2023-06-09
Non siamo persone ma pazienti permanenti
Il ritorno alla normalità è continuamente ostacolato, il nuovo green pass eterno lo dimostra. Con pandemia e crisi climatica il potere ha introdotto strumenti «scientifici» per sorvegliarci. E che resteranno in futuro, giustificati da nuove ma già annunciate emergenze.Da cittadini a pazienti permanenti, presunti malati a prescindere su cui pesa continuamente l’onere di dimostrare di essere sani o di essere guariti: è con questo nuovo status antropologico che usciamo dalla pandemia di Covid, di cui l’Organizzazione mondiale della sanità ha, di recente, decretato la fine? Parrebbe di sì, a giudicare dalla resistenza con cui le autorità politico-sanitarie continuano a ostacolare il ritorno alla normalità: dal mantenimento di tamponi e mascherine (affidato pilatescamente dal ministro Orazio Schillaci alla discrezione di direttori sanitari ospedalieri e medici di base), all’isolamento tuttora paternalisticamente imposto ai positivi, al memento dell’Oms («arriverà una nuova pandemia e sarà più mortale») e del suo direttore generale Tedros Ghebreyesus («deve restare l’idea della potenziale minaccia di altre pandemie»). Se al contingente, poi, si aggiunge un fenomeno in atto da tempo, e cioè la continua estensione del ruolo della medicina - allargatasi dalla cura delle malattie alla loro prevenzione, all’educazione degli stili di vita - ecco che si delinea l’inquietante scenario della «nemesi medica» descritto da Ivan Illich: la progressiva medicalizzazione della società e l’assolutizzazione della sanità, il cui paradossale esito è l’espropriazione della salute dei cittadini.Se già negli anni Settanta Illich avvertiva che «la corporazione medica è diventata una grande minaccia per la salute», c’è da chiedersi come si esprimerebbe, oggi, davanti alla sua galoppante disumanizzazione (nella pandemia abbiamo assistito all’abbandono dei pazienti da una parte della classe medica, più preoccupata dell’osservanza di protocolli che dei reali bisogni del malato, ridotto a un «codice a barre», come lo definisce il cardiologo Giuseppe Barbaro nel docufilm prodotto dalla Verità, Covid19, dodici mesi di pensiero critico). E c’è da chiedersi cosa direbbe Illich dell’odierna medicina, integrata in un sistema economico e politico globale con cui dà vita a quello che, nel bollettino dell’osservatorio Van Thuan dal titolo Sanare la sanità, l’arcivescovo emerito Giampaolo Crepaldi chiama «potere terapeutico che la determina e le fa spesso intraprendere strade non per motivi strettamente sanitari». Un’affermazione che trova riscontro nelle recenti rivelazioni giornalistiche sulla politica pandemica: nel Regno Unito, per giustificare i lockdown, l’ex segretario alla Salute, Matt Hancock, scriveva ai suoi assistenti che «bisogna spaventarli tutti a morte» e chiedeva «quando schieriamo la nuova variante?». In Italia, dalle carte dell’inchiesta di Bergamo, è emerso, fra l’altro, che l’allora ministro della salute Roberto Speranza istruiva di «mettere paura per imporre le restrizioni».In questo contesto lo Stato-Leviatano può, dunque, adottare qualsiasi strumento ritenga utile per il conseguimento del fine, ovvero l’asserita protezione. Curiosamente, un cittadino che pretende di essersi moralmente emancipato da Colui che gli ha dato la vita, è sempre più prono a sottoporsi a quel potere che sostiene di riuscire a proteggere la sua vita. E così noi diventiamo sempre più dipendenti dal «sistema salute», come un drogato dalla dose. Una soggezione tale che, davanti al dolore e alla sofferenza, finiamo persino per reclamare che il sistema stesso metta fine ai nostri giorni con l’eutanasia.Approfittando di questa dipendenza, lo Stato «spacciatore» si arroga qualsiasi facoltà: trasformare i diritti fondamentali della persona in concessioni legate al possesso di una identità digitale; obbligare, di fatto, a sottoporsi a un trattamento sanitario sperimentale pena la soppressione dello stipendio; mentire a livello istituzionale senza fare una piega («se non ti vaccini ti ammali, muori e fai morire»); cavalcare la divisione sociale; sacrificare le attività economiche attaccando quel contratto sociale implicito che permette all’economia di funzionare. Il tutto, come non bastasse, facendo ampio uso di un moralismo ipocrita e aggressivo.Fatalmente, la nuova religione diventa la scienza, trasformata in un dogma in nome del quale si impongono cambiamenti impensabili nel nostro modo di vivere e di essere e non solo in ambito medico: pensiamo all’ecologismo, che vede nell’uomo un problema e non si fa sfuggire occasione per ricondurre ogni fenomeno naturale a un’emergenza epocale dalle cause antropiche.Che la sanità stia diventando una nuova religione lo hanno rivelato molti segnali visti durante la pandemia: la ritualità delle pratiche salutistiche (i lavaggi, le mascherine), l’appello a compiere sacrifici personali che richiama la devozione religiosa, l’idolatria del vaccino, l’affidamento a nuovi sacerdoti quali i televirologi. «La malattia diventa il nuovo peccato originale da cui nessuno è risparmiato e la cura il nuovo battesimo salvifico universalmente necessario», riassume il teologo e monaco benedettino, dom Giulio Meiattini.Da studioso di totalitarismi, Mattias Desmet spiega nel docufilm che questo indottrinamento pseudo religioso tipico dei regimi poggia su rituali (come la mascherina) con cui la persona mostra che la collettività prevale sul singolo e fornisce alla popolazione un oggetto - o un capro espiatorio come il novax o il negazionista climatico - su cui sfogare la propria ansia esistenziale, offrendole al contempo nuovi legami sociali di appartenenza. Il che può spiegare la facilità con la quale si riesce a fare accettare ai ceti colti e intellettuali qualsiasi misura purché questa venga suggellata dal marchio de «la scienza». Un approccio che si sta ripetendo per l’emergenza climatica e potrà essere riproposto per le tanto minacciate nuove pandemie. Il che non fa ben sperare per il futuro.Futuro che va affrontato, dunque, con realismo, riconoscendo che nella crisi sanitaria - come in quella climatica - il potere vede oggi un’opportunità da cogliere per accelerare la transizione digitale e attuare meccanismi di sorveglianza e controllo che in altre circostanze la popolazione rifiuterebbe. Una volta compiuti questi cambiamenti, non si potrà tornare indietro: i nuovi dispositivi resteranno in uso e ci sarà sempre un’altra emergenza, una nuova minaccia da invocare per giustificarne l’esistenza.Va compreso e denunciato, allora, che quello in atto - ammantato di buoni scopi - è in realtà un attacco all’uomo. I malati messi con cinismo al servizio di un’agenda, la mentalità profilattica quale strumento di gestione sociale, ma anche le pratiche eugenetiche, la modifica del Dna nei concepiti in provetta o il cambio di genere in ragazzi e bambini, sono tutti step che vanno infatti nella stessa direzione: il transumanesimo.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)