Olivier Faure ha scritto: «Gli omaggi nazionali vengono organizzati per servizi eccezionali resi alla Nazione. Brigitte Bardot è stata un'attrice emblematica della Nouvelle Vague. Solare, ha segnato il cinema francese. Ma ha anche voltato le spalle ai valori repubblicani ed è stata pluri-condannata dalla giustizia per razzismo». Un po’ come se esser stata la più importante attrice degli anni Cinquanta e Sessanta passasse in secondo piano a causa delle sue scelte politiche. Come se BB, per le sue idee, non facesse più parte di quella Francia che aveva portato al centro del mondo. Non solo nel cinema. Ma anche nel turismo. Fu grazie a lei che la spiaggia di Saint Tropez divenne di moda. Le sue immagini, nuda sulla riva, finirono sulle copertine delle riviste più importanti dell’epoca. E fecero sì che, ricchi e meno ricchi, raggiungessero quel mare limpido e selvaggio nella speranza di poterla incontrare. Tra loro anche Gigi Rizzi, che faceva parte di quel gruppo di italiani in cerca di belle donne e fortuna sulla spiaggia di Saint Tropez. Un amore estivo, che però lo rese immortale.
È vero: BB era di destra. Era una femmina che non poteva essere femminista. Avrebbe tradito sé stessa se lo avesse fatto. Del resto, disse: «Il femminismo non è il mio genere. A me piacciono gli uomini». Impossibile aggiungere altro.
Se non il dispiacere nel vedere una certa Francia voltarle le spalle. Ancora una volta. Quella stessa Francia che ha dimenticato sé stessa e che ha perso la propria identità. Quella Francia che oggi vuole dimenticare chi, Brigitte Bardot, le ricordava che cosa avrebbe potuto essere. Una Francia dei francesi. Una Francia certamente capace di accogliere, ma senza perdere la propria identità. Era questo che chiedeva BB, massacrata da morta sui giornali di sinistra, vedi Liberation, che titolano Brigitte Bardot, la discesa verso l'odio razziale.
Forse, nelle sue lettere contro l’islamizzazione, BB odiò davvero. Chi lo sa. Di certo amò la Francia, che incarnò. Nel 1956, proprio mentre la Bardot riempiva i cinema mondiali, Édith Piaf scrisse Non, je ne regrette rien (no, non mi pento di nulla). Lo fece per i legionari che combattevano la guerra d’Algeria. Una guerra che oggi i socialisti definirebbero colonialista. Quelle parole di gioia possono essere il testamento spirituale di BB. Che visse, senza rimpiangere nulla. Vivendo in un eterno presente. Mangiando la vita a morsi. Sparendo dalla scena. Ora per sempre.
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«Gigolò per caso» (Amazon Prime Video)
Un infarto, però, lo aveva costretto ad una lunga degenza e, insieme, ad uno stop professionale. Stop che non avrebbe potuto permettersi, indebitato com'era con un orologiaio affatto mite. Così, pur sapendo che avrebbe incontrato la riprova del figlio, già inviperito con suo padre, Giacomo aveva deciso di chiedergli una mano. Una sostituzione, il favore di frequentare le sue clienti abituali, consentendogli con ciò un'adeguata ripresa. La prima stagione della serie televisiva era passata, perciò, dalla rabbia allo stupore, per trovare, infine, il divertimento e una strana armonia. La seconda, intitolata La sex gurue pronta a debuttare su Amazon Prime video venerdì 2 gennaio, dovrebbe fare altrettanto, risparmiandosi però la fase della rabbia. Alfonso, cioè, è ormai a suo agio nel ruolo di gigolò. Non solo. La strana alleanza professionale, arrivata in un momento topico della sua vita, quello della crisi con la moglie Margherita, gli ha consentito di recuperare il rapporto con il padre, che credeva irrimediabilmente compromesso. Si diverte, quasi, a frequentare le sue clienti sgallettate. Peccato solo l'arrivo di Rossana Astri, il volto di Sabrina Ferilli. La donna è una fra le più celebri guru del nuovo femminismo, determinata ad indottrinare le sue simili perché si convincano sia giusto fare a meno degli uomini. Ed è questa convinzione che muove anche Margherita, moglie in crisi di Alfonso. Margherita, interpretata da Ambra Angiolini, diventa un'adepta della Astri, una sua fedele scudiera. Quasi, si scopre ad odiarli, gli uomini, dando vita ad una sorta di guerra tra sessi. Divertita, però. E capace, pure di far emergere le abissali differenze tra il maschile e il femminile, i desideri degli uni e le aspettative, quasi mai soddisfatte, delle altre.
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iStock
La nuova applicazione, in parte accessibile anche ai non clienti, introduce servizi innovativi come un assistente virtuale basato su Intelligenza artificiale, attivo 24 ore su 24, e uno screening audiometrico effettuabile direttamente dallo smartphone. L’obiettivo è duplice: migliorare la qualità del servizio clienti e promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione uditiva, riducendo le barriere all’accesso ai controlli iniziali.
Il lancio avviene in un contesto complesso per il settore. Nei primi nove mesi dell’anno Amplifon ha registrato una crescita dei ricavi dell’1,8% a cambi costanti, ma il titolo ha risentito dell’andamento negativo che ha colpito in Borsa i principali operatori del comparto. Lo sguardo di lungo periodo restituisce però un quadro diverso: negli ultimi dieci anni il titolo Amplifon ha segnato un incremento dell’80% (ieri +0,7% fra i migliori cinque del Ftse Mib), al netto dei dividendi distribuiti, che complessivamente sfiorano i 450 milioni di euro. Nello stesso arco temporale, tra il 2014 e il 2024, il gruppo ha triplicato i ricavi, arrivando a circa 2,4 miliardi di euro.
Il progetto della nuova app è stato sviluppato da Amplifon X, la divisione di ricerca e sviluppo del gruppo. Con sedi a Milano e Napoli, Amplifon X riunisce circa 50 professionisti tra sviluppatori, data analyst e designer, impegnati nella creazione di soluzioni digitali avanzate per l’audiologia. L’Intelligenza artificiale rappresenta uno dei pilastri di questa strategia, applicata non solo alla diagnosi e al supporto al paziente, ma anche alla gestione delle esigenze quotidiane legate all’uso degli apparecchi acustici.
Accanto alla tecnologia, resta centrale il ruolo degli audioprotesisti, figure chiave per Amplifon. Le competenze tecniche ed empatiche degli specialisti della salute dell’udito continuano a essere considerate un elemento insostituibile del modello di servizio, con il digitale pensato come strumento di supporto e integrazione, non come sostituzione del rapporto umano.
Fondato a Milano nel 1950, il gruppo Amplifon opera oggi in 26 Paesi con oltre 10.000 centri audiologici, impiegando più di 20.000 persone. La prevenzione e l’assistenza rappresentano i cardini della strategia industriale, e la nuova Amplifon App si inserisce in questa visione come leva per ampliare l’accesso ai servizi e rafforzare la relazione con i pazienti lungo tutto il ciclo di cura.
Il rilascio della nuova applicazione è avvenuto in modo progressivo. Dopo il debutto in Francia, Nuova Zelanda, Portogallo e Stati Uniti, la app è stata estesa ad Australia, Belgio, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera, con l’obiettivo di garantire un’esperienza digitale omogenea nei principali mercati del gruppo.
Ma l’innovazione digitale di Amplifon non si ferma all’app. Negli ultimi anni il gruppo ha sviluppato soluzioni come gli audiometri digitali OtoPad e OtoKiosk, certificati Ce e Fda, e i nuovi apparecchi Ampli-Mini Ai, miniaturizzati, ricaricabili e in grado di adattarsi in tempo reale all’ambiente sonoro. Entro la fine del 2025 è inoltre previsto il lancio in Cina di Amplifon Product Experience (Ape), la linea di prodotti a marchio Amplifon già introdotta in Argentina e Cile e oggi presente in 15 dei 26 Paesi in cui il gruppo opera.
Già per Natale il gruppo aveva lanciato la speciale campagna globale The Wish (Il regalo perfetto) Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oggi nel mondo circa 1,5 miliardi di persone convivono con una forma di perdita uditiva (o ipoacusia) e il loro numero è destinato a salire a 2,5 miliardi nel 2050.
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