2021-11-28
«Nuova giacca firmata Piacenza 1733 e Fila»
Il manager dell'azienda biellese Vasiliy Piacenza famosa per i tessuti di lusso come la vicuña: «Per celebrare i 110 anni del marchio sportivo abbiamo reinterpretato l'iconica. Tela vela jacket in un'edizione limitata in lana e cashmere riciclato. Siamo 100% made in Italy»Avere accanto al nome, Piacenza, una data come 1733 oltre a essere un vanto la dice lunga su un'azienda che ha travalicato i secoli. «Rappresento la quattordicesima generazione», racconta Vasiliy Piacenza, il cui albero genealogico affonda le radici ben oltre. «Le nostre origini sono più antiche del 1733, anno in cui fu dato il permesso di far nascere l'industria tessile nel biellese: i primi documenti risalgono al 1623. Eravamo commercianti in lana, allora non esisteva l'industria».Da lì parte la storia?«Sì, dal commercio. Si dava la lana da lavorare in casa perché non esistevano le industrie, arrivate più tardi dall'Inghilterra dove le persone andavano già in fabbrica lavorando su telai che da noi erano ancora presso le famiglie. C'è stata un'evoluzione di alti e bassi, quasi 400 anni di storia, guerre, rivoluzioni, di tutto e di più».Il passaggio industriale quando è avvenuto?«La parte più importante intorno al 1850, quando la gente ha smesso di lavorare la terra per andare nelle fabbriche e nei primi del Novecento è avvenuta un'ulteriore accelerazione. Originariamente, tutto quello che riguardava il mondo tessile in Europa arrivava dall'Inghilterra e dal Belgio tanto che il mio trisnonno nel 1911 fondò a Biella quello che ancora oggi, in piazza del Bersagliere, si chiama Lanificio scuola perché quando l'industria tessile è diventata fiorente si è reso conto che bisognava insegnare a lavorare. Andò in Inghilterra e Belgio, comprò le macchine e la gente iniziò a imparare».Quante persone lavoravano per voi allora?«In quel momento preciso, nel 1911, a Biella circa 400 persone e a Torino 1.000. La fabbrica di Torino con la crisi finanziaria negli Stati Uniti del 1929 è stata chiusa per un effetto a cascata. Eravamo la più fiorente industria laniera d'Italia».Oggi chi c'è in azienda?«Mio fratello Ettore segue la parte tessile mentre io la parte moda. E mio padre Carlo, la nostra colonna, è amministratore delegato. Noi portiamo avanti il day by day. Nostro cugino Felice segue di più la parte legata alla Fondazione nata nel 1981 dove si trovano molti documenti, fotografie dei viaggi fatti dai nostri antenati all'epoca in Himalaya, Caucaso e Africa: lui si occupa di continuare a raccogliere e catalogare tutto quello che è stato il lungo percorso della nostra famiglia». Non avreste potuto fare altro mestiere.«Penso di no, credo ci sia qualcosa nel sangue. Da parte di nostro padre non c'è mai stato nessun tipo di forzatura, anzi, ci ha detto che potevamo scegliere. Sia io sia mio fratello abbiamo studiato negli Stati Uniti facendo esperienze di lavoro. Poi c'è stata la vocazione di rientrare nella nostra azienda per dare il nostro contributo e intraprendere un qualcosa che sentiamo addosso come una seconda pelle».Ora si parla tanto di sostenibilità. Voi siete stati dei precursori sul tema. «Sono uscito in questo momento dalla riunione sulla sostenibilità dove la nostra responsabile ci aggiorna su ciò che stiamo portando avanti e a che punto siamo con il bilancio di sostenibilità che abbiamo già presentato. Inoltre, controlliamo tutti i punti di una lista di cose che stiamo portando avanti, facciamo un aggiornamento ogni due o tre mesi. In effetti oggi del tema se ne parla fin troppo, noi siamo sostenibili da sempre, fa parte della nostra normalità».È forse più una moda che un fatto concreto? «Temo di sì. Siamo stati i primi ad avere il depuratore negli anni Ottanta. Il mio trisnonno Felice ha fondato il Parco della Burcina, riserva naturale e parco regionale, con piante da ogni parte del mondo come sequoie, cedri dell'Atlante e pini strobus. Oggi in tanti si riempiono la bocca con la parola verde ma bisogna vedere le origini di un'azienda».Sostenibilità anche nei capi e tessuti, ovviamente.«Usiamo tutti materiali naturali, dal cashmere alla vicuña alla lana, e i processi sono interamente fatti in Italia dal 1600, rispettando in ogni fase di trasformazione gli standard qualitativi. Non dimentichiamo che l'industria tessile è la seconda più inquinante al mondo. Su un prodotto di altissima qualità c'è la massima attenzione a cominciare dal ciclo delle acque, tutto è molto controllato».La vicuña, fibra pregiatissima, è un vostro fiore all'occhiello«È la fibra più preziosa che trattiamo, conosciuta come il “vello degli dei". Mio padre in uno dei suoi viaggi nel 1977 se ne innamorò. All'epoca questo piccolo camelide sudamericano era un animale in via di estinzione. Poi, per fortuna, le cose sono cambiate, tanto che oggi è il governo peruviano a supervisionare ogni fase, deve esserci un loro funzionario che controlla mentre l'animale viene tosato dato che non deve soffrire e soprattutto non deve essere ucciso come in passato. Oggi ci sono 180.000 esemplari, forse meno, e la quantità di vicuña prodotta è molto limitata e quindi sempre più preziosa. È un animale che non viene allevato, vive in libertà a circa 3.500/4.000 metri sulle Ande. Anche la cerimonia, il Chaku, segue dei riti: le vicuñe vengono chiuse in una gola e tosate una alla volta e poi rilasciate. L'80% della vicuña arriva dal Perù e il restante dall'Argentina». Quanti capi riuscite a fare con la vicuña?«Pochi perché poca è la fibra. Ce la spartiamo in due o tre aziende al mondo e una parte rimane localmente dove ci sono un paio di industrie che la trasformano. In collezione abbiamo il cappotto, giacche, accessori come stole e sciarpe e qualche maglione».Come nasce la collaborazione con Fila?«Da un incontro. La proprietà è coreana però parliamo di un'azienda biellese e a Biella c'è ancora il loro archivio storico dove sono raccolti 28.000 capi e 110 anni di storia. Per festeggiare si è pensato di fare qualcosa insieme dato che siamo due marchi con una forte tradizione biellese. Noi siamo legati a un mondo di fibre naturali di lusso e loro al mondo sportivo con fibre completamente diverse. Quindi abbiamo deciso di creare un capo prendendone uno d'archivio, la Tela vela jacket del 1974 fatta con il tessuto delle vele pur essendo un capo da scalata. L'abbiamo reinterpretata con i nostri materiali, il guscio, blu, è in una lana con un trattamento water resistant e antivento mentre il capo interno, rosso, riprende il giubbino di Björn Borg degli anni Settanta, imbottito con fibre riciclate di cashmere. In una edizione limitata di 110 capi».
Jose Mourinho (Getty Images)