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2022-02-24
Occhio, arrivano anche qui i blocchi dei Tir
Ansa
I camionisti canadesi sono la risposta analogica all’aggressività digitale del governo guidato da Justin Trudeau. Da settimane manifestano in modo pacifico. Sono stati sgomberati là dove bloccavano i flussi di merci e accusati di terrorismo quando si limitavano a sostare lungo le strade o nel centro di Ottawa. Per fermarli Trudeau si è spinto fino a minacciare il blocco dei conti correnti e dei sistemi di pagamento. Senza che alcun giudice sia chiamato a indicare un reato sottostante. Al momento i camionisti canadesi non demordono, si scaldano con le stufette a cherosene e si finanziano al di fuori delle piattaforme di crowfunding. E restano l’anello di congiunzione tra l’economia pre pandemia e quella post pandemia tutta delivery e Internet. Per questo fanno tanto paura quando si oppongono al green pass.
Per lo stesso motivo dovremmo guardare con molto attenzione ai blocchi e alle manifestazioni dei camionisti italiani, che da ieri hanno iniziato a paralizzare tre regioni e a mettere in difficoltà arterie autostradali da Nord a Sud. A spingerli una serie di motivazioni. Alcune recenti e altre purtroppo radicate nella storia del settore. Il dissenso punta a denunciare le mancate applicazioni delle norme che dovrebbero contrastare il caro benzina. Ma anche le norme sui tempi di carico scarico e di pagamento delle fatture. L’imposizione del green pass ha allungato i tempi della logistica e i costi sono finiti tutti sulle spalle dei camionisti, i quali si stanno caricando anche dell’aumento dei prezzi del comparto automotive. Una motrice costa il 15% in più rispetto al 2019 e non c’è politica sindacale e governativa che sia riuscita a prevedere tali picchi e al tempo stesso a gestire la cronica mancanza di autisti.
Per tutti questi motivi, decine di autotrasportatori calabresi hanno organizzato un sit in nei pressi degli svincoli dell’A2 di Gioia Tauro e di Rosarno, con l’intenzione di raggiungere assieme la città di Palmi. Prosegue da ormai due giorni sul tracciato casertano dell’A1 un’altra protesta, nel tratto che dal casello conduce alla Salerno-Reggio e fino alla barriera di Napoli Nord a Caserta. Stesse scene sulla statale 613 Lecce-Brindisi. Nel Tarantino, diversi autotrasportatori hanno montato un presidio sulle statali 106 e 100, ricevendo la solidarietà di alcuni sindaci locali. Nel Barese, invece, i camionisti contro il caro gasolio sono al terzo giorno di protesta sulla statale 96 e nella zona industriale di Altamura. I blocchi ieri si sono registrati anche al porto di Ravenna, a Palermo e a Caltanissetta.
«Sulla questione del caro-carburante occorrono interventi urgenti e risolutivi da parte del governo nazionale», ha detto il presidente della Regione Basilicata Vito Bardi, sottolineando pure le ricadute sul settore dell’agroalimentare, tema sollevato anche da Coldiretti. E mentre il Codacons si dice pronto a denunciare gli autotrasportatori per le ripercussioni della protesta sui consumatori, dalla Regione Sicilia arriva l’appello a Palazzo Chigi dell’assessore ai Trasporti Marco Falcone, che ha convocato un tavolo con le rappresentanze degli autotrasportatori dell’isola, in sciopero da due giorni: «Ribadiamo», ha detto l’assessore, «l’urgenza di un intervento risolutivo del governo Draghi». Inutile, dire che il Codacons non ha minimamente compreso la situazione. Chi manifesta va incontro a due tipi di rogne. Una penale nel caso in cui blocchi attività sensibili e l’altra amministrativa perché ostacolare il traffico autostradale implica multe salate. Ne consegue che il camionista sa bene cosa rischia e lo fa perché non ritiene esserci alternativa. D’altronde il caro benzina e il green pass sono esattamente la sintesi dei problemi futuri del Paese.
Anche se Mario Draghi ha annunciato che da aprile sparirà lo stato di emergenza e che saremo progressivamente liberi di respirare senza mascherine, si è limitato a dire che nei luoghi aperti non sarà richiesto di esibire il lasciapassare verde. Ma nessun accenno alla possibilità di abolirlo. Ricordiamo infatti che mentre si promettono riaperture, il governo prosegue con l’applicare vincoli digitali allo spostamento dei cittadini, imponendo la tracciabilità nei gangli vitali: banche, poste, snodi logistici e ospedali. I camionisti che protestano sanno bene che l’infrastruttura costruita per il green pass è destinata a rimanere per sempre, così come sanno che la politica si sta limitando a risolvere i problemi di facciata dell’inflazione e del caro delle materie prime. Tutti i governi europei sperano che le fiammate dei prezzi siano temporanee, chi invece guida i Tir ogni giorno non si fa ingannare dalle chiacchiere. La saggezza del lavoratore della logistica afferra il cambio di passo del mondo. Quelli che i giornalisti chiamano colli di bottiglia della supply chain per il camionista sono ore buttate via, perdite di tempo, minore fatturato e azzeramento dei margini.
L’ultimo decreto bollette è una presa in giro per chi macina chilometri da Nord a Sud spendendo molto più dell’anno scorso e assistendo progressivamente alla vittoria dei concorrenti stranieri che, avvantaggiati dal fisco o da politiche energetiche più oculate, riescono a deviare dall’Italia flussi di commercio imponenti. Immaginiamo anche che i camionisti siano pronti a feroci critiche e a essere additati come untori come è successo con i portuali o come i colpevoli delle prossime crisi di approvvigionamento. Invece dovrebbero essere convocati al ministero dei Trasporti e presi quali consulenti.
Lo stop al Nord stream 2 ci costerà almeno 21 miliardi di euro all’anno
Secondo il commissario Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager, la scelta di rimandare a data da destinarsi l’attivazione del gasdotto Nord stream 2 non avrà effetti sul prezzo del gas. Purtroppo, però, non è proprio così. «Non ci sono dubbi che Nord stream 2 non è un progetto di interesse europeo», ha detto ieri, «Noi abbiamo le condutture che sono necessarie per noi e hanno il loro percorso, soddisfano le nostre esigenze. Nord stream 2 non è una conduttura attiva, non c’è gas. È stato interrotto un processo di approvazione, ma non ci possono essere effetti sul prezzo del gas», ha ribadito. «La Commissione deve interfacciarsi con le autorità tedesche per vedere se il processo ripartirà, ma sosteniamo le autorità tedesche che hanno detto che nelle attuali circostanze il processo di approvazione è sospeso».
La scelta, non è un segreto, ha lo scopo di danneggiare la Russia in seguito alla crisi con l’Ucraina. Nella realtà, però, danneggerà tutti quei Paesi, come l’Italia, che non sono indipendenti a livello energetico.
«La decisione del governo tedesco di bloccare sine die il processo di certificazione del Nord stream 2 comporta necessariamente un marcato ritocco al rialzo delle stime di prezzo del gas naturale alla borsa di Amsterdam», spiega alla Verità Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, società di consulenza specializzata nel campo delle materie prime. Il motivo di questo aumento è chiaro ai più. Ci sarà meno gas e questo comporterà un aumento dei prezzi. «Il mancato arrivo dei 50 miliardi di metri cubi previsti spingerà i compratori europei ad affacciarsi con maggiore aggressività sul mercato internazionale del gas liquefatto entrando in diretta competizione con l’Asia, i cui consumi stanno tra l’altro tornando a crescere per effetto della riaccelerazione in atto dell’economia cinese», spiega. «A nostro avviso il mancato avvio del progetto comporterà un aggravio del prezzo del gas naturale di circa 30 euro per megawattora. Alla luce di ciò è ragionevole ipotizzare un prezzo medio previsionale di circa 80 euro per megawattora per il 2022. Per quanto riguarda invece il 2023 si possono fare due scenari», continua Torlizzi. «Nella migliore delle ipotesi, considerando che il progetto riesca effettivamente a partire nel secondo trimestre 2023, il prezzo del gas potrebbe raffreddarsi nella restante parte dell’anno verso i 50 euro per megawattora. Nel caso in cui il progetto non dovesse invece partire, il prezzo medio stimato dovrebbe rimanere di 80 euro per megawattora».
Al contrario di quello che sostiene la Vestager, si tratta di aumenti da capogiro. «Se si considerano i consumi medi in Italia di circa 70 miliardi di metri cubi, l’impatto sull’economia italiana nel 2022 rispetto alle stime precedenti (pari a 50 euro per megawattora nel 2022) potrebbe arrivare a circa 21 miliardi annui considerando solo i consumi di gas e non l’effetto a cascata che si avrebbe sul prezzo dell’elettricità».
In parole povere, questo aumento riguarderebbe quindi solo il costo della materia prima, un valore a cui andrebbe aggiunto quello per trasformare il gas in energia elettrica. Di fatto, sarebbe un vero salasso per il consumatore finale italiano e per quello europeo. Gli unici a salvarsi sarebbero forse solo i francesi, che possono contare sulla forza dell’energia nucleare che noi non abbiamo. Ecco spiegato perché lo stop al Nord stream 2 è un problema europeo e, di certo, non solo tedesco.
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Caro prezzi devastante, benzina alle stelle, venti di guerra e follie della burocrazia pandemica sono un mix micidiale: iniziano disordini e proteste dei trasportatori. Disagi in diverse zone: bisogna rispondere subito.Stop al Nord stream, Margrethe Vestager nega impatti, ma l’esperto spiega che saremo uno dei Paesi più colpiti.Lo speciale contiene due articoli.I camionisti canadesi sono la risposta analogica all’aggressività digitale del governo guidato da Justin Trudeau. Da settimane manifestano in modo pacifico. Sono stati sgomberati là dove bloccavano i flussi di merci e accusati di terrorismo quando si limitavano a sostare lungo le strade o nel centro di Ottawa. Per fermarli Trudeau si è spinto fino a minacciare il blocco dei conti correnti e dei sistemi di pagamento. Senza che alcun giudice sia chiamato a indicare un reato sottostante. Al momento i camionisti canadesi non demordono, si scaldano con le stufette a cherosene e si finanziano al di fuori delle piattaforme di crowfunding. E restano l’anello di congiunzione tra l’economia pre pandemia e quella post pandemia tutta delivery e Internet. Per questo fanno tanto paura quando si oppongono al green pass.Per lo stesso motivo dovremmo guardare con molto attenzione ai blocchi e alle manifestazioni dei camionisti italiani, che da ieri hanno iniziato a paralizzare tre regioni e a mettere in difficoltà arterie autostradali da Nord a Sud. A spingerli una serie di motivazioni. Alcune recenti e altre purtroppo radicate nella storia del settore. Il dissenso punta a denunciare le mancate applicazioni delle norme che dovrebbero contrastare il caro benzina. Ma anche le norme sui tempi di carico scarico e di pagamento delle fatture. L’imposizione del green pass ha allungato i tempi della logistica e i costi sono finiti tutti sulle spalle dei camionisti, i quali si stanno caricando anche dell’aumento dei prezzi del comparto automotive. Una motrice costa il 15% in più rispetto al 2019 e non c’è politica sindacale e governativa che sia riuscita a prevedere tali picchi e al tempo stesso a gestire la cronica mancanza di autisti. Per tutti questi motivi, decine di autotrasportatori calabresi hanno organizzato un sit in nei pressi degli svincoli dell’A2 di Gioia Tauro e di Rosarno, con l’intenzione di raggiungere assieme la città di Palmi. Prosegue da ormai due giorni sul tracciato casertano dell’A1 un’altra protesta, nel tratto che dal casello conduce alla Salerno-Reggio e fino alla barriera di Napoli Nord a Caserta. Stesse scene sulla statale 613 Lecce-Brindisi. Nel Tarantino, diversi autotrasportatori hanno montato un presidio sulle statali 106 e 100, ricevendo la solidarietà di alcuni sindaci locali. Nel Barese, invece, i camionisti contro il caro gasolio sono al terzo giorno di protesta sulla statale 96 e nella zona industriale di Altamura. I blocchi ieri si sono registrati anche al porto di Ravenna, a Palermo e a Caltanissetta.«Sulla questione del caro-carburante occorrono interventi urgenti e risolutivi da parte del governo nazionale», ha detto il presidente della Regione Basilicata Vito Bardi, sottolineando pure le ricadute sul settore dell’agroalimentare, tema sollevato anche da Coldiretti. E mentre il Codacons si dice pronto a denunciare gli autotrasportatori per le ripercussioni della protesta sui consumatori, dalla Regione Sicilia arriva l’appello a Palazzo Chigi dell’assessore ai Trasporti Marco Falcone, che ha convocato un tavolo con le rappresentanze degli autotrasportatori dell’isola, in sciopero da due giorni: «Ribadiamo», ha detto l’assessore, «l’urgenza di un intervento risolutivo del governo Draghi». Inutile, dire che il Codacons non ha minimamente compreso la situazione. Chi manifesta va incontro a due tipi di rogne. Una penale nel caso in cui blocchi attività sensibili e l’altra amministrativa perché ostacolare il traffico autostradale implica multe salate. Ne consegue che il camionista sa bene cosa rischia e lo fa perché non ritiene esserci alternativa. D’altronde il caro benzina e il green pass sono esattamente la sintesi dei problemi futuri del Paese. Anche se Mario Draghi ha annunciato che da aprile sparirà lo stato di emergenza e che saremo progressivamente liberi di respirare senza mascherine, si è limitato a dire che nei luoghi aperti non sarà richiesto di esibire il lasciapassare verde. Ma nessun accenno alla possibilità di abolirlo. Ricordiamo infatti che mentre si promettono riaperture, il governo prosegue con l’applicare vincoli digitali allo spostamento dei cittadini, imponendo la tracciabilità nei gangli vitali: banche, poste, snodi logistici e ospedali. I camionisti che protestano sanno bene che l’infrastruttura costruita per il green pass è destinata a rimanere per sempre, così come sanno che la politica si sta limitando a risolvere i problemi di facciata dell’inflazione e del caro delle materie prime. Tutti i governi europei sperano che le fiammate dei prezzi siano temporanee, chi invece guida i Tir ogni giorno non si fa ingannare dalle chiacchiere. La saggezza del lavoratore della logistica afferra il cambio di passo del mondo. Quelli che i giornalisti chiamano colli di bottiglia della supply chain per il camionista sono ore buttate via, perdite di tempo, minore fatturato e azzeramento dei margini. L’ultimo decreto bollette è una presa in giro per chi macina chilometri da Nord a Sud spendendo molto più dell’anno scorso e assistendo progressivamente alla vittoria dei concorrenti stranieri che, avvantaggiati dal fisco o da politiche energetiche più oculate, riescono a deviare dall’Italia flussi di commercio imponenti. Immaginiamo anche che i camionisti siano pronti a feroci critiche e a essere additati come untori come è successo con i portuali o come i colpevoli delle prossime crisi di approvvigionamento. Invece dovrebbero essere convocati al ministero dei Trasporti e presi quali consulenti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/occhio-arrivano-qui-blocchi-tir-2656779518.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-stop-al-nord-stream-2-ci-costera-almeno-21-miliardi-di-euro-allanno" data-post-id="2656779518" data-published-at="1645661472" data-use-pagination="False"> Lo stop al Nord stream 2 ci costerà almeno 21 miliardi di euro all’anno Secondo il commissario Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager, la scelta di rimandare a data da destinarsi l’attivazione del gasdotto Nord stream 2 non avrà effetti sul prezzo del gas. Purtroppo, però, non è proprio così. «Non ci sono dubbi che Nord stream 2 non è un progetto di interesse europeo», ha detto ieri, «Noi abbiamo le condutture che sono necessarie per noi e hanno il loro percorso, soddisfano le nostre esigenze. Nord stream 2 non è una conduttura attiva, non c’è gas. È stato interrotto un processo di approvazione, ma non ci possono essere effetti sul prezzo del gas», ha ribadito. «La Commissione deve interfacciarsi con le autorità tedesche per vedere se il processo ripartirà, ma sosteniamo le autorità tedesche che hanno detto che nelle attuali circostanze il processo di approvazione è sospeso». La scelta, non è un segreto, ha lo scopo di danneggiare la Russia in seguito alla crisi con l’Ucraina. Nella realtà, però, danneggerà tutti quei Paesi, come l’Italia, che non sono indipendenti a livello energetico. «La decisione del governo tedesco di bloccare sine die il processo di certificazione del Nord stream 2 comporta necessariamente un marcato ritocco al rialzo delle stime di prezzo del gas naturale alla borsa di Amsterdam», spiega alla Verità Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, società di consulenza specializzata nel campo delle materie prime. Il motivo di questo aumento è chiaro ai più. Ci sarà meno gas e questo comporterà un aumento dei prezzi. «Il mancato arrivo dei 50 miliardi di metri cubi previsti spingerà i compratori europei ad affacciarsi con maggiore aggressività sul mercato internazionale del gas liquefatto entrando in diretta competizione con l’Asia, i cui consumi stanno tra l’altro tornando a crescere per effetto della riaccelerazione in atto dell’economia cinese», spiega. «A nostro avviso il mancato avvio del progetto comporterà un aggravio del prezzo del gas naturale di circa 30 euro per megawattora. Alla luce di ciò è ragionevole ipotizzare un prezzo medio previsionale di circa 80 euro per megawattora per il 2022. Per quanto riguarda invece il 2023 si possono fare due scenari», continua Torlizzi. «Nella migliore delle ipotesi, considerando che il progetto riesca effettivamente a partire nel secondo trimestre 2023, il prezzo del gas potrebbe raffreddarsi nella restante parte dell’anno verso i 50 euro per megawattora. Nel caso in cui il progetto non dovesse invece partire, il prezzo medio stimato dovrebbe rimanere di 80 euro per megawattora». Al contrario di quello che sostiene la Vestager, si tratta di aumenti da capogiro. «Se si considerano i consumi medi in Italia di circa 70 miliardi di metri cubi, l’impatto sull’economia italiana nel 2022 rispetto alle stime precedenti (pari a 50 euro per megawattora nel 2022) potrebbe arrivare a circa 21 miliardi annui considerando solo i consumi di gas e non l’effetto a cascata che si avrebbe sul prezzo dell’elettricità». In parole povere, questo aumento riguarderebbe quindi solo il costo della materia prima, un valore a cui andrebbe aggiunto quello per trasformare il gas in energia elettrica. Di fatto, sarebbe un vero salasso per il consumatore finale italiano e per quello europeo. Gli unici a salvarsi sarebbero forse solo i francesi, che possono contare sulla forza dell’energia nucleare che noi non abbiamo. Ecco spiegato perché lo stop al Nord stream 2 è un problema europeo e, di certo, non solo tedesco.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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