2018-10-01
Ora difendiamo gli uomini mansueti. E basta con la retorica del ribelle
Scrittori e filosofi celebrano la figura di chi va controcorrente per il puro gusto di dire di no. È una sterile esaltazione del nichilismo, di chi segue i suoi istinti e demolisce l'esistente, senza costruire un'alternativa.Domenica si è concluso uno dei più grandi e rinomati festival culturali italiani, Torino spiritualità: una ambiziosa kermesse che si occupa di religione, scienza, filosofia... L'edizione di quest'anno si intitolava «Preferisco di no». Il riferimento è alla celebre frase «Preferirei di no», pronunciata a ripetizione dal protagonista del capolavoro di Herman Melville Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street. Qui, però, non ci interessano tanto i riferimenti letterari. Piuttosto, è curioso il modo in cui la nota sentenza è stata utilizzata. In buona sostanza, il festival torinese ha celebrato «coloro che dicono di no», coloro che «si ribellano». E infatti un'intera sezione della kermesse, come ricordava il Corriere della Sera, era riservata ai «ribelli della letteratura». Eccoci al punto. Non esiste figura più abusata, oggi, del ribelle. Viene chiamato in causa di continuo, sempre come personaggio positivo. Lo testimonia, ad esempio, il libro di Melissa Schilling appena uscito per Sperling & Kupfer intitolato appunto Ribelli, e dedicato a «importanti inventori e scienziati: da Albert Einstein a Marie Curie, da Nikola Tesla a Steve Jobs, sono stati outsider che hanno sfidato le convinzioni più diffuse, rivoluzionando il proprio ambito». Questo genere di retorica, ormai, ci gronda dalle orecchie. Film, romanzi, serie tv... Il ribelle è il grande feticcio della nostra epoca. Colui che «sfida le convenzioni», sovverte la morale costituita, ha il coraggio di andare «controcorrente». Sono ribelli le rockstar, gli attori, gli scrittori, i poeti. Persino gli scienziati e gli uomini d'affari: nell'immaginario hollywoodiano chiunque «violi le regole» è un eroe. Certo, poi nessuno dice che Elon Musk (uno dei ribelli lodati dalla Schilling) è un venditore di fumo appena finito nei guai con la giustizia. Nessuno dice che Albert Einstein, se non si fosse messo sotto a studiare e lavorare come un mulo, non avrebbe cavato un ragno dal buco. Pochi ricordano che Steve Jobs era anche piuttosto arrogante e autoritario nei modi. Di costoro ci importa solo l'atteggiamento «anticonformista». Del resto, oggi tutti devono essere ribelli. «Ribellarsi è giusto!», tuonava Jean Paul Sartre. «Ribellarsi è giusto!», ripete oggi il filosofo Alain Badiou. Il quale, non a caso, ripristina lo slogan per ricordare il Sessantotto, momento fondativo del ribellismo di massa. Il fatto, però, è che tutte queste manfrine sulla ribellione sono parecchio dannose. Chiedetevi: perché, attualmente, si elogia tanto il ribelle? Perché, in sostanza, è l'individuo che fa ciò che gli pare. Egli rivendica il «diritto» di andare oltre le leggi e le convenzioni perché, semplicemente, «desidera» così. Il ribelle è l'incarnazione degli spiriti animali del neoliberismo. È, fondamentalmente, un asociale, un egoista, uno che vuole imporsi a tutti i costi, anche a discapito degli altri. È l'icona perfetta del sistema che sovverte ogni regola naturale, che distrugge ogni gerarchia e sbriciola ogni valore. il rivoluzionarioIl ribelle, oggi, è il più ridicolo dei conformisti. Tutta la sua spinta vitale, la sua contestazione dell'autorità, si esaurisce nel desiderio sfrenato. O, magari, nell'autodistruzione. Il ribelle è un eterno bambino riottoso, un fastidioso Peter Pan che si compiace dei suoi dispettucci: molto affascinante per la ragazzina Wendy; decisamente più triste per la Wendy adulta e madre, che compatisce il poverino rimasto preda di sé stesso. Direte: ma come, senza qualche uomo di fegato che contesti l'autorità saremmo tutti schiavi. Sbagliato, è proprio qui che sta la fregatura. Per questo il ribelle è molto gradito all'attuale sistema, risultandone efficace strumento di propaganda. La verità è che il ribelle non crea nulla, egli distrugge e basta. A creare, semmai, è il rivoluzionario, che è una figura ben diversa e molto più tragica. Il rivoluzionario prende sulle sue spalle la comunità e il popolo. Egli si sacrifica e combatte per la sua gente. Il suo scopo è quello di cambiare lo status quo attraverso le armi della politica, a rischio della sua stessa vita. Il ribelle, invece, è un nichilista. Agisce per sé stesso, non a beneficio degli altri. Manca di empatia, contribuisce alla dissoluzione oggi imperante. Il rivoluzionario, invece, si carica sulle spalle il peso della storia. Ribalta la realtà, ribalta anche i valori, volendo. Ma per ribaltarli deve prima conoscerli, approfondirli, studiarli. Egli non si limita a demolire, edifica piuttosto un nuovo ordine. Il ribelle è sempre in conflitto, lo dice la parola stessa. È colui che «ricomincia la guerra». La rivoluzione, invece, prevede prima un moto, uno spostamento. Poi, infine, un nuovo status quo: dopo la sollevazione, il conflitto finisce. Essere ribelli significa, dunque, vegetare in uno stato di guerra permanente. Essere sempre insoddisfatti, incolpare sempre gli altri per la rabbia che brucia nel vuoto dell'anima. Il ribelle, di fatto, fa comodo al potere. Si emargina da solo, si neutralizza da solo appagando i propri istinti. anche nelle fiabeIl rivoluzionario, invece, non si può addomesticare. Egli conosce l'importanza delle regole e delle gerarchie, le rispetta. Ecco perché il mainstream vi dice: ribellatevi! E non: fate la rivoluzione. Vi dice: seguite l'istinto, siate voi stessi! In realtà, vi sta dicendo: fatevi dominare dai desideri, lasciate correre libere le pulsioni! La fatica non serve, l'impegno non serve, bastano «il genio», «il talento». Che grande bugia... Oggi ci sono perfino le fiabe per i bambini e le bambine «ribelli» (i libri che le contengono scalano le classifiche da anni, ormai). Provate a sfogliarli: sono un concentrato stomachevole di buonismo e banalità. E allora basta con le pantomime, basta con ribelli di ogni età. Meglio i bimbi obbedienti, tranquilli e miti. Meglio donne e uomini mansueti. Quelli che lavorano, sudato e s'impegnano. E quando s'adirano fanno davvero paura.
Jose Mourinho (Getty Images)