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Vaccini (iStock)
È provato che il farmaco usato per il Covid, specie nei soggetti giovani, possa causare microlesioni rilevabili solo con esami mirati. Spesso la sintomatologia è nulla: arriva solo un’aritmia improvvisa e fatale. Eppure la «scienza» dà dei cialtroni alle tante vittime.
Il malore improvviso ha un nome. La mio/pericardite associata ai vaccini a mRna contro Sars-CoV-2, è un fenomeno epidemiologicamente ben documentato, in particolare nei maschi tra 12 e 29 anni. Studi pubblicati su The Lancet, Nature, Jama hanno confermato infatti un aumento dell’incidenza rispetto ai tassi di background pre-Covid, soprattutto nella settimana successiva alla seconda dose.
Miocardite vuol dire che un soggetto prima sano diventa malato, che un soggetto che prima correva la maratona può non riuscire a salire due piani di scale. Ci assicurano tutti gli articoli che il fenomeno è raro, i casi sono «pochi». L’aggettivo è sorprendente. Che cosa vuol dire pochi? Non stiamo parlando di un farmaco che cura il cancro. Esiste una bizzarra cosa che si chiama deontologia, sarebbe in parole povere l’etica applicata alla medicina. Il punto A al paragrafo 1 di qualsiasi libro di deontologia recita: «Non nuocere». Farmaci che curano malattie devastanti e mortali possono avere effetti collaterali gravi, a volte potenzialmente mortali. Con un danno minore e un rischio di morte minore cerchiamo di combattere danni maggiori e certezza di morte.
I vaccini si somministrano a persone sane. Non possono avere effetti collaterali gravi o potenzialmente mortali, o abbiamo violato il pilastro centrale della deontologia medica. Inoltre se somministro un farmaco a Mario Rossi, deve essere nell’interesse esclusivo di Mario Rossi, non della comunità, non degli anziani, dei fragili, degli immunodepressi, della patria, del popolo, di Mario Draghi, di Mattarella, ma solo di Mario Rossi. Sacrificare la vita o la salute di Mario Rossi ad altri, rientra nello schema della deontologia medica nazista. Molti dei medici condannati a Norimberga stavano studiando vaccini, malaria e tubercolosi, e trovavano corretto sacrificare la vita di poche centinaia di deportati per salvarne in futuro milioni. La miocardite è stata definita dal virologo Burioni una malattia benigna, in realtà può portare allo scompenso cardiaco o ad aritmie gravi fino all’arresto cardiaco.
Definire una malattia potenzialmente mortale una malattia benigna è sbagliato. La miocardite post vaccino colpisce persone giovani, è stata causata dall’inoculazione di un farmaco in fase sperimentale fino a pochi mesi fa, spesso imposto, che doveva evitare una malattia che, nelle persone giovani, è, se non irrilevante, sicuramente, lei sì, benigna. Anche i «pochi» casi sono troppi. Ora sorge il dubbio che la miocardite post vaccino non sia così rara, che i casi non siano così pochi. Miopericardite subclinica indotta dal vaccino Covid-19: fisiopatologia, diagnosi e gestione clinica» , è il titolo dell’articolo pubblicato il 25 novembre scorso da Nicolas Hulscher e altri negli Archivi di Ricerca Medica della Società Europea di Medicina. Secondo l’articolo la mio/pericardite può decorrere in maniera subclinica. Questo implica che non siamo in grado di stabilirne la percentuale, e che, potendosi riacutizzare improvvisamente, potrebbe essere la causa delle morti improvvise, ribattezzate «malori improvvisi », di persone collassate e morte improvvisamente anche su campi sportivi.
Elena Alberton del comitato Salvaguardia ha raccontato di suo figlio, uomo atletico e sano, morto a quarant’anni, dopo la terza dose obbligatoria per lavorare, di «malore improvviso» non preceduto da segni premonitori. Queste morti troppo spesso non sono seguite da un’autopsia. Elena Alberton con estrema difficoltà è riuscita ad ottenere l’autopsia per suo figlio, ma in questa autopsia, fatta quindi per un decesso per arresto cardiaco improvviso, il cuore non è stato esaminato. Secondo l’articolo si sta verificando un’epidemia silenziosa di mio/pericardite subclinica e lesioni cardiache, spesso senza sintomi, senza preavviso e, in alcuni casi, con un arresto cardiaco improvviso come primo segno e purtroppo spesso ultimo segno della malattia.
La miopericardite subclinica indotta dal vaccino Covid-19 sarebbe un’infiammazione cardiaca causata dal vaccino mRna contro il Covid-19 che si manifesta senza i classici segnali d’allarme osservati nella miocardite conclamata. Invece di un forte dolore toracico o di un ricovero ospedaliero, la lesione si manifesta in modo silenzioso, dolore toracico sistemico, senso di palpitazione, irregolarità della pressione o del battito. È rilevabile solo attraverso biomarcatori (troponina, Bnp, galectina-3, D-dimero), alterazioni dell’Ecg (cambiamenti dell’onda St/t, aritmie), imaging (ispessimento o fibrosi del miocardio), misurazioni di anticorpi/spike. I sintomi sono aspecifici e lievi. La diagnosi è strumentale, se non si fanno gli esami ematologici, gli elettrocardiogrammi, le visite, l’ecografia, la risonanza magnetica, la diagnosi non è possibile. In alcuni individui, la manifestazione iniziale può essere catastrofica: arresto cardiaco improvviso senza alcun sintomo precedente. Gli studi autoptici mostrano cicatrici infiammatorie piccole, a volte appena rilevabili dalla risonanza magnetica, ma perfettamente in grado di innescare aritmie letali.
Dato che i sintomi sono lievi e solo eseguendo esami si arriva alla diagnosi, la malattia è sottostimata, potrebbe colpire dall’1 al 3% dei vaccinati, cioè milioni di persone. Occorre l’astensione temporanea dall’attività fisica intensa, dato che l’esercizio fisico intenso aumenta le catecolamine e può scatenare aritmie o arresti cardiaci improvvisi nel miocardio infiammato: questo è il motivo dell’ecatombe nello sport. Gli sportivi devono fare imperativamente questi esami. In realtà tutti i vaccinati dovrebbero fare questi esami. Occorre eseguire periodicamente la misurazione di troponina, Bnp, galectina-3 e D-dimero, l’Ecg, e ripetere l’imaging cardiaco, ecocardiogramma e, quando indicato, la risonanza magnetica cardiaca, fare attenzione ai sintomi premonitori. Per quanto riguarda la gestione clinica, la letteratura concorda nel ritenere che la maggior parte dei casi documentati risponda a un trattamento di supporto. La miopericardite subclinica indotta dal vaccino contro il Covid-19 rappresenterebbe una forma silenziosa, diffusa e devastante di danno cardiaco. Innumerevoli persone in tutto il mondo convivrebbero con un’infiammazione cardiaca non diagnosticata, senza evidenti segnali d’allarme. Per quattro anni i pazienti sono stati ignorati, la loro sofferenza è stata negata, sono stati trattati da isterici.
È stato coniato il vezzoso termine «malore improvviso», per descrivere l’ arresto cardiaco da aritmia conseguente alla miopericardite subclinica. È necessario aumentare gli screening diagnostici, pretendere il silenzio di tutti gli sprovveduti laureati in medicina, mi rifiuto di chiamarli medici, che continuano a informare il mondo che il vaccino Covid non aveva e non ha effetti collaterali. La scheda tecnica di questi farmaci include un’impressionante serie di patologie, inclusa la miocardite. I paladini del vaccino negano persino gli effetti collaterali scritti sulla scheda tecnica. Chi, in conseguenza all’inoculazione del vaccino, è rimasto invalido, chi ha sviluppato una patologia oncologica, chi ha la vita distrutta, persino chi muore: secondo costoro sono tutti cialtroni complottisti che vogliono far fare una cattiva figura alla «scienza».
Non esiste nessuna scienza che ha dichiarato innocui i vaccini Covid esattamente come non esiste nessuna scienza che dichiara innocui i vaccini pediatrici, soprattutto se inoculati insieme, in esavalenti a bambini molto piccoli. La scienza non dichiara niente: la scienza è un metodo per arrivare alla verità attraverso la discussione, la validazione e l’invalidazione continui. Eppure in Italia la legge Lorenzin condanna alla radiazione i medici che parlano delle criticità di ogni farmaco definito vaccino e innumerevoli pediatri trattano da irresponsabili e isterici i genitori giustamente perplessi davanti all’incredibile numero di vaccini pediatrici somministrati in Italia, tutti insieme, anche a bambini piccolissimi, pratica ritenuta pericolosa in altre nazioni. La scienza è ecumenica: non può essere differente da un paese all’altro.
Occorre abolire immediatamente la legge Lorenzin e liberare la «scienza», che con il bavaglio muore: può vivere e prosperare solo dove sia riconosciuta la libertà di discussione. Occorre un’autorità che intervenga sui laureati in medicina che negano il dolore e deridono i sofferenti.
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Riduci
Giorgio Locatelli, Antonino Cannavacciuolo e Bruno Barbieri al photocall di MasterChef (Ansa)
La quindicesima stagione di MasterChef Italia, al via ieri su Sky, conferma la forza di un format immutabile: giudici rodati, prove iconiche e una scrittura autoriale che bilancia tradizione, ritmo e personaggi, rendendo il talent un appuntamento ormai rituale.
Come il Natale, parte di un rituale che, di anno in anno, si ripete identico a se stesso. MasterChef Italia, la cui quindicesima stagione è partita ieri su Sky nella prima serata di giovedì 11 dicembre, è l'usato sicuro, quello che vince. Di più, convince. Senza, per giunta, avere bisogno di colpi di scena. Il talent show, alla cui giuria siederanno, ancora una volta, Bruno Barbieri, Antonino Cannavacciuolo e Giorgio Locatelli, è riuscito nella mirabile impresa di bastare a se stesso, elevando quel che avrebbe potuto essere un triste effetto già-visto a chiave del proprio successo.
Sono i fornelli sempre accesi, le prove sempre uguali, è l'alternarsi di casi umani e talenti ai Casting, l'ansia palpabile di chi, davanti alla triade stellata, non riesce più a proferire parola.
Sono le Mistery Box, i Pressure Test, la Caporetto di Iginio Massari, con i suoi tecnicismi di pasticceria. Sono, ancora, i grembiuli sporchi, le urla, le esterne e i livori fra brigate, la prosopopea di chi crede di meritare la vittoria a rendere MasterChef un appuntamento imperdibile. Tradizionale, per il modo silenzioso che ha di insinuarsi tra l'Immacolata e il Natale, addobbando i salotti come dovrebbe fare l'albero.
MasterChef è fra i pochissimi programmi televisivi cui il tempo non ha tolto, ma dato forza. E il merito, più che dei giudici, bravissimi - loro pure - a rendere vivo lo spettacolo, è della compagine autoriale. Gli autori sono il vanto dello show, perfetti nel bilanciare fra loro gli elementi della narrazione televisiva, come comanderebbe l'algoritmo di Boris. La retorica, che pur c'è, con l'attenzione alla sostenibilità e alla rappresentazione di tutte le minoranze, non ha fagocitato l'impianto scenico. L'imperativo di portare a casa la doggy bag sfuma, perché a prevalere è l'esito delle prove. Il battagliarsi di concorrenti scelti con precisione magistrale e perfetto cerchiobottismo. Ci sono, gli antipatici, quelli messi lì perché devono, perché il politicamente corretto lo impone. Ma, tutto sommato, si perdono, perché accanto hanno chi merita e chi, invece, riesce con la propria goffaggine a strappare una risata sincera. E, intanto, le puntate vanno, queste chiedendo più attenzione alla tradizione, indispensabile per una solida innovazione. Vanno, e poco importa somiglino alle passate. Sono nuovi i concorrenti, nuove le loro alleanze. Pare sempre sincero il divertimento di chi è chiamato a giudicarle, come sincero è il piacere di vedere altri affannarsi in un gesto che, per ciascuno di noi, è vitale e quotidiano, quello del cucinare.
Bene, male, pazienza. L'importante, come ci ha insegnato MasterChef, è farlo con amore e rispetto. E, pure, con un pizzico di arroganza in più, quella dovuta al fatto che la consuetudine televisiva ci abbia reso più istruiti, più pronti, più giudici anche noi del piatto altrui.
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Riduci
(iStock). Nel riquadro, Andrea Furlan e la madre Cristina Calore
Andrea Furlan, impiegato in un supermercato nel Padovano, è paralizzato da quando, 12 anni fa, un rapinatore (mai trovato) gli sparò in testa. La giustizia italiana, prodiga coi malviventi, non gli ha riconosciuto un euro.
Come se non bastassero le tragedie che ti sconvolgono la vita improvvisamente, ecco i tempi della giustizia che sono anch’esse una tragedia ma di quelle che si potrebbero evitare. La vera tragedia, per Andrea Furlan, è avvenuta 12 anni fa nel suo posto di lavoro, il supermercato Prix di Albignasego, in provincia di Padova. È lì che uno dei due banditi, armato, fa partire un colpo di pistola che perfora la testa del ragazzo riducendolo in stato vegetativo. Tragedie che ti sconvolgono la vita e ti domandi: perché? Perché a me? L’altra tragedia - quella che invece si dovrebbe evitare - è ritrovarsi con lo Stato che latita, che non riesce a dare un nome e una fisionomia al killer e che soprattutto si presenta nella veste del temporeggiatore.
Sono 12 anni che Cristina Calore, la mamma di Andrea, attende giustizia e un risarcimento, ma per ora pare non esserci verso. E anche qui ti domandi: perché? Perché a me? Già, perché non si riesce ad avere giustizia? Ti dicono: perché le telecamere presso il supermercato, quel giorno, non funzionavano e quindi diventa difficile. Ma davvero lo Stato non riesce a dare il giusto risarcimento a una vittima? Diventa difficile rispondere e nello stesso tempo confortare quando poi ti informano di casi in cui persino chi attenta alla vita delle persone riesce a ottenere un risarcimento del danno. Lo prevede la legge.
Intanto, in quel pezzo di Italia, sulla legge cala il crepuscolo dei rinvii. Come quello di pochi giorni fa della Corte d’Appello, l’ennesimo, che ha il sapore amaro della beffa. Cristina attende giustizia ma è stanca; come non esserlo quando vedi come hanno ridotto il tuo Andrea; e ripensi che l’ultima cosa che Andrea in salute aveva fatto era stato scendere dallo spogliatoio del supermercato giù al primo piano dove aveva lasciato la bicicletta. Poi… il colpo di pistola diretto alla testa. Una esecuzione criminale. Da lì l’inferno. Per quel ragazzotto che divorava la vita nulla è stato più come prima: non si muove più, non parla più, per qualsiasi attività ha bisogno di un sostegno. Ed è per questo che pensi: se tutto è ingiusto, se del rapinatore e del complice non si è mai saputo nulla, possibile che chi dovrebbe rappresentare il giusto prende tempo? Solo l’Inail ha riconosciuto ad Andrea un assegno di invalidità. Ma l’Inail non rappresenta la giustizia.
Quindi dove sono gli operatori del giusto che riparano i torti? Eccome se te lo domandi: il giudice civile in primo grado ha negato il risarcimento perché il supermercato Prix non deve nulla ad Andrea. Ma come, è lecito domandarsi? «C’erano delle telecamere in quel supermercato, ma non funzionavano», ha commentato mamma Cristina. «Io non credo che i titolari del supermercato abbiano delle colpe, hanno però delle responsabilità ed è mio dovere andare avanti». Già, possibile che un giudice non abbia il coraggio di dire all’assicurazione: «Tocca a te pagare»? O le assicurazioni sono diventate intoccabili? (Domanda retorica).
Fatto sta che la famiglia non si arrende. Né l’avvocato Matteo Mion è un tipo che si accontenta: si va in appello. Già, ma quando? Boh… per ora sembra che la giustizia si sia impastata di quella gomma ciccosa che ci mettiamo in bocca, che s’appiccica ai denti, che si dilata e perde sapore. L’avvocato Mion sta facendo il possibile per anticipare i tempi dell’appello e non si capacita dei tanti rinvii: cosa pensare? Davvero tutto può ridursi a fatalità? Davvero non c’è un buco in questo muro di gomma? Davvero è impossibile pensare a un appiglio che consenta quel risarcimento che diventa il minimo per gestire i risvolti della tragedia? In casa di Andrea tragedia e burocrazia stanno togliendo energie e speranze.
Che si facessero un giro lì, in quella casa dove la vita ha cominciato a girare da un altro verso. Vogliono vedere come si gestisce una persona a cui un criminale ha bucato la testa? Vogliono vedere le due persone che si prendono cura di questo ragazzo che passa dal letto alla carrozzina? Vogliono provare la fatica di prendersi cura di una persona che vive senza vita? Mamma Cristina e il papà di Andrea non hanno problemi a dar prova di quel che per loro è la quotidianità. Delle loro sofferenze e delle paure legate al «dopo di noi».
Eccome se i genitori ci sperano nell’appello, invece altro giro a vuoto, altro rinvio. Altro perché da tre anni non c’è ancora stata nemmeno la prima udienza. «Ci sentiamo presi in giro», ha commentato la madre. «È l’ennesima volta che rinviano l’inizio di un processo. Ci sentiamo raggirati, è come se a un certo punto lo Stato fosse diventato nostro nemico: ogni volta questa data si sposta di sei mesi in avanti, come se davanti a noi ci fosse tutto il tempo del mondo, come se mio figlio potesse aspettare i tempi infiniti».
La burocrazia ha i suoi tempi, il suo traffico da regolare: c’è da comprendere, signora mia. E quante cose debbono comprendere la mamma e il papà di Andrea? Debbono comprendere che il colpevole non si trova ed è già un cazzotto alla bocca dello stomaco. Debbono comprendere la decisione di primo grado del giudice civile. Debbono comprendere che i tribunali sono pieni di cause. Ora dovrebbero pure comprendere che le vittime non sono tutte uguali?
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Riduci
2025-12-12
Dimmi La Verità | Alessandro Da Rold: «Sviluppi dell'inchiesta sull'urbanistica di Milano»
Ecco #DimmiLaVerità del 12 dicembre 2025. Il nostro Alessandro Da Rold ci rivela gli ultimi sviluppi dell'inchiesta sull'urbanistica di Milano e i papabili per il dopo Sala.





