2024-04-04
Oggi scatta il taglio al Superbonus. Così si evita la manovra correttiva
Oggi scade il termine per cedere i crediti. Intervento necessario per non far deragliare i conti pubblici mentre si avvicina il ritorno del Patto di stabilità. Giancarlo Giorgetti: «Def entro il 10 aprile. Sforamenti impossibili». Oggi è il click day del Superbonus. Ultima chiamata per una quarantina di miliardi di detrazioni o sconti. Si tratta delle voci maturate nel corso del 2023 che fanno riferimento a Cilas presentate entro il 17 febbraio dell’anno scorso. In gran parte rischiano di non accedere alla cessione: a quel punto, l’unica strada sarà quella della detrazione con la conseguenza di non avere liquidità sufficiente per far avanzare i cantieri. A ballare sono soprattutto i condomini. Si calcola che circa 15.000 possano rimanere in una sorta di limbo. Un fatto sicuramente grave, ma, purtroppo, inevitabile. Se il governo non fosse intervenuto con l’accetta avremmo pagato cara la situazione, tanto da rischiare una manovra correttiva di metà anno. Eventualità da evitare a ogni costo visto che il clima in Europa è cambiato. Da maggio infatti si definiranno i dettagli del nuovo Patto di stabilità e l’Italia non avrebbe potuto permettersi di arrivare all’appuntamento affaticata. Ieri il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è stato chiaro. «Essendo terminata a fine 2023 la sospensione del Patto introdotta a seguito della pandemia e prorogata per via della crisi energetica», ha spiegato in Aula, «in base all’indebitamento netto registrato dall’Italia lo scorso anno è scontato che la Commissione raccomanderà al Consiglio di aprire una procedura per disavanzo eccessivo nei confronti del nostro come di diversi altri Paesi». Per questo, ha aggiunto il ministro, «il Documento di economia e finanza, che sarà presentato in Parlamento entro il 10 aprile sarà più leggero e terrà conto della attuale fase di transizione della governance europea e dell’impossibilità di attuare sforamenti». In altre parole, il Mef rispetterà le indicazioni di Bruxelles anche se garantisce di non tornare al modello «austerità». In questo quadro, il debito pubblico «per evidenti ragioni di sostenibilità» richiederà «la massima ponderazione delle risorse da destinare alle singole politiche» e quindi la necessità di «misurare e monitorare gli effettivi benefici di ogni singola spesa». Il Def sarà quindi parco di informazioni e senza voli pindarici con l’obiettivo di arrivare a fine novembre con idee e proposte abbastanza chiare da inserire nella legge finanziaria 2025. Anche nell’ipotesi migliore il nuovo Patto di stabilità prevederà taglia di almeno 4 miliardi rispetto agli obiettivi indicati nelle previsioni triennali. Nonostante ciò la riforma fiscale dovrà andare avanti. E quindi andrà garantito il budget di copertura per mantenere il taglio del cuneo fiscale, gli interventi pro partite Iva e la limatura dell’Irpef. Purtroppo, ci sono voci di aumento di tasse già messe sul tavolo. La riduzione degli incentivi alle attività considerate non green deriva da scelte confermate in sede Ue e di manovra ai tempi del governo Draghi. Vale la pena ricordare che togliere agevolazioni ad attività che non sono in grado di convertirsi in tempi brevi significa semplicemente aumentare le tasse. Al contrario lo stop alla riforma del Catasto ha evitato che nel 2026 arrivasse la vera batosta sulle case, mentre è ancora da bloccare l’avanzata Ue sugli immobili non green. Le due voci vanno di pari passo. E si potranno saldare soltanto dopo il voto delle Europee. Una maggioranza, e di conseguenza, una Commissione, non più a trazione socialdemocratica dovrebbero garantire maggiore sicurezza. L’esperienza del Superbonus dovrebbe tornare utile almeno per questo. Con la norma del 110% abbiamo rischiato di far saltare i conti del Paese, la legge Ue sulle case green avrebbe lo stesso impatto. Se non peggiore. Le colpe del Superbonus portano il nome di Giuseppe Conte. Ma non solo. Lo dimostra il fatto che i principali capitoli di spesa che hanno messo in difficoltà il nostro bilancio e la capacità di affrontare interventi proattivi sull’economia sono stati suggeriti o approvati dalla stessa Ue. Ci riferiamo al Superbonus e al Reddito di cittadinanza. Il primo intervento era piaciuto perché nel solco della transizione green. Peccato che se l’attuale governo non avesse interrotto lo schema di agevolazioni ci saremmo trovati con almeno 60 miliardi di deficit. Il secondo pilastro, il Rdc, è sostenuto dall’Ue chiaramente per altri motivi, ma sempre ideologici. L’obiettivo sembra essere quello di trasformare la nostra società ampliando a dismisura il numero di cittadini sussidiati (e quindi controllabili) per mantenere il costo del lavoro molto basso. L’immissione di manodopera extracomunitaria contribuisce a sostenere il trend. Al tempo stesso, però, l’ingente spesa per i sussidi (anche con l’opportuna rimodulazione fatta dall’attuale governo siamo sopra ai 9 miliardi l’anno) blinda i bilanci e rende sempre più difficile, dentro i parametri del Patto di stabilità, tagliare le tasse a chi produce. L’unica strada che permette alla ricchezza di crescere e quindi di sostenere il Pil. Il sostegno politico della Commissione alle norme scassa conti non va dimenticato. Perché i dati sull’occupazione sono buoni, ma quelli della produttività restano assai bassi. Da un lato tocca alla Bce intervenire almeno da giugno, ma il resto è nelle mani del governo. Le somme investite via Pnrr garantiscono nel lungo periodo nuove infrastrutture (soprattutto digitali), ma nel breve non garantiscono un rilancio della produttività. Ciò che serve al Paese. Ecco perché la riforma fiscale va difesa con i denti.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco