Christine Lagarde (Ansa)
Il vizietto di alzarsi la busta paga non è un’esclusiva della Commissione. Il capo della Banca centrale ha deciso di aumentarsela del 4,7%. Per pagare tutto il personale servono addirittura 844 milioni di euro.
«La politica è sangue e merda», diceva il socialista Rino Formica descrivendo la natura spietata e pragmatica della pratica di governo e dell’amministrazione statale. Non aveva tutti i torti, considerando quanto sia dura e faticosa la ricerca di un punto d’incontro su interessi, ideologie e sistemi di potere spesso contrapposti, sia a livello nazionale che internazionale. C’è poi da dire che nell’arte del governare i politici ci mettono la faccia; non si può dire la stessa cosa dei tanti funzionari, grand commis e sherpa incaricati di elaborare le politiche, controllare l’attuazione della legislazione, effettuare analisi e fornire consulenza. Sono loro che svolgono un ruolo decisivo negli orientamenti economici e strategici degli Stati membri e che sussurrano alle orecchie dei leader politici, orientandoli verso l’una o l’altra decisione.
Come accade, ad esempio, in quel carrozzone chiamato Unione europea dove tutti, a partire dalla lìder maxima, Ursula von der Leyen, non dimenticano mai di inserire nella lista delle priorità l’aumento del proprio stipendio. Ne ha parlato la Bild, il giornale più letto e venduto d’Europa, raccontando come la presidente della Commissione europea abbia aumentato il suo stipendio, e quello degli euroburocrati, due volte l’anno. E chiunque non sia allergico alla meritocrazia così come alle regole non scritte dell’accountability (l’onere morale di rispondere del proprio operato) non potrà non scandalizzarsi pensando che donna Ursula, dopo aver trasformato l’Ue in un nano economico, ammazzando l’industria europea con il folle progetto del Green deal, percepisca per questo capolavoro gestionale ben 35.800 euro al mese, contro i 6.700 netti che, ad esempio, guadagna il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni.
Allo stesso modo funzionano le altre istituzioni dell’Unione europea. L’Ue impiega circa 60.000 persone all’interno delle sue varie istituzioni e organi, distribuiti tra Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo (la Commissione europea, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, la Corte di giustizia dell’Unione europea e il Comitato economico e sociale). La funzione pubblica europea ha tre categorie di agenti: gli amministratori, gli assistenti e gli assistenti segretari. L’Ue contrattualizza inoltre molti agenti contrattuali. Secondo i dati della Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 2019, questi funzionari comunitari guadagnano tra 4.883 euro e 18.994 euro mensili (gradi da 5 a 16 del livello 1).
Il «vizietto» di alzarsi lo stipendio ha fatto scuola anche presso la Banca centrale europea (Bce), che ha sede a Francoforte, in Germania, ed è presieduta dalla francese, Christine Lagarde. Secondo quanto riassunto nel bilancio della Bce, lo stipendio base annuale della presidente è aumentato del 4,7 per cento, arrivando a 466.092 euro rispetto ai 444.984 euro percepiti nel 2023 (cui si aggiungono specifiche indennità e detrazioni fiscali comunitarie, diverse da quelle nazionali), ergo 38.841 euro al mese. Il vicepresidente Luis de Guindos, spagnolo, percepisce circa 400.000 euro (valore stimato in base ai rapporti precedenti, di solito corrispondente all’85-90% dello stipendio della presidente). Gli altri membri del comitato esecutivo guadagnano invece circa 330.000-340.000 euro ciascuno. Ai membri spettano anche le indennità di residenza (15% dello stipendio base), di rappresentanza e per figli a carico, che aumentano il netto effettivo. Il costo totale annuale del personale della Bce è di 844 milioni di euro, valore che include stipendi, indennità, contributi previdenziali e costi per le pensioni di tutti i dipendenti della banca. Il dato incredibile è che questa voce è aumentata di quasi 200 milioni in due anni: nel 2023, infatti, il costo totale annuale del personale era di 676 milioni di euro. Secondo una nota ufficiale della Bce, l’incremento del 2024 è dovuto principalmente a modifiche nelle regole dei piani pensionistici e ai benefici post impiego, oltre ai normali adeguamenti salariali legati all’inflazione, cresciuta del 2,4 per cento a dicembre dello scorso anno. La morale è chiara ed è la stessa riassunta ieri dal direttore, Maurizio Belpietro: per la Bce l’inflazione va combattuta in tutti i modi, ma se si tratta dello stipendio dei funzionari Ue, il discorso non vale.
Stessa solfa alla Corte di Giustizia che ha sede a Lussemburgo: gli stipendi variano notevolmente a seconda della posizione (avvocato, cancelliere, giudice, personale amministrativo), ma sono generalmente elevati, con giuristi principianti che possono guadagnare da 2.000 a 5.000 euro al mese e stipendi più alti per i magistrati, anche se cifre precise per i giudici non sono facilmente disponibili pubblicamente. Gli stipendi si basano sulle griglie della funzione pubblica europea e aumentano con l’anzianità, passando da 2.600 euro per il personale esecutivo a oltre 18.000 euro per alcuni alti funzionari.
Il problema, va precisato, non risiede nel fatto che le persone competenti siano pagate bene, com’è giusto che sia, ma che svolgano bene il proprio lavoro e soprattutto che ci sia trasparenza sui salari. Dei risultati delle politiche di Von der Leyen e Lagarde i giudici non sono esattamente entusiastici, ma il conto lo pagano, come al solito, i cittadini europei.
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Carlo Cottarelli (Ansa)
L’ex funzionario dem del Fondo monetario sente la necessità di schierarsi nello scontro tra Palazzo Chigi e i grand commis. E tifa affinché il nostro capitale da 280 miliardi possa essere dedicato alle «emergenze», decise però nei Palazzi dell’Unione.
Carlo Cottarelli ha aspettato un po’ a intervenire sulla questione della proprietà dell’oro di Banca d’Italia. Ma credo che se avesse atteso ancora un altro po’, prima di scrivere l’editoriale sul Corriere della Sera, sarebbe stato meglio per tutti, soprattutto per il rispetto della logica. Che dice l’ex funzionario del Fondo monetario ed ex senatore del Pd a proposito della questione che vede opporsi il governo italiano alla Bce? Faccio una breve sintesi del pensiero del professore. Punto primo. Le riserve auree sono di proprietà della Banca d’Italia perché lo dice la Banca d’Italia. Del resto, annota Cottarelli, i lingotti sono iscritti nell’attivo del bilancio dell’istituto di emissione e se non fossero di proprietà non potrebbero starci, a meno di una legge ad hoc che stabilisse diversamente.
Punto secondo. I trattati europei prevedono che l’oro debba essere posseduto dalla banca centrale di ogni singolo Paese? No, basta che sia gestito dall’istituto, prova ne sia che in Francia è di proprietà dello Stato ma la Banque de France è autorizzata a inserirlo per legge nel proprio attivo.
Già qui si capisce che il punto numero uno non è un dogma, ma una scelta politica. Infatti, se a Parigi è stabilito che i lingotti custoditi nei caveau della banca centrale sono dello Stato e non dell’istituto, il quale può iscriverli a bilancio nello stato patrimoniale, è evidente che ciò che sta chiedendo il governo italiano non è affatto una cosa strana, ma si tratta di un chiarimento necessario a stabilire che l’oro non è di Bruxelles o di Francoforte e neppure di via Nazionale, dove ha sede la nostra banca centrale, ma degli italiani.
È così difficile da comprendere? La Bce, scrive Cottarelli, non capisce perché l’Italia voglia specificare che le riserve sono dello Stato e «solo» affidate in gestione alla Banca d’Italia. E si chiede: quali vantaggi ci sarebbero per il popolo italiano se diventasse proprietario dell’oro? «Gli effetti pratici», si risponde il professore, «almeno nell’immediato, sarebbero nulli». Provo a ribaltare la domanda di Cottarelli: quali svantaggi ci sarebbero se all’improvviso il popolo italiano scoprisse che l’oro non è suo ma della Banca d’Italia e un giorno la Bce decidesse di annettersi le riserve auree degli istituti centrali? La risposta mi sembra facile: gli effetti pratici non sarebbero affatto nulli per il nostro Paese, che all’improvviso si troverebbe privato di un capitale del valore di circa 280 miliardi di euro.
Cottarelli chiarisce che il timore della Bce è dovuto al fatto che l’emendamento alla legge di Bilancio, con cui si vuole sancire che la proprietà dell’oro è del popolo italiano, in teoria potrebbe consentire al governo, al Parlamento o al popolo italiano la vendita dei lingotti. «Sarebbe demenziale», sentenzia il professore, perché l’oro «è una riserva strategica da usare in gravissime emergenze». È vero ciò che sostiene l’ex senatore del Pd. Peccato che nessuno abbia mai parlato di vendere le riserve auree (anzi, nel passato ne parlò Romano Prodi, che mi risulta stia dalla stessa parte politica di Cottarelli), ma soltanto di stabilire di chi siano, se della Banca d’Italia, e dunque vigilate dalla Bce, o del popolo italiano.
Il professore però fa anche un’altra affermazione assolutamente vera: l’oro è una riserva strategica da usare in gravissime emergenze. Ma chi stabilisce quando è gravissima un’emergenza? E, soprattutto, chi può decidere di usare quella riserva strategica? Il governo, il Parlamento, il popolo italiano o la Banca d’Italia su ordine della Bce? È tutto qui il nocciolo del problema: se l’oro è nostro ogni decisione - giusta o sbagliata - spetta a noi. Se l’oro è della Banca d’Italia o della Bce, a stabilire che cosa fare della riserva strategica sarà l’istituto centrale, italiano o europeo. In altre parole: dobbiamo lasciare i lingotti italiani in mano alla Lagarde, che magari di fronte a un’emergenza decide di darli in garanzia per comprare armi da destinare agli ucraini?
Tanto per chiarire che cosa significherebbe tutto ciò, va detto che l’Italia è il terzo Paese al mondo per riserve auree. Il primo sono gli Stati Uniti, poi c’è la Germania, quindi noi. La Francia ne ha meno, la Spagna quasi un decimo, Grecia, Ungheria e Romania hanno 100 tonnellate o poco più, contro le nostre 2.400. Guardando i numeri è facile capire che il nostro oro fa gola a molti e metterci le mani, sottraendolo a quelle legittime degli italiani, sarebbe un affarone. Per la Bce, ovviamente, non certo per noi. Quanto al debito pubblico, che Cottarelli rammenta dicendo che se siamo proprietari dei lingotti lo siamo anche dell’esposizione dello Stato per 3.000 miliardi, è vero. Siamo tra i più indebitati al mondo: quinti in valore assoluto. Ma avere debiti non è una buona ragione per regalare 280 miliardi alla Lagarde, considerando soprattutto che circa il 70 per cento dei nostri titoli di Stato sono nelle mani di famiglie e istituzioni italiane, non della Bce.
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