2025-05-28
Fede e gloria: l’eroismo di due cugini «bastardi» nell’Europa sotto l’assedio dei musulmani
Re Giovanni III Sobieski benedice l’attacco polacco ai turchi nella battaglia di Vienna del 1683. Dipinto di Juliusz Kossak (Getty). Nel riquadro, l'ultimo libro di Silvana De Mari, «Te Deum»
I fratelli Kargul, protagonisti del romanzo «Ora pro nobis», tornano a vivere nei loro rampolli: dalla straordinaria vittoria di Vienna alla leggendaria battaglia di Hodow.Normalmente dormivamo all’aria aperta. Fare campeggio è carino e simpatico sotto le stelle quando si sentono i gufi. Se le stelle sono dall’altra parte del temporale e i gufi sono rintanati dove possono per salvarsi dalla grandine, meglio cercare una locanda. A mano a mano che ci spostavamo a sud, di polacco c’eravamo solo noi, i villaggi erano cosacchi, le locande che ci accoglievano con clamorosa malagrazia erano cosacche e cosacchi erano gli altri avventori, che ci guardavano grondando odio in silenzio o bofonchiando insulti e minacce tra di loro in ucraino, lingua che entrambi conoscevamo benissimo. Chiesi a Andreas se non poteva cercare di essere un pochino meno clamorosamente polacco, meno vistosamente Ussaro Alato. [...] Lui animò la sua faccia impassibile con un cortese sorriso e mi spiegò che non era possibile, e nemmeno raccomandabile: meglio si sapesse subito chi eravamo. Se i cosacchi lo avessero scoperto dopo si sarebbero irritati di più. Il termine irritati era molto eufemistico. Nel 1630 però, grazie all’azione di San Jacob, una parte dei cosacchi ucraini si convertirono a un cattolicesimo parziale, festeggiavano il Natale il 25 dicembre, accettarono il Papa, ma conservarono la Messa col rito ortodosso. San Jacob fu evidentemente martirizzato; un gruppo di cosacchi lo uccise in maniera francamente creativa, ma questo parziale spostamento dell’Ucraina verso il cattolicesimo rimase. Contemporaneamente a questo, gli attacchi dei tartari divennero talmente violenti che si rese necessaria l’alleanza fra i cosacchi e i polacchi per tener loro testa. Una sera in cui una pioggia battente aveva trasformato il mondo in un’unica distesa di fango, entrammo in una locanda particolarmente macilenta, cuore di un villaggio particolarmente miserabile. [...] Sulle panche lungo le pareti, uno spropositato numero di avventori si contendeva il poco spazio su cui non pioveva dal tetto sfondato.[...]Andreas chiese se potevamo avere qualcosa da mangiare e un posto dove dormire, per noi e per i cavalli. Quello che doveva essere l’oste visto che aveva addosso un grembiule forse grigiastro o marrone, ci fissò con uno sguardo vuoto, che rimase rigidamente inespressivo. Lo spropositato numero di avventori si animò immediatamente in un ruggito.«Vuoi che ti facciamo gli stivali polacco? Sai cosa vuol dire?», chiese uno di loro. Doveva essere uno dei maggiorenti perché non solo era uno di quelli che il boccale di birra ce l’aveva, ma era armato di spada.«Lo so. Fare gli stivali, scuoiare dalla gamba in giù qualcuno mentre tre persone lo tengono fermo. Magari dopo avergli violentato la moglie e ammazzato il neonato, sempre tre contro uno, quando non quindici contro uno», rispose Andreas avvicinandosi all’uomo. Lo sapeva. «Bene, ho sempre trovato che è una vigliaccata, una grossa vigliaccata, tutto sommato indegna di voi. Vi ho visto combattere a Vienna e un popolo che porta la croce al collo ed è in grado di andare alla carica contro i cannoni ottomani non può fare vigliaccate».Io cercavo di non respirare nemmeno. Avevo lo sguardo fisso su Andreas, non osavo spostarlo da nessuna altra parte. Era il peggio del peggio quel complimento finale, era la voce del maestro allo scolaro discolo, non puoi prendere a calci i tuoi compagni, sei uno che scrive bene. Era peggio che insultare, era trattare dall’alto in basso. Speravo che nessuno si accorgesse del mio terrore, perché li avrebbe scatenati. In più eravamo molto giovani, un ulteriore punto a nostro sfavore. «Facciamo un duello noi due, al primo sangue. Se vinco io ci date qualcosa da mangiare e un posto per la notte, la stalla e la biada per i cavalli. Se vincete voi?».«Se vinciamo noi vi cacciamo per sempre a calci dalla nostra terra. Il duello però lo facciamo alla nostra maniera, senza corazza. Ce la fai ad affrontare qualcuno senza startene dentro il tuo guscio di ferro?».«Vedrò cosa posso fare», promise Andreas indietreggiando abbastanza da avere lo spazio per estrarre la spada, quella spada micidiale forgiata dai migliori armaioli dell’impero asburgico. Il colonnello Kargul lo aveva addestrato con le stesse tecniche a lui insegnate nella sofferenza dagli zingari cui era appartenuto. La potenza dei cosacchi era la loro forza, sommata alla loro incredibile agilità, le loro acrobazie sia a terra che a cavallo erano proverbiali, ma non potevano stare neanche lontanamente a paragone con quelle degli zingari ungheresi. Rispetto ad Andreas erano dilettanti. In più lui aveva dalla sua anche la statura. Era partito da Vienna dopo mesi di convalescenza debole come un fringuello caduto dal nido, ma era diventato ogni giorno più forte. Ero stato il suo avversario in duelli assolutamente quotidiani fatti sotto il sole, sotto la pioggia, nel fango, persino sotto la grandine. Non avevamo saltato un giorno. Fondeva la potenza di un guerriero straordinario con l’agilità di un funambolo, un’agilità cui si era addestrato avendo addosso il peso micidiale della corazza. Pregai tutti i pochi santi di cui riuscii a ricordarmi il nome per una sua vittoria di misura, sobria e lentamente conquistata, dopo aver lasciato al cosacco almeno una mezza dozzina di begli attacchi e un’altra mezza dozzina di belle parate, perché se lo avesse battuto troppo in fretta, umiliandolo, gli altri ci avrebbero massacrato. Il cosacco estrasse a sua volta la sua spada, la saska, l’arma tipica dei cosacchi, a un solo flo, molto solida, senza guardia e con impugnatura a una mano, con una lama di curvatura poco accentuata, che poteva offendere sia di punta che di taglio. Andreas era indietreggiato fino a una grossa tavola che gli impediva ulteriori passi all’indietro, una brutta posizione. Mi sembrò una forma di saggezza dare quel vantaggio all’avversario[...] Il cosacco attaccò. Andreas con un salto all’indietro a piè pari saltò sul tavolo dopo una parata talmente potente che respinse l’altro, poi lanciò la sua spada in aria e senza guardarla ne ricuperò l’elsa mentre saltava giù dal tavolo. Il suo avversario era ancora sbilanciato e senza difesa. Lui non usò la sua arma per colpirlo, ma la rinfoderò. Era una vittoria plateale, offensiva. Mi augurai che il tetto pericolante ci crollasse sulla testa.«Ho fatto il funambolo da bambino al mio villaggio per guadagnare qualcosa», si giustificò sorridendo. «La vostra spada è nettamente migliore della mia», protestò il cosacco. «Vero», approvò Andreas. «La vostra saska è un’ottima spada, ma la mia è la migliore spada di Vienna fatta per me dai migliori armaioli dell’impero asburgico. Il duello non è ad armi pari, quindi lo interrompiamo. Anche mio nonno, il colonnello cosacco che ha guidato la carica contro i cannoni a Vienna, aveva una saska come la vostra. Potremmo avere da mangiare adesso?».«Siete il nipote del colonnello Kazipa?».«Sì, è il mio nonno materno, e spero di incontrarlo uno di questi giorni». «Potevate dirlo!», dissero in molti.«Avrebbe aumentato le mie possibilità di avere una cena e un letto? Pensavo che dopo che abbiamo combattuto insieme a Vienna tutto questo fosse finito. Mia nonna è stata uccisa dai cosacchi insieme al suo neonato, mio padre ha sposato la figlia di un colonnello cosacco, dopo avere difeso la sua masseria, la Masseria delle Api, in una battaglia in cui ha perso suo fratello, il padre di mio cugino. Io, lui e il colonnello Kazipa abbiamo combattuto insieme a Vienna. E abbiamo combattuto insieme in nome di Cristo e di Maria Sua Madre in cui tutti crediamo, e per i quali tutti combattiamo».Ci fu qualche istante di silenzio, che fu interrotto dal rumore di una brocca e di un grosso piatto di legno posati sul tavolo. «Pane e acqua, questa sera non ho altro. La birra è finita. Il pane è il nostro pane, è molto buono. L’unica stanza di questa locanda è libera, è sopra le scale. Porto io i vostri cavalli nella stalla. Mi fido di tutti, ma preferisco il pagamento anticipato, è incluso anche il fieno per i cavalli e la colazione per voi», disse il locandiere.Andreas ringraziò, pagò senza commentare una cifra esorbitante per quello che ci stavano dando. Mangiammo in silenzio mentre tutti ci guardavano e l’oste si occupava dei cavalli. Salimmo alla stanza portandoci dietro il nostro bagaglio: quello di Andreas includeva la sua sfrontata corazza con le ali, l’oggetto forse più odiato in tutta l’Ucraina. La cifra in più chiesta dal taverniere era evidentemente il risarcimento per il dolore di ospitare una corazza con le ali. Finalmente fummo nella stanza. La porta non aveva catenaccio. C’erano due giacigli e un grosso tavolo, su cui una candela sorretta da una piccola bugia di metallo dava luce. Non appena entrati presi il tavolo e cominciai a spostarlo, badando a non fare rumore.«Che fai?», chiese Andreas.«Blocco la porta».«Perché?»«Perché non ci taglino la gola questa notte, mentre dormiamo», spiegai esasperato.«Sarebbe una vigliaccata, e non lo faranno. Rimetti quel tavolo a posto, se lo spostiamo è una scortesia, vuol dire che non ci fidiamo di loro», mi spiegò serenamente, con la sua aria seria e grave. «Se vogliono ammazzarci possono sempre passare dalla finestra o dal tetto, che non è molto solido».«Allora occorre stare di guardia», obiettai.«Buona idea, stai di guardia tu, se succede qualcosa mi chiami», rispose. Si sdraiò su uno dei due giacigli e si addormentò come un angelo. Nessuno è venuto a disturbarci e siamo ripartiti al mattino, dopo una sontuosa colazione di pane, acqua e mezza salsiccia.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)