
La battaglia legale per stabilire la sorte della piccola Indi Gregory - la bimba britannica di otto mesi affetta da una malattia del Dna mitocondriale a cui medici, nel suo «best interest», intendono togliere il respiratore che la tiene in vita - continua. Come scritto ieri dalla Verità, infatti, se da un lato giovedì il giudice Robert Peel - lo stesso che il 13 ottobre scorso aveva dato l’ok alla sospensione delle cure vitali della bimba, ricoverata al Queen’s medical centre di Nottingham - si è pronunciato pure contro il suo trasferimento in Italia, dall’altro i suoi genitori, Claire Staniforth di 35 anni e Dean Gregory di 37, non mollano; e con loro non molla neppure il tenace team di legali che li assiste.
Prova ne sia l’appello, depositato ieri a 24 ore dal verdetto di Peel. Sempre nella giornata di ieri, la Corte d’appello - che in precedenza, quando però non si era ancora fatto avanti l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, non aveva accolto le istanze della famiglia Gregory - avrebbe dovuto esprimersi sull’ammissibilità del ricorso presentato dalla famiglia di Indi. Invece nel pomeriggio si è saputo che la decisione sulla ammissibilità dell’appello sarà assunta in data odierna. Dunque c’è stato un piccolo slittamento dei tempi, ma non è stato il solo; pure il divieto di distacco dei supporti vitali alla bambina, nata il 24 febbraio scorso, è stato prorogato fino a lunedì pomeriggio.
Per capire meglio però quali scenari ora si possono ora delineare, La Verità ha sentito Simone Pillon, avvocato incaricato dalla famiglia Gregory di seguire interessi della bambina in Italia e che in questi giorni ha tenuto i contatti anche col Bambino Gesù di Roma. «Purtroppo», esordisce l’avvocato, «l’ammissibilità dell’appello della famiglia di Indi sarà valutata dallo stesso giudice che aveva respinto il precedente appello, perché questo è ciò che prevede l’iter. Se il ricorso viene dichiarato inammissibile la cosa si ferma lì, se invece viene dichiarato ammissibile entro due o tre giorni ci sarà l’udienza». «Però», evidenzia Pillon, «la buona notizia è che, comunque, l’ordine che blocca la procedura di distacco del respiratore è stato prorogato fino a lunedì alle ore 15, quindi si apre un po’ tempo prezioso per la difesa della famiglia».
Per quanto riguarda l’appello, non si tratta di un semplice ricorso contro il pronunciamento del giudice Peel; sarebbe dunque importante esso fosse ammesso, continua Pillon, «così che possa esser valutata nel merito la questione sul trasferimento» e anche perché tale ricorso «prende anche in esame la valutazione sulla giurisdizione della Corte, poiché quelle in gioco in questa storia sono decisioni che normalmente sono affidate ai genitori; e quindi - a meno che non sia dia la prova che sono decisioni che contrastano con il “miglior interesse” della bambina - non vi è motivo per cui i genitori siano esautorati».
Genitori, quelli di Indi Gregory, estremamente provati da ormai settimane di battaglia legale. «La famiglia della bambina sta vivendo queste ore con grandissima tristezza», conferma Pillon, «e non capiscono né si capacitano del perché non possa essere autorizzata un’occasione che comunque garantirebbe un percorso che darebbe la speranza di una vita più lunga per la piccola. Questo proprio non riescono a capirlo». Per quanto riguarda il campo legale in cui questi genitori stanno combattendo, l’avvocato sottolinea alla Verità «quello che a me colpisce di più: perché devono loro provare il “sì” al mantenimento in vita della figlia? Semmai è chi dice “no” che deve provarlo; invece qui si assiste ad una sorta di inversione dell’onere della prova, quando in realtà dovrebbe essere chi propone la morte di una bambina a dover provare il perché la morte sia nel suo “migliore interesse”. Invece qui chi vuole far vivere la bambina è chiamato a provare le sue ragioni».
In effetti, il paradosso c’è tutto ed appare difficilmente comprensibile, se non all’interno di un orizzonte culturale - che non è, va detto, solo quello britannico - in cui è lo Stato ad arrogarsi quale sia il diritto «best interest» dei suoi cittadini, facendosi beffe sia dell’autodeterminazione dell’individuo sia, in questo caso, del primato della famiglia tale per cui sono i genitori a stabilire quale sia il miglior interesse per i loro figli. Tuttavia, come si evince dalle dichiarazioni poc’anzi riportate, degli spiragli di speranza di ci sono ancora. Certo è che, se alla fine la giustizia britannica si dovesse pronunciare favorevolmente al trasferimento a Roma di Gregory, sarebbe qualcosa di straordinario. Nel 2017 e nel 2018, prima a Charlie Gard e poi ad Alfie Evans, fu infatti negata la possibilità di curarsi in Italia ed entrambi, privati dei supporti vitali, furono lasciati morire. Fece eccezione Tafida Raqeeb a cui, nell’autunno 2019, l’Alta Corte di Londra permise il trasferimento all’ospedale Gaslini di Genova. Un precedente che fa sperare, insomma, c’è. E ci si augura possa a breve ripetersi.






