2020-11-19
Odissea commissario in Calabria Il nuovo tentativo è un finanziere
Federico D'Andrea (Getty Images)
Archiviata la penosa vicenda di Eugenio Gaudio, l'esecutivo Pd-M5s ha identificato in Federico D'Andrea l'uomo giusto: una vita in Gdf e origini locali. Manca l'ufficialità, intanto Gino Strada vuole collaborare. Giuseppi si è fermato a Eboli: resta vuota la casella del commissario alla sanità in Calabria, dopo la triplice figuraccia del governo, e in particolare del premier e del ministro della Salute, Roberto Speranza. Come è noto, nel giro di due settimane si sono succeduti ben tre commissari: Saverio Cotticelli si è dimesso dopo essere stato protagonista di una intervista incredibile, durante la quale scopriva, con stupore, di dover essere lui l'incaricato a redigere il Piano Covid per la Calabria; al suo posto Speranza ha nominato Giuseppe Zuccatelli, candidato nel 2018 alla Camera da Leu, che a sua volta è andato via dopo poche ore, quando è spuntato un video risalente al 27 maggio, nel quale dice che «la mascherina non serve a un cazzo» e che «per beccarti il virus, se io fossi positivo, tu devi stare con me e baciarmi per 15 minuti con la lingua in bocca, altrimenti non te lo becchi»; a quel punto Speranza ha nominato l'ex rettore della Sapienza, Eugenio Gaudio, che dopo meno di 24 ore ha rinunciato al suo incarico per «motivi personali»: la moglie, a suo dire, non voleva trasferirsi da Roma a Catanzaro . Mentre va in scena questa farsa, ieri la Calabria ha fatto registrare un nuovo record di contagi: 936 su 4.662 tamponi. In aumento anche le vittime, che sono state 10. Il duo comico Conte e Speranza si è preso qualche ora di tempo prima di infilare la quarta figuraccia di fila, e così ieri non c'è stata nessuna nomina: Gino Strada, da parte sua, ha fatto sapere di aver «definito un accordo di collaborazione tra Emergency e Protezione civile per contribuire concretamente a rispondere all'emergenza sanitaria in Calabria». «Non sappiamo ancora che cosa ci aspetta», scrive in una lettera ai volontari della ong la presidentessa di Emergency, Rossella Miccio, «perché la confusione regna sovrana. Siamo stati attivati dalla Protezione civile per la risposta Covid in Calabria. La delibera è analoga a quella di marzo in base alla quale siamo stati coinvolti in Lombardia, a Brescia e Bergamo. Questa volta però il mandato è più ampio, prevedendo una collaborazione su attività socio-sanitarie che vanno dagli ospedali da campo, ai pronto soccorso e triage, ai Covid hotel fino (potenzialmente ) al supporto delle persone in quarantena sul modello Milano Aiuta. In particolare», aggiunge la Miccio, «nella delibera si dice che il contributo dell'Associazione Emergency è ritenuto essenziale per rispondere ad urgenti esigenze sanitarie e socio-sanitarie della popolazione». Nicola Morra, presidente M5s della commissione parlamentare antimafia, continua a chiedere che Gino Strada sia nominato commissario, ma intanto prende quota il nome di Federico Maurizio D'Andrea, calabrese di origini e milanese di adozione. D'Andrea, 30 anni di carriera nella guardia di finanza, esperienza da manager in grandi società, negli anni Novanta è stato uno dei principali investigatori dell'inchiesta Mani Pulite. Per ora, siamo alle indiscrezioni. Oggi il premier Conte riceverà, nel rispetto delle norme di sicurezza, circa 60 sindaci della Calabria, aderenti all'Anci, per discutere della nomina del nuovo commissario. Il primo cittadino di Reggio, Giuseppe Falcomatà, esponente del Pd, non risparmia accuse al governo: «La situazione in Calabria», attacca Falcomatà, «non è degna di un paese che dovrebbe fare della coesione nazionale un valore fondante. La Calabria vede i suoi diritti negati da troppo tempo, a cominciare dal diritto alla salute e a curarsi nella propria regione. Quello che è avvenuto sul commissariamento ha i contorni del grottesco se non del comico. I sindaci calabresi», aggiunge Falcomatà, «chiederanno al premier Conte un maggiore coinvolgimento nelle scelte che riguardano la tutela della salute. Non vogliamo subire né colonizzazioni né scelte calate dall'alto, senza che ci siano concertazione e condivisione. Naturalmente, non poniamo alcun problema sul nome, bensì sul metodo, che deve essere concertato con i sindaci». La butta sull'ironia Nino Spirlì, presidente della Regione facente funzioni: «Garantiamo la totale disponibilità», dice Spirlì, «a lavorare fianco a fianco con il governo, con un nuovo commissario ad acta laddove finalmente riusciremo ad averne uno che si fermi. In questi giorni mi sono sentito molto mortificato perché tre commissari ad acta hanno dimostrato pubblicamente l'inadeguatezza, non solo probabilmente personale ma anche proprio dello strumento del commissariamento. Credo che il tempo del commissariamento sia chiaramente giunto alla fine», aggiunge Spirlì, «e che sia venuto il momento di riconsegnare ai calabresi l'opportunità di potersi amministrare da soli, perché il resto sarebbe veramente un pregiudizio». L'opposizione attacca: «Tre commissari cambiati nell'arco di 15 giorni», sottolinea il leader del centrodestra Matteo Salvini, «ma a qualunque padre di famiglia, a qualunque piccolo imprenditore e manager, se sbaglia tre nomine in 15 giorni, in una azienda normale e in una famiglia normale, qualcuno chiederebbe conto di questi errori».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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